Quando Elon Musk ha deciso di lanciare la sua startup di intelligenza artificiale, xAI, non si è limitato a entrare in gara: è arrivato con un carro armato in un’arena di gente armata di fionde. E il suo carro armato era carico di un tesoro inestimabile: i dati della sua ultima follia da miliardario, il social network un tempo noto come Twitter, che ha prontamente ribattezzato “X” (perché, a quanto pare, quando sei Elon Musk, le vocali sono un optional). Introducendo tariffe API salatissime, Musk ha gentilmente invitato le altre aziende di IA a togliersi dai piedi, riservandosi tutto il flusso infinito di tweet, meme e deliri complottisti per sé. Poi, con il solito tocco di geniale spregiudicatezza, ha trasformato gli utenti di X in cavie inconsapevoli per testare i suoi modelli.
Tutto è iniziato con il lancio di Grok, il primo modello linguistico di xAI, che ha portato su X nuove funzionalità come riassunti delle storie di tendenza e domande generate dall’IA sui post degli utenti. Ovviamente, non poteva mancare il chatbot, disponibile (inizialmente) solo per gli utenti di X. Ora, secondo quanto scoperto dal reverse engineer Nima Owji, sembra che stiano arrivando altre chicche: funzioni IA per modificare i tuoi post, perché cosa c’è di più poetico che lasciare che un algoritmo aggiusti le tue battute tristi, e persino query basate sulla posizione, così Grok potrà dirti dove comprare il latte mentre ti spara una fake news.
La fusione tra X e xAI è ormai così totale che perfino il branding si è infiltrato ovunque, con il logo di “xAI Grok” che domina la barra principale dell’app come un manifesto sovietico tecnologico. Uno sviluppatore di xAI ha persino scherzato postando uno screenshot in cui il logo della startup colonizzava ogni angolo della timeline, aggiungendo: “Potremmo metterci ancora più xAI, no?”.
Dietro le quinte, la relazione tra X e xAI è un groviglio che farebbe impazzire anche un avvocato divorzista. Tutti i dipendenti di xAI sono ufficialmente anche dipendenti di X (ma non viceversa, perché la parità è sopravvalutata). Hanno accesso al codice di X, usano i laptop aziendali di X e compaiono nei software HR di X. E quando X ha abbandonato la sua sede di San Francisco, sono tutti traslocati nella nuova sede di xAI a Palo Alto. Una relazione simbiotica perfetta: X offre a xAI milioni di utenti su un piatto d’argento, e xAI ricambia implementando l’IA a ritmi impossibili da eguagliare.
Musk ha una lunga storia di intrecci tra le sue aziende. Tesla e SpaceX si scambiano ingegneri come figurine Panini, e anche X non è stata immune: squadre di Tesla e Boring Company sono state avvistate negli uffici di X più di una volta. Per i fan di Musk, è un colpo da maestro strategico. Per i suoi detrattori, è un disastro annunciato, con conflitti di interesse pronti a esplodere come pop corn e una totale mancanza di accountability.
Eppure, nonostante tutti i vantaggi che xAI ottiene da X, gli utenti di X sembrano ricevere in cambio poco più di un costante mal di testa. Dopo il lancio della funzione “Stories” di Grok, le cose sono degenerate rapidamente: titoli deliranti su attentati mai accaduti, dichiarazioni ridicole sui terremoti di New York, e un momento clou in cui l’IA ha annunciato che “Iran colpisce Tel Aviv con missili pesanti”. Grok non è certo l’unico modello IA a fare figuracce del genere, ma di sicuro si distingue per la creatività delle sue gaffe.
Nonostante tutto, la separazione tra X e xAI rimane. Da un lato, xAI è il sogno futuristico di Musk: superintelligenza open-source, crescita stellare e un’ambizione degna di SpaceX. Dall’altro, X arranca nel tentativo di diventare una “app per tutto”, con progetti come i pagamenti in stallo, gli inserzionisti in fuga e concorrenti come Bluesky e Threads che non vedono l’ora di sottrargli terreno.
In fondo, quello che doveva essere un baluardo per la libertà di parola sembra ormai ridotto a un campo di prova per le ambizioni IA di Musk. E sebbene l’accordo sembri tutt’altro che convenzionale, calza a pennello con il genio bizzarro del nostro protagonista.
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