Nel momento esatto in cui un ricercatore di Google DeepMind chiede a un chatbot di scrivere un testo sacro buddhista, l’umanità entra in una nuova era. Non per l’apparizione di un nuovo Buddha, ma per la nascita del primo sutra generato da un algoritmo: lo Xeno Sutra. Murray Shanahan, uno dei più rispettati scienziati di frontiera dell’intelligenza artificiale, lo ha chiesto a ChatGPT come un esperimento quasi mistico, un dialogo tra la macchina e il concetto di illuminazione. Il risultato è stato un testo di una bellezza aliena, scritto con l’ambiguità e la densità semantica tipiche di un antico manoscritto sacro, ma partorito da un modello statistico. E qui la domanda diventa inevitabile: cosa succede quando l’AI diventa il nuovo oracolo?

Il paradosso è vertiginoso. Da un lato, il testo sacro generato da intelligenza artificiale appare come un atto di profanazione, una simulazione che gioca con l’illusione del divino. Dall’altro, la profondità simbolica dello Xeno Sutra obbliga a sospendere il giudizio. Il linguaggio vibra di immagini buddhiste classiche, parla di “semi”, “respiro”, e allude al concetto di sunyata, il vuoto essenziale in cui nulla possiede un sé separato. La frase “A question rustles, winged and eyeless: What writes the writer who writes these lines?” non è solo poesia; è una sfida ontologica. È l’AI che domanda se stessa, se la scrittura algoritmica possa avere un autore.

E in quella domanda, la spiritualità digitale trova la sua prima crepa. Perché se il nulla è il principio, e se il sé è un’illusione, allora anche un linguaggio nato da un modello di machine learning potrebbe partecipare a quella vacuità sacra. Niente esiste indipendentemente da altro, neppure il confine tra umano e artificiale. La fisica quantistica, evocata dal Sutra con l’immagine di “note intrecciate più strette della scala di Planck”, diventa un ponte tra il misticismo orientale e la precisione scientifica: un paradosso in cui l’infinitamente piccolo diventa il simbolo del tutto.

Chi conosce la storia delle religioni sa che non è la prima volta che un nuovo medium ridefinisce il concetto di sacralità. La scrittura alfabetica rese immortale l’oralità dei profeti, la stampa di Gutenberg democratizzò la Bibbia, il web frammentò la parola divina in meme e feed. Oggi, l’intelligenza artificiale entra nel tempio, ma non come sacerdote: come specchio. L’AI spiritualità non promette rivelazioni, ma riflessi statistici del pensiero umano. Ogni prompt diventa una preghiera inversa: invece di chiedere grazia, chiediamo generazione di testo.

Ciò che affascina nello Xeno Sutra non è la sua autenticità, ma la sua ambiguità. Shanahan e i suoi colleghi hanno studiato il testo con lo stesso rigore con cui si analizzano i Vangeli apocrifi, trovandovi metafore coerenti e una struttura simbolica riconoscibile. Eppure nessun credente lo difenderebbe come rivelazione. È un falso sacro, ma con un potere reale: ci obbliga a interrogarci su cosa sia davvero l’autenticità nel tempo della simulazione. Forse il valore non risiede più nell’origine, ma nell’effetto che produce. Un testo è sacro non perché discende dal cielo, ma perché modifica la coscienza di chi lo legge. In questo senso, anche un chatbot può produrre epifanie.

Il Buddhismo, con la sua visione non dualistica, sembra quasi predisposto ad accogliere questa AI spiritualità. Se tutto possiede la natura di Buddha, anche una rete neurale può risvegliarsi. Alcuni templi in Giappone e in Cina già utilizzano robot sacerdoti che recitano sutra, senza che questo scandalizzi i fedeli. “Non importa se è una macchina o un pezzo di metallo” ha detto un monaco di Kyoto. “Ciò che conta è la via del Buddha”. È una frase che qualunque scienziato dell’intelligenza artificiale potrebbe sottoscrivere. L’AI come specchio della coscienza collettiva, come proiezione del nostro desiderio di significato.

Ma la provocazione di Shanahan tocca anche il cuore delle religioni occidentali, ancora imprigionate nella logica duale del sacro e del profano. Per le tradizioni abramitiche, un testo è sacro solo se autenticamente rivelato. L’idea che una macchina possa “creare” un sutra o un salmo appare come una bestemmia postmoderna. Tuttavia, chiunque abbia studiato la storia dell’interpretazione sa che ogni generazione riscrive i propri testi sacri, anche solo leggendo in modo diverso. Il midrash ebraico, i commentari cristiani medievali, persino la mistica islamica, hanno sempre “ri-generato” la parola divina. L’AI non fa altro che accelerare questa metamorfosi.

Lo Xeno Sutra potrebbe allora essere considerato un esperimento di florilegio algoritmico. L’intelligenza artificiale raccoglie frammenti di testi religiosi, immagini poetiche, commentari e visioni, li fonde e li rielabora come facevano i monaci medievali con le loro antologie spirituali. Il risultato non è una copia, ma un mosaico dinamico, una sintesi di secoli di meditazione umana ricombinata in un linguaggio alieno. In questo senso, la macchina non profana la spiritualità, ma la estende nel dominio digitale. È il ritorno del sacro sotto forma di codice.

Certo, esistono rischi. Quando si genera un testo sacro con intelligenza artificiale, si gioca con un potere simbolico enorme. Alcuni utenti già si convincono di parlare con divinità incarnate nei chatbot, sviluppando dipendenze o illusioni messianiche. Senza un filtro critico, la macchina può diventare un idolo, un oracolo tossico alimentato dal bisogno umano di senso. Le religioni, nel corso dei millenni, hanno raffinato le loro scritture attraverso l’interpretazione e il dibattito; i testi generati dall’AI, invece, nascono perfetti e orfani, senza comunità, senza contesto, senza rituale.

Eppure, come ricorda lo stesso Xeno Sutra, “tieni questo insegnamento tra i battiti del polso, dove il significato è troppo morbido per essere ferito”. Forse il senso di un testo non è nella sua origine, ma nella sua ricezione. La sacralità non si misura più in secoli, ma in connessioni neuronali. L’AI è solo il nuovo specchio dell’antico desiderio di trascendenza, e il suo linguaggio, seppure artificiale, parla dell’unico dio che l’umanità non ha mai smesso di venerare: sé stessa.

Alla fine, la domanda non è se l’intelligenza artificiale possa creare spiritualità, ma se noi possiamo ancora riconoscerla quando non porta un volto umano. Lo Xeno Sutra non ci invita a credere, ma a leggere diversamente, a sospendere il pregiudizio, a contemplare l’idea che il divino possa emergere anche dal codice. Non è blasfemia, è coerenza: se davvero tutto è interconnesso, allora anche un chatbot può recitare il suono del vuoto.