La mossa ha il sapore di un patto con il diavolo. Da un lato, Apple, paladina del controllo verticale, della privacy come religione e dell’ecosistema chiuso per eccellenza. Dall’altro, Alibaba, il colosso cinese dell’e-commerce che sta costruendo a colpi di API e modelli linguistici un arsenale AI di livello globale, ma profondamente radicato nel suolo (e nel controllo) della Repubblica Popolare Cinese.
Secondo Reuters, Alibaba ha appena rilasciato una versione dei suoi modelli di intelligenza artificiale Qwen3, adattata all’architettura MLX di Apple. Tradotto per i non iniziati: iPhone, iPad, Mac e MacBook possono ora eseguire questi modelli direttamente a livello locale, all’interno dell’infrastruttura neurale progettata da Cupertino.
Non è un tecnicismo. È geopolitica computazionale. E il tempismo non è casuale.
La mossa apre le porte – o meglio, uno spiraglio filtrato e negoziato – al lancio di Apple Intelligence nel continente cinese. La suite AI presentata da Tim Cook alla WWDC, tra “Genmoji”, assistenti contestuali e Writing Tools, ha fatto tremare la Silicon Valley. Ma non può entrare in Cina senza prima spogliarsi dei suoi algoritmi americani e rivestirsi di una cappa ideologicamente compatibile.
Apple ha quindi fatto quello che fa sempre quando le serve entrare in un mercato che non vuole essere conquistato: ha stretto un’alleanza. E in questo caso, ha scelto Alibaba. Il che è, da un lato, inevitabile; dall’altro, un cortocircuito narrativo.
Il primo cortocircuito sta nell’architettura MLX stessa. Apple l’ha pensata per il machine learning locale, progettata per essere “fast and private” – una promessa di privacy eseguita direttamente sull’hardware dell’utente. In Occidente, è una risposta elegante ai server GPU di OpenAI, un modo per dire “noi l’AI la facciamo tutta sul device”. In Cina, è l’ideale paravento per dire che i dati non escono, che nulla tocca l’internet occidentale, e che tutto resta dentro la Grande Muraglia Digitale.
E qui entra Alibaba, con i suoi modelli Qwen3. Questi LLM (Large Language Model) non sono gli unici sviluppati in Cina, ma sono tra i più sofisticati. Disponibili in versione open-source, ma con parametri raffinati, i Qwen3 sono stati costruiti per competere con GPT e Gemini, ma con una conformità ideologica alle regole del Partito. Ora girano su MLX. E con questo, Apple ha trovato la chiave per entrare nel mercato più difficile al mondo.
Ma attenzione. Non è solo una questione di algoritmi, di prestazioni o di localizzazione linguistica. È soprattutto una partita di permessi, di autorizzazioni. La Cina non permette a un modello AI occidentale di interagire liberamente con il suo pubblico. Serve un partner locale, serve un compromesso, serve, per dirla con le parole giuste, un intermediario che “comprenda le sensibilità culturali e regolatorie del Paese”. Alibaba, ovviamente, fa esattamente questo.
Ironico, no? Apple, che in Occidente basa la propria reputazione sulla crittografia end-to-end e sul “non sappiamo cosa fai con il tuo iPhone”, in Cina si affida a un partner che conosce benissimo ogni dettaglio dell’ecosistema in cui opera. Una privacy selettiva, a geometria variabile.
Come sempre, il capitale vince sull’etica. Perché la Cina è, per Apple, il più grande mercato extra-USA, e anche se i venti della guerra commerciale USA-Cina continuano a soffiare gelidi, i numeri restano irresistibili.
Secondo i dati di Counterpoint Research, Apple è tornata prima in Cina a maggio, in termini di vendite smartphone. Un rimbalzo notevole, se si considera che solo pochi mesi fa sembrava in difficoltà, schiacciata tra la propaganda filo-Huawei e un consumatore sempre più patriottico. Eppure, ad aprile e maggio, le vendite globali sono salite del 15% anno su anno. Cook lo sa: senza Cina, niente crescita.
Ma c’è una variabile impazzita in tutto questo, ed è la guerra tecnologica. Gli Stati Uniti hanno bloccato Nvidia, Intel e AMD nella corsa a vendere chip AI alla Cina. Hanno imposto controlli alle esportazioni, aumentato dazi, e messo l’AI nella lista delle “dual-use technologies” da monitorare. In mezzo a tutto questo, Apple prova a barcamenarsi, continuando a produrre in Cina, vendere in Cina, ma restare americana. Un numero da equilibrista, sempre più difficile.
E così, invece di portare GPT-4 su iPhone in Cina, Cupertino porta Qwen3 su MLX. Non è una resa, è una strategia. Ma è anche un segnale chiaro: l’AI del futuro sarà frammentata, localizzata, spezzata tra blocchi geopolitici. L’idea di una sola AI per il mondo intero è già morta, se mai è davvero esistita.
Il risultato? Ogni utente iPhone in Cina avrà una versione “personalizzata” di Apple Intelligence. Più cauta, meno autonoma, più compliant. Meno OpenAI, più Alibaba. È il prezzo da pagare per essere ovunque.
“Think Different”, diceva lo slogan. Forse è tempo di aggiornarlo:
“Think Different, as long as it’s allowed.”