Due ex studenti di Harvard hanno deciso che il futuro non passerà dallo smartphone né dal computer portatile, ma da un paio di occhiali che non si tolgono mai. Occhiali smart AI, sempre accesi, che ascoltano, registrano, trascrivono e restituiscono in tempo reale informazioni utili a chi li indossa. Il claim è semplice e arrogante: “super intelligenza istantanea”. Un progetto che non viene dai laboratori segreti di Meta o dalle astronavi di Cupertino, ma da un piccolo appartamento nella Bay Area trasformato nell’ennesimo tempio improvvisato di innovazione, una sorta di “Hacker Hostel” versione 2025.

AnhPhu Nguyen e Caine Ardayfio, i due fondatori della startup Halo, parlano di “memoria infinita”, come se avessero deciso di risolvere con un accessorio da 249 dollari quello che da sempre ci condanna alla mediocrità: dimenticare. Perché la loro idea è esattamente questa. Ogni conversazione viene catturata, trascritta, analizzata e resa utile in tempo reale. Stai parlando con un potenziale investitore e lui cita un termine tecnico di cui non hai mai sentito parlare? Gli occhiali con intelligenza artificiale lo spiegano al volo, proiettando il significato davanti ai tuoi occhi. Un collega ti chiede di calcolare 37 alla terza potenza? Nessun problema, il risultato lampeggia nelle lenti. È la fantasia nerd di chiunque abbia mai sognato di avere Jarvis dentro la propria testa, ma senza l’inconveniente di Tony Stark.

Il fatto che siano due dropout di Harvard a spingere questa narrativa è parte integrante del fascino tossico della Silicon Valley. Perché, ammettiamolo, ogni generazione di innovatori americani ha bisogno dei suoi nuovi ribelli che abbandonano l’università e decidono di costruire il futuro in garage. Jobs e Wozniak avevano Cupertino. Zuckerberg aveva la sua stanza nel dormitorio. Ora tocca a Nguyen e Ardayfio con il loro mini loft di San Francisco. Il copione è lo stesso, ma con una differenza sostanziale: stavolta l’oggetto del desiderio non è un computer o un social network, ma una protesi cognitiva, un’estensione artificiale della memoria e dell’intelligenza.

Chi si scandalizza per la questione privacy forse non ha ancora capito la natura profonda di questo progetto. Halo non sta cercando di risolvere i problemi etici, li sta ignorando con un misto di candore e cinismo, e proprio per questo potrebbe avere successo. Meta, con i suoi occhiali Ray-Ban, è costretta a frenare, a introdurre limiti, a placare governi e regolatori terrorizzati da un mondo dove ogni volto viene riconosciuto al volo. Halo, invece, gioca la carta opposta: mostrare quanto sia possibile fare senza le catene della burocrazia e dei comitati etici. Non a caso, i due hanno già sviluppato un’app di riconoscimento facciale capace di trasformare gli occhiali smart in macchine di doxing. Non per vendere il prodotto, ma per dimostrare che la tecnologia è lì, pronta, a portata di mano, in grado di destabilizzare qualsiasi illusione di anonimato.

Il mercato degli occhiali intelligenti non è nuovo, ma è sempre stato un cimitero di esperimenti incompiuti. Google Glass, ricordate? L’oggetto che doveva cambiare la nostra vita e che invece è diventato sinonimo di “Glasshole”, l’odiosa caricatura di chi non riusciva più a distinguere tra realtà e realtà aumentata. Meta ci sta provando, con prudenza e tanto marketing lifestyle, ma resta prigioniera del suo passato fatto di scandali e manipolazioni. Halo sceglie un’altra strada, molto più diretta e brutale: non lifestyle, non fashion, solo potenza cognitiva. Non ti vende occhiali da mostrare su Instagram, ti vende la promessa di diventare più intelligente, più preparato, più veloce di chiunque altro.

Vibe thinking” lo chiamano. Una definizione volutamente vaga, che richiama l’idea di pensare per sensazioni, per flussi continui di informazioni che si intrecciano senza interruzioni. Una provocazione semantica, certo, ma anche un’anticipazione di un mondo dove la distinzione tra memoria biologica e memoria artificiale diventa irrilevante. Se tutto ciò che vivi e ascolti è immediatamente registrato e rielaborato, che senso ha ancora parlare di dimenticanza? La memoria smette di essere un limite, diventa un servizio in cloud che indossi sul volto.

