
È nato un nuovo partito negli Stati Uniti, o almeno così dice Elon Musk. L’ha chiamato “America Party”, come fosse il reboot di una sitcom anni ’90 girata in un garage di Palo Alto con troppa caffeina e nessuna vergogna. Il tweet – perché tutto comincia e spesso finisce lì – recita: “Oggi nasce l’America Party per restituirvi la libertà”. Se vi sembra una frase partorita da un algoritmo con problemi di identità nazionale, non siete soli. Il punto, però, non è tanto la vaghezza del proclama, quanto la logica distorta che sta dietro al progetto: usare il brand Musk per hackerare la democrazia, come fosse un’auto da aggiornare via software.
Il contesto è chiaro solo a chi ha deciso di sacrificare la propria salute mentale seguendo ogni capriccio digitale del personaggio: Musk sarebbe furioso con i repubblicani che hanno sostenuto il budget bill sponsorizzato da Trump. Così, nel più puro stile “techno-anarcho-populista con il portafoglio da imperatore romano”, ha deciso di punirli. Come? Creando un partito che, a suo dire, sarà pronto l’anno prossimo. Un dettaglio che non preoccupa nessuno, dato che ogni timeline fornita da Musk è scientificamente provata essere sbagliata con costanza maniacale. Come ha scritto il Financial Times con squisita diplomazia britannica, “le ambizioni politiche di Musk sembrano seguire lo stesso pattern delle sue previsioni di consegna per Tesla: ottimistiche, affascinanti, ma totalmente scollegate dalla realtà”. O, come ha detto più brutalmente il Wall Street Journal, “Musk è un genio nel creare nuovi problemi per i quali è l’unico a vendere soluzioni”.
Il piano, spiegato da lui stesso, è tecnicamente semplice quanto pericolosamente efficace: concentrare le risorse del partito su “due o tre seggi al Senato e 8-10 distretti alla Camera” per diventare ago della bilancia sulle leggi più controverse. Tradotto: non costruire un’alternativa politica, ma una leva di potere. Un’OPA ostile al Congresso, versione democratico-capitalista. Il sogno bagnato di ogni libertario con 300 miliardi in banca e il tempo libero per giocare a SimCity con la Costituzione americana.
Musk non è nuovo a questi colpi di teatro. Li usa per manipolare il ciclo mediatico, per restare il centro del palcoscenico anche quando il copione non lo prevede. Twitter, ribattezzato X in un atto di megalomania semantica, è solo l’ultimo esempio di questa sindrome da “tutto ciò che tocco diventa mio”. Ma la politica è un’altra bestia. Non basta una mossa brillante o una fanbase ossessionata per conquistare seggi nel Congresso. Servono alleanze, compromessi, visioni che vadano oltre il tweet virale o il meme acido contro l’establishment. Ed è qui che il progetto America Party si scontra con la realtà: non è un partito, è una startup del caos, con pitch aggressivi, branding efficace e zero piano industriale.
Le reazioni, prevedibili, oscillano tra l’ilarità e il terrore. Il campo democratico osserva con l’aria di chi non sa se ridere o aggiornare i firewall. I repubblicani, già implosi in mille correnti interne, vedono in Musk una minaccia esterna in grado di sottrarre l’ultima parvenza di coerenza ideologica. I libertari applaudono, confondendo l’anarchia con la disruption. E nel frattempo, Wall Street prende appunti, perché anche se nessuno sa dove porterà tutto questo, una cosa è certa: ci saranno flussi di capitale, pubblicità, tensione. E per il mercato, è abbastanza.
C’è poi un aspetto più sottile e inquietante. L’idea che un singolo individuo, spinto da motivazioni personali e fondi illimitati, possa decidere di fondare un partito per punire alleati politici infedeli. Non è un’evoluzione della democrazia. È un downgrade. Un ritorno all’oligarchia feudale travestita da venture politics. “Voglio ridarvi la libertà”, scrive Musk, ma la domanda è: libertà da cosa? Dalla tassazione? Dai governi? Dai limiti alla concentrazione di potere? O, più semplicemente, dalla realtà?
Come sottolinea un editoriale del WSJ, “l’approccio di Musk alla politica riflette quello usato per le sue aziende: centralizzazione assoluta, culto della personalità, rifiuto di ogni autorità esterna e una narrativa messianica che giustifica ogni azione”. E questo, applicato al potere legislativo di una democrazia federale, è un’idea meno brillante di quanto sembri.
Il cinismo politico che Musk mette in scena non è frutto di ignoranza, ma di strategia. Sa benissimo che l’America è oggi un campo minato ideologico dove il dissenso si monetizza meglio di qualsiasi subscription model. È la TikTokcrazione: ogni gesto deve essere virale, ogni scelta deve polarizzare. E un partito nuovo, fondato su una promessa vaga e un nemico mutevole, è il cavallo di Troia perfetto. Non importa se funziona, importa che se ne parli. La stessa logica che ha portato milioni di utenti a iscriversi a X solo per insultarlo, generando esattamente l’engagement che serviva.
La questione, però, resta: cosa può realmente fare l’America Party? In teoria, pochissimo. Il sistema bipartitico americano è una muraglia cinese costruita per impedire esattamente ciò che Musk vuole fare. In pratica, però, basta poco per spostare gli equilibri: un paio di seggi chiave, una narrativa ben costruita, l’appoggio di media alternativi e influencer pronti a giurare fedeltà all’ennesima crociata contro il deep state. La politica americana non è più una guerra di idee, ma una battaglia di attenzione. E lì, Musk gioca in casa.
A ben vedere, quello che Musk propone è una piattaforma politica senza ideologia, una specie di sistema operativo installabile ovunque ci sia frustrazione da capitalizzare. Come i prodotti Tesla, può non essere il migliore sul mercato, ma di certo sarà quello che si fa notare di più. Non serve vincere, basta dettare l’agenda. E se nel frattempo qualche legge salta, qualche regolamento viene riscritto e qualche parlamentare inizia a temere i meme più dei sondaggi, la missione è compiuta.
Alla fine, quindi, l’America Party potrebbe anche non esistere mai. Potrebbe essere l’ennesima trovata per manipolare mercati, avversari, narrazioni. Ma l’idea che Musk possa impiantare un virus politico nel sistema legislativo americano, con l’unico scopo di vendicarsi o divertirsi, non è poi così assurda. È l’evoluzione naturale di una democrazia in cui i miliardari non finanziano più i partiti, li fondano.
E se tutto questo vi fa sorridere, ricordatevi che anche Donald Trump era partito da un tweet.