Trump ha detto no. Il Deep State del chip ha risposto: “Ok, ma solo fino alla prossima trimestrale.”

È il genere di teatro geopolitico che solo il capitalismo terminale può offrire con così tanta grazia grottesca. Mentre la Casa Bianca chiude i rubinetti tecnologici alla Cina, Nvidia – il dio monoculare dell’AI moderno – continua a macinare utili con la naturalezza con cui un server Apache gestisce richieste: freddamente, incessantemente, incurante del contesto.

Il blocco dei chip AI verso Pechino è stato sbandierato da Trump come una mossa patriottica, un colpo di karate economico alla gola dell’intelligenza artificiale cinese. In realtà, è servito a ben poco: Nvidia ha appena pubblicato numeri talmente buoni da far arrossire persino Cupertino e Mountain View. 26 miliardi di free cash flow in un solo trimestre. Roba che nemmeno la somma di Apple e Google riesce a replicare. E mentre la Cina scompare dalla mappa delle vendite (con un buco dichiarato di 10,5 miliardi su due trimestri), gli USA e i loro alleati tecnologici si accalcano a comprare ogni singolo transistor disponibile.

La keyword qui è chiara: chip AI. Le altre restrizioni all’esportazione, mercato cinese sono solo interferenze, rumore di fondo in una sinfonia inarrestabile dove l’hardware è più potente delle regole. Perché se c’è una verità che questa vicenda ci sta insegnando, è che il capitalismo dell’intelligenza artificiale non obbedisce più a logiche geopolitiche. Le plasma. Le curva. Le rende ininfluenti nel momento stesso in cui le registra.

Jensen Huang lo sa bene. Lo si è visto, tra le righe e nelle pause teatrali della sua conference call con gli analisti. Ha fatto quello che nessun CEO di peso farebbe in circostanze normali: ha ricordato le perdite. Ha sottolineato quanto costa non vendere in Cina. Ha citato i 50 miliardi annui di mercato potenziale buttati nella spazzatura. E poi – in un’oscillazione retorica che avrebbe fatto impazzire qualunque spin doctor – ha elogiato Trump. Ha detto che “vuole che l’America vinca”. In pratica ha baciato la mano che gli ha tolto mezzo continente.

È qui che la faccenda diventa davvero interessante. Perché siamo di fronte a un cambio di paradigma. Non è più il governo che detta l’agenda tecnologica. È l’infrastruttura computazionale globale che detta i limiti della politica. Le restrizioni USA stanno effettivamente spingendo la Cina a costruire un proprio ecosistema AI alternativo. Lontano da Nvidia, lontano dalla Silicon Valley. Esattamente il contrario dell’intento iniziale. E Huang lo sa. Lo dice esplicitamente: “L’intelligenza artificiale cinese avanza, con o senza chip statunitensi.”

Chiunque mastichi geopolitica digitale lo capisce. La Cina ha ancora ostacoli enormi – dalla litografia alla qualità dei semiconduttori – ma ha anche tempo, capitale e determinazione. Ogni porta chiusa dagli Stati Uniti è un acceleratore involontario per l’indipendenza tecnologica cinese.

Ma nel breve termine, la realtà è più semplice: Nvidia guadagna talmente tanto nel resto del mondo che può permettersi di perdere 10 miliardi e ridere lo stesso. Letteralmente. Gli investitori hanno applaudito. Le azioni sono salite. Tutto si è mosso come se niente fosse. O meglio: tutto si è mosso perché qualcosa è stato perso. Ed è lì che si cela il vero cinismo del mercato. La scarsità, vera o percepita, crea valore. L’esclusione dal mercato cinese diventa narrazione epica, combustibile per la prossima bolla.

Nel frattempo, Huang cammina su un filo sempre più sottile. Deve rassicurare Washington senza alienarsi i partner globali. Deve gridare che l’AI cambierà tutto, ma anche sussurrare che senza mercato globale l’AI rischia di collassare su sé stessa. E deve farlo mantenendo quel sorriso da samurai della Silicon Valley che sa sempre cosa dire, anche quando finge di non capire la domanda.

Il nodo, però, è più profondo. Nvidia oggi è l’equivalente moderno di Standard Oil, con una differenza cruciale: non estrae energia dal sottosuolo, ma da reti neurali profonde, trasformando calcoli in potere politico. Non c’è rivoluzione AI senza le sue GPU. E mentre i governi si illudono di “controllare” la tecnologia con embarghi e sanzioni, le aziende che costruiscono quella tecnologia scrivono le regole. Le eludono. Le aggirano. Le fanno dimenticare.

Curiosità finale, per chi ha memoria lunga: negli anni ’80, Ronald Reagan provò a impedire all’URSS l’accesso a processori avanzati. Risultato? I russi li copiarono malamente, crearono un’industria fallimentare e persero la corsa tecnologica. Oggi la Cina non copia: reingegnerizza, investe, supera. Con o senza Nvidia.

Benvenuti nel secolo del silicio sovrano. Dove il potere non passa più per il dollaro, ma per i teraFLOPS. E chi pensa di fermarlo con un ordine esecutivo, ha già perso.