Avete presente quel bottone “Mi sento fortunato” sulla homepage di Google? Sparito. Evaporato. Sostituito da qualcosa di molto meno giocoso e infinitamente più strategico: AI Mode. Ora, se digitate qualsiasi cosa su Google dagli Stati Uniti, è Gemini 2.5 che vi risponde. Non più dieci link blu e un pizzico di fede. Ora è sintesi, immagini, voce e un motore cognitivo che imita l’onniscienza, condito da una UX che cerca di rendere invisibile il passaggio tra domanda e rivelazione. Benvenuti nella ricerca post-umana, dove non cercate più: vi viene consegnato ciò che dovreste sapere, come se Google fosse diventato il vostro consigliere imperiale.

Non è solo un aggiornamento. È un colpo di stato nella gerarchia dell’informazione globale. Con il rollout ufficiale del nuovo AI Mode e la distribuzione mondiale di Veo 3, Google non sta lanciando due prodotti. Sta ridefinendo due paradigmi: quello della ricerca e quello della creazione. E lo sta facendo con una brutalità elegante che ricorda il modo in cui l’azienda ha sempre operato quando sente odore di minaccia esistenziale. Leggi: OpenAI, TikTok, Amazon.

AI Mode è il nome in codice per una nuova esperienza di ricerca potenziata da Gemini 2.5, il grande modello linguistico che ha imparato a cercare come un umano sotto steroidi. Mentre voi formulate la domanda, il sistema già l’ha decomposta, moltiplicata, reinterpretata in decine di micro-query parallele che viaggiano nella rete come uno sciame, pescando in tempo reale le risposte più pertinenti, le fonti più attendibili (per ora) e una sintesi che non ha più nulla del vecchio snippet SEO. È un “query fan-out”, come lo chiamano in Mountain View: l’equivalente digitale di avere cento stagisti brillanti che lavorano in parallelo per risolvervi un dubbio in meno di due secondi.

Non è un caso che tutto questo arrivi ora, con la Search Generative Experience che diventa finalmente default. Per mesi è rimasta confinata in Google Labs, come un esperimento da maneggiare con cautela. Ora è ovunque. È la ricerca. E chi non si adegua verrà dimenticato. In un colpo solo, AI Mode cambia il gioco per gli editori, per l’e-commerce, per chiunque abbia costruito traffico, visibilità e denaro su quel fragile equilibrio di keyword, link e ottimizzazione semantica. Le vecchie regole sono morte. Quelle nuove non le hanno ancora scritte. Ma Google sì. E non ve le dirà.

Parallelamente, come se non bastasse, Veo 3 esce dalla sua incubazione virale ed entra nei workflow creativi professionali. Tre video al giorno in 1080p, cinematici, per tutti gli abbonati Gemini Pro in 159 Paesi. E no, non stiamo parlando di quelle animazioni glitchate e un po’ trash che fino a ieri infestavano i social. Con Veo 3, Google spara nel cuore della video economy con una precisione chirurgica: prompt testuali che generano cortometraggi, camera motion realistici, color grading degno di un regista. È come avere un regista di Hollywood al servizio del vostro reparto marketing. Ma senza sindacato, ferie o copyright.

Il messaggio implicito è fin troppo chiaro: se non puoi battere l’AI nella scrittura, figurati nel video. Google ha compreso che l’informazione è solo un aspetto. Il vero campo di battaglia è l’immaginario collettivo. E con Veo 3 si compra un posto in prima fila nel nuovo cinema algoritmico. Dove l’utente non guarda più, ma genera. Non scopre, ma inventa. Con l’assistenza – ovviamente – di Gemini.

Non è solo un cambio di strumenti. È un cambio di linguaggio. AI Mode non è lì per aiutarvi a cercare, ma per impedirvi di perdervi. È il guinzaglio invisibile del nuovo web. Vi dà l’illusione di esplorare, mentre vi accompagna esattamente dove vuole. E con Veo 3, l’illusione si fa visiva, immersiva, virale. Perché il video non è mai stato solo contenuto: è un vettore emozionale, una droga dopaminica che Google ora sintetizza in laboratorio, su richiesta.

L’ironia? Tutto questo arriva mentre la fiducia nei motori di ricerca è ai minimi storici. Tra disinformazione, contenuti spazzatura, SEO aggressiva e IA generativa fuori controllo, l’utente medio è confuso, stanco, disilluso. E cosa fa Google? Non cerca di ripristinare la vecchia ordine. Lo sostituisce con una simulazione più fluida, più autorevole, più “umana” del vero. La soluzione al rumore non è il silenzio. È un’IA che parla meglio di tutti.

Chi pensa che questa trasformazione sia neutrale non ha capito nulla. Quando AI Mode diventa default, significa che il modo in cui apprendiamo, decidiamo, compriamo e perfino discutiamo cambia radicalmente. Quando Veo 3 entra nei toolset creativi, significa che la capacità di generare contenuti video professionali non è più un vantaggio competitivo: è il nuovo minimo sindacale. La democratizzazione dell’AI non è libertà. È livellamento. E Google vuole essere l’unico che decide dove si trova la nuova soglia.

C’è qualcosa di quasi poetico nel modo in cui la homepage di Google è cambiata. Quel bottone “Mi sento fortunato”, simbolo naïf di un web romantico, viene sacrificato sull’altare della pertinenza algoritmica. Nessuno si sente più fortunato. Ora ci si sente assistiti. E il motore di ricerca non è più un portale: è un oracolo. Impassibile, onnipresente, e sempre un passo avanti a voi.

Tutto questo, ovviamente, ha conseguenze profonde per chi crea contenuti, per chi fa SEO, per chi costruisce funnel di conversione, per chi ancora crede che l’informazione sia un campo di battaglia meritocratico. Se AI Mode decide cosa mostrare e Veo 3 decide cosa è bello, l’autonomia creativa si restringe. Non scompare, ma si contrae, come una stella morente sotto il peso della gravità algoritmica. I contenuti saranno sempre più ottimizzati per Gemini, non per gli umani. O, peggio ancora, per umani addestrati da Gemini. La serp non è più una lista. È una risposta. E chi non rientra nella risposta, non esiste.

A questo punto, la domanda vera non è se Google stia cambiando. È se voi siete pronti a cambiare con lui. Perché questa nuova fase non si può ignorare, né contrastare frontalmente. Si può solo interpretare, adattare, sfruttare. Capire come parlare a Gemini, scrivere per AI Mode, pensare in formato Veo. Non è più SEO. È Sense Engine Optimization. Non cercate visibilità. Cercate sintonia. E fate in fretta.

Perché mentre leggete queste righe, Gemini ha già iniziato a scrivere le prossime. Al posto vostro. E Google, ancora una volta, non si è sentito fortunato. Ha deciso.