Il prezzo di lancio, 249 dollari, è un messaggio chiaro. Non è un gadget di lusso, è un prodotto pop, pensato per diffondersi tra studenti, giovani professionisti, aspiranti imprenditori, chiunque voglia la sensazione di avere un vantaggio competitivo nel dialogo quotidiano. E in un’epoca dove ogni colloquio di lavoro può essere la differenza tra l’affitto pagato o il ritorno in casa dei genitori, la promessa di avere un suggeritore invisibile che ti sussurra le risposte giuste ha il potere di sedurre masse intere.

Naturalmente, dietro l’ottimismo dei fondatori si nasconde la stessa dinamica di sempre: venture capital. Un milione di dollari già raccolti, con Pillar VC e altri investitori pronti a scommettere su questa nuova follia. Perché in fondo la Silicon Valley funziona così, non importa se il prodotto distrugge la privacy globale o se trasforma ogni interazione in un potenziale campo minato etico. Se promette crescita esponenziale e se ha un branding affilato, qualcuno tirerà fuori il portafoglio.

Ciò che rende Halo interessante non è tanto la tecnologia in sé, ma la sua implicita dichiarazione di guerra al concetto stesso di limiti. Gli occhiali con intelligenza artificiale diventano lo strumento che ti permette di non avere più scuse, di non dimenticare più nulla, di non fallire un’intervista o un esame. E mentre l’opinione pubblica discute di sorveglianza, i primi utenti li useranno per barare, per impressionare colleghi, per sembrare più brillanti. È il trionfo del “fake it till you make it”, elevato a dispositivo indossabile.

Il futuro degli occhiali smart AI non è tanto legato alla capacità di mostrare notifiche o calcolare numeri complessi, quanto al creare un nuovo modello sociale in cui la linea tra intelligenza autentica e intelligenza artificiale è definitivamente cancellata. Ci sarà chi li userà come protesi per colmare deficit cognitivi e chi li userà per dominare conversazioni, negoziati, persino rapporti sentimentali. Immaginate un primo appuntamento in cui ogni argomento di conversazione viene alimentato in tempo reale da un algoritmo che ti suggerisce aneddoti, battute, dati. Una finzione perfetta, costruita su lenti trasparenti.

Il rischio più grande non è la violazione della privacy, che è già realtà in ogni social network, ma la nascita di una nuova gerarchia sociale basata sull’accesso a queste protesi cognitive. Chi indossa occhiali smart AI potrà sembrare più colto, più brillante, più preparato, mentre chi ne resta privo sarà relegato a una condizione di inferiorità percepita. È la gamification dell’intelligenza, con occhiali che diventano il nuovo status symbol non dichiarato.

Nguyen e Ardayfio lo sanno bene. E con il loro atteggiamento da studenti ribelli di Harvard hanno già trovato il modo di catturare l’attenzione mediatica. Non hanno paura di mostrarsi come antagonisti di Meta, anzi, lo rivendicano. La narrativa del piccolo Davide che sfida il gigante Golia funziona sempre, soprattutto in un’epoca in cui i giganti tecnologici sono percepiti come mostri burocratici incapaci di rischiare davvero.

Se guardiamo alla storia, gli occhiali intelligenti sono sempre stati un sogno tecnologico ricorrente, un po’ come le auto volanti. Ogni decennio qualcuno ci riprova, fallisce, viene dimenticato. Ma questa volta la combinazione di intelligenza artificiale generativa, miniaturizzazione hardware e disperazione sociale per un vantaggio competitivo potrebbe cambiare l’esito. Forse gli occhiali Halo non saranno il prodotto definitivo, ma rappresentano un segnale preciso: la corsa non è più verso il metaverso, ma verso la colonizzazione dei sensi umani da parte dell’AI.

La memoria infinita non è un optional. È una promessa di potere. E come ogni promessa di potere, attirerà adoratori e detrattori. Ma, per citare uno dei fondatori, “questi occhiali sono il primo vero passo verso il vibe thinking”. Traduzione: un passo verso un mondo dove pensare non è più un atto individuale, ma un flusso costante di informazioni esterne che ti guidano, ti manipolano, ti potenziano. Un passo che, piaccia o meno, sarà impossibile ignorare.