Le informazioni sono arrivate il 6 luglio 2025, ma la storia era già nell’aria da settimane. Manhattan suda, letteralmente e metaforicamente, sotto un sole di maggio che sa di agosto. Rockefeller Center pullula di turisti sudati, ragazzini viziati con frappuccino rosa e dirigenti Google con lo sguardo distaccato. Al centro della scena: una scultura che sembra uscita da un incubo LSD di Escher e Yayoi Kusama, ribattezzata con disinvoltura “un vivace labirinto di specchi”. Solo che qui, a riflettersi, non c’è solo chi guarda. C’è anche l’ombra lunga della macchina, che ha cominciato a disegnare.

Dietro la creatura specchiante, due nomi ben noti alla scena del design contemporaneo: Wade Jeffree e Leta Sobierajski, la coppia cool di Brooklyn che da anni si muove come se il Bauhaus fosse tornato sotto acidi. Occhiali da sole d’ordinanza, sudore glamour e frasi ben calibrate. “Whisk è stato il nostro terzo partner”, dicono con nonchalance, come se un algoritmo generativo sviluppato nei laboratori di Google fosse qualcosa tra un cugino con talento e un assistente che non chiede ferie.

Whisk, per chi ancora non lo conoscesse, è l’ultima trovata uscita da Google Labs. Ufficialmente è un “esperimento di media generativi… progettato per una rapida ideazione visiva”. In realtà, è il primo passo verso una forma di co-creazione in cui l’artista diventa direttore d’orchestra di un’intelligenza che improvvisa.

I designer digitano prompt, l’AI risponde con immagini, spunti, deviazioni. Ma non disegna mai davvero da sola. O almeno questo è ciò che ci raccontano. “Non abbiamo chiesto a Whisk di creare l’opera. Gli abbiamo chiesto di aprirci delle strade”, dice Sobierajski. Il risultato è un parco giochi concettuale in cui i bambini girano dischi fluo mentre l’intelligenza artificiale osserva silenziosa, come un architetto invisibile.

Eppure l’illusione è potente. Il turista medio, selfie-stick in mano, non coglie né il sottotesto né l’overdose di machine learning dietro alla struttura. Per loro, è solo un’altra installazione instagrammabile in una città che ha imparato a vendere anche i riflessi. Ma per chi legge tra le pieghe di queste operazioni, è chiaro che non si tratta solo di arte pubblica. Si tratta di un cambiamento strutturale nei processi creativi. La domanda “come può l’intelligenza artificiale generativa espandere il processo creativo?” suona innocente, quasi da brochure. Ma la verità è più scomoda: chi sta realmente firmando queste opere?

Google non è qui per firmare le sculture. È qui per piantare semi, per far vedere che l’AI può essere musa e mezzo, complice e cavia. È una strategia da impero culturale: l’estetica come vettore di penetrazione tecnologica.

La provocazione è inevitabile: l’arte generativa è solo un nuovo giocattolo delle big tech? O sta davvero cambiando le regole del gioco? Perché se l’AI è capace di generare infiniti output, chi decide cosa è degno di essere esposto in Rockefeller Plaza? La curatela diventa filtro etico e culturale, ma anche scudo commerciale. Un designer visionario può ancora dominare la scena, ma lo fa seduto sulla spalla di un colosso digitale che monitora ogni pixel. In questo quadro, l’originalità si trasforma in una danza a tre: artista, algoritmo e azienda.

Whisk, in fondo, non è che un’anteprima. Un proof of concept. Un esperimento che, come molti altri, serve più a testare la nostra tolleranza culturale all’automazione che a creare qualcosa di realmente innovativo. L’opera è bella, certo. È brillante, luminosa, interattiva. Ma ciò che realmente brilla, dietro gli specchi, è il riflesso del controllo.

È qui che la faccenda si complica. Perché se il pubblico comincia ad accettare l’idea che un’IA possa contribuire a un’opera d’arte pubblica, cosa succede quando quella stessa intelligenza genera musica, letteratura, film? La differenza tra “supporto” e “sostituzione” si fa sottile, quasi inesistente. E se oggi il designer è ancora “la forza trainante”, domani potrebbe essere semplicemente il nome su una targhetta accanto a un prompt ben formulato.

C’è qualcosa di ironico nel vedere Google la compagnia che ha reso l’accesso all’informazione un monopolio diventare anche co-creatore dell’immaginario visivo. Una distorsione perfetta del concetto stesso di ispirazione. Come se il motore di ricerca fosse diventato artista. O, peggio, come se l’arte avesse cominciato a cercare su Google.

Chi vincerà? Il creativo umano, con il suo caos, le sue intuizioni, le sue follie? O l’algoritmo, con la sua capacità di sfornare bellezza su richiesta, senza bisogno di mangiare, dormire, sbagliare? La risposta, forse, sta nei dettagli. Nei riflessi storti degli specchi di Manhattan. Nelle dita di un bambino che gira un disco fluo, ignaro di trovarsi in un’opera co-firmata da un’intelligenza artificiale.

E mentre il sole cala su Rockefeller Center, e i selfie continuano a fioccare, una cosa è certa: l’arte ha nuovi padroni di casa. Non indossano tute da lavoro né grembiuli da pittore. Portano badge di Google, codici in Python e ambizioni planetarie.

Siamo assolutamente entusiasti di aver lanciato il nostro progetto più grande finora al Rockefeller Center ieri sera! Dopo un anno di duro lavoro, esperimenti e sogni, è stato incredibile condividere questo momento con i nostri amici e la comunità.

Grazie a tutti coloro che sono venuti a Reflection Point e l’hanno reso indimenticabile. Grazie al team di @Google Labs per averci dato fiducia nel portare qualcosa di simile al Rockefeller Center!

E un enorme grazie a @studio_renzoei per il duro lavoro, la dedizione, le notti insonni e le spinte incessanti per produrre e installare l’opera — non ce l’avremmo fatta senza di voi.

Cliente: @google / @jamiebarrar, Alice Oakhill, Maggie Zhang, Enver Ramadani, Brianna Doyle (e un ringraziamento speciale a @georginakerr per averci coinvolto!)

Grazie a @rockefellercenter per aver ospitato questo lavoro Concetto e design: @wadeandleta Design, costruzione e fabbricazione: Jean e Gabriel alla guida di @studio_renzoei

Produzione: Kate Casas, Olivia Elizandro Fotografia: @collinhughes Fotografia aggiuntiva: @wadeandleta

letasobierajski and 3 others

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