Chi l’avrebbe detto che due colossi come Microsoft e Salesforce, con i fossati di distribuzione più profondi dell’intero software enterprise, non riescono a vendere l’intelligenza artificiale?

L’hanno proposta come premium, l’hanno regalata in bundle, l’hanno nascosta dietro i loro prodotti già esistenti, ma