Macrohard. Il nome stesso suona come uno scherzo da liceo. Un gioco di parole che sembra fatto per strappare un sorriso, ma che porta con sé la firma inconfondibile di Elon Musk. L’uomo che da decenni trasforma la provocazione in strategia industriale, dal mettere razzi nello spazio al vendere auto elettriche come status symbol per miliardari annoiati. Ora l’obiettivo dichiarato è demolire il dominio software di Microsoft con un progetto che sembra scritto da uno sceneggiatore di satira tecnologica: una compagnia interamente simulata da intelligenze artificiali, senza dipendenti umani, che produce software generato da AI e lo mette sul mercato. Macrohard, appunto. Il meme diventa modello di business, e il mondo si accorge che dietro lo scherzo si nasconde un piano che potrebbe essere letale per chi domina oggi lo stack digitale.

Chi conosce Musk sa che non lancia mai una provocazione senza calcolare l’onda d’urto. Macrohard è stata annunciata con un post fulmineo su X, la sua piattaforma prediletta per rovesciare gran parte del settore tecnologico con 280 caratteri o meno. “Unisciti a @xAI e aiuta a costruire una compagnia di software puramente AI chiamata Macrohard. È un nome ironico, ma il progetto è molto reale”. Non è solo un altro esperimento. È una dichiarazione di guerra diretta contro Microsoft, il gigante che oggi tiene in ostaggio l’AI enterprise grazie alla sua alleanza con OpenAI e al suo arsenale chiamato Copilot.

Non ci troviamo di fronte all’ennesima “app AI”. Musk parla di un’intera compagnia digitale popolata da agenti software che fingono di essere sviluppatori, designer, tester. Una simulazione in stile videogioco, un “The Sims” dell’industria tecnologica, ma con conseguenze reali: linee di codice, applicazioni, servizi e videogiochi pronti a essere messi sul mercato. Un ecosistema in cui l’intelligenza artificiale non supporta il lavoro umano, ma diventa l’unica forza lavoro, replicando e superando decenni di know-how accumulato da Microsoft.

Il dettaglio gustoso, che Musk non poteva lasciarsi sfuggire, è che la sua vendetta arriva trent’anni dopo uno stage fatto proprio a Redmond. Allora era un ragazzo con un PC da 256k di RAM che sognava di scrivere videogiochi. Oggi ritorna con un supercomputer chiamato Colossus 2, in grado di addestrare migliaia di agenti virtuali che potrebbero fare a pezzi lo stesso impero che lo aveva ospitato come stagista. Ironia della sorte: Satya Nadella, attuale CEO di Microsoft, aveva scherzato poco tempo fa sull’integrazione dei modelli Grok di xAI dentro Azure. Ora lo scherzo si ribalta.

Il cuore di Macrohard è l’idea che il software non sia più un prodotto umano, ma il risultato di una collaborazione infinita tra agenti digitali. Non più Copilot che suggerisce codice a un programmatore, ma un intero team virtuale che si autogenera, si corregge, si sfida e si migliora fino a produrre qualcosa che non ha bisogno dell’intervento umano. Musk lo chiama “compagnia AI-first”, ma in realtà è un ribaltamento totale del concetto di impresa tecnologica. Se Microsoft ha costruito il suo impero vendendo sistemi operativi e suite da ufficio scritti da eserciti di programmatori, Macrohard promette di replicare lo stesso impero, senza la carne e senza il sangue, solo con algoritmi che simulano lavoro e competenze.

Qui emerge la prima frattura filosofica. Microsoft sta facendo il massimo per integrare l’AI dentro i prodotti esistenti, trasformando Word in un assistente, Excel in un oracolo statistico e GitHub in un compagno di scrittura di codice. Musk invece rovescia il tavolo e dice: “Non ci servono i vostri prodotti, possiamo rifarli da zero, meglio e più velocemente, con intelligenze artificiali che non dormono, non scioperano e non hanno stock option”. È la versione tecnologica di Davide contro Golia, ma Davide questa volta è un algoritmo distribuito su un supercomputer che non conosce pietà.

Critici e osservatori sottolineano rischi enormi. Un ecosistema di agenti AI che simula umani per creare software potrebbe generare problemi etici colossali. Si parla di lavori sostituiti, di creatività compressa, di errori che diventano sistemici perché nessun occhio umano supervisiona. Musk risponde con la sua tipica arroganza californiana: “Il futuro appartiene a chi lo costruisce”. In altre parole, mentre gli accademici discutono, lui mette in moto il motore più grande che possa immaginare e invita il mondo a inseguirlo, se ci riesce.

La provocazione colpisce al cuore proprio Microsoft, che da decenni vive di software senza hardware. Musk lo sa bene e lo ha ripetuto nel suo annuncio: un impero basato esclusivamente sul software può essere replicato dall’AI, perché l’AI non deve progettare fabbriche o supply chain fisiche, deve solo generare codice e interfacce. È l’attacco più diretto al modello Redmond dai tempi in cui Google aveva tentato di spostare la produttività sul cloud. Con una differenza cruciale: qui non si tratta di cambiare piattaforma, ma di eliminare la dipendenza dal lavoro umano stesso.

Il fascino perverso di Macrohard sta tutto in questa idea. Non è un nuovo prodotto da integrare, non è un’applicazione brillante da aggiungere al portafoglio, è una sfida al concetto stesso di compagnia tecnologica. Cosa succede se una corporation può esistere come simulazione, con centinaia di agenti AI che fingono di essere dipendenti e che generano software vendibile? La definizione di “azienda” inizia a incrinarsi, e con essa l’intera struttura del capitalismo digitale. Microsoft è il bersaglio perfetto perché rappresenta l’incarnazione del vecchio software: stabile, collaudato, ma intrappolato nella sua stessa eredità di miliardi di linee di codice. Musk invece offre il sogno di un foglio bianco, un reset totale in cui l’AI scrive da capo un sistema operativo, una suite da ufficio, una piattaforma di gioco.

La battaglia sarà lunga e feroce. Microsoft non resterà certo a guardare. Con OpenAI come alleato e un’infrastruttura cloud globale, Nadella può permettersi di rispondere con forza. Ma Macrohard porta un messaggio devastante: non si tratta più di competere prodotto contro prodotto, si tratta di competere visione contro visione. Una visione in cui xAI e i suoi Grok diventano la linfa vitale di un intero ecosistema, mentre Microsoft continua a innestare AI sopra le sue vecchie fondamenta. In apparenza, il colosso sembra ancora imbattibile. In realtà, sappiamo tutti come funzionano le disruption: arrivano ridendo, poi spazzano via l’ordine costituito.

Molti analisti liquidano Macrohard come l’ennesimo stunt mediatico. Forse hanno ragione. Ma dicevano lo stesso di Tesla, e oggi i mercati automobilistici mondiali sono stravolti. Dicevano lo stesso di SpaceX, e oggi la NASA dipende dai razzi di Musk per volare nello spazio. Sottovalutare Macrohard potrebbe rivelarsi un errore costoso. Perché anche se non dovesse distruggere Microsoft, costringerà comunque l’intero settore a porsi domande che preferirebbe ignorare: cosa significa lavorare in un mondo in cui il software non è più scritto da umani? Quale valore ha ancora un programmatore se il suo alter ego virtuale può fare lo stesso lavoro mille volte più velocemente?

Macrohard non è solo un progetto, è una provocazione esistenziale per l’industria del software. Se funzionerà, ci troveremo a vivere in un mondo in cui le compagnie non sono più fatte di persone, ma di simulazioni. Un mondo in cui la parola “Microsoft” suonerà come un ricordo archeologico di un’epoca in cui gli umani scrivevano codice e credevano di essere indispensabili. Musk, con il suo sorriso ironico, ci invita a entrare in questo futuro. La domanda non è se avremo scelta, ma solo quanto tempo ci metteremo ad accorgerci che la scelta è già stata fatta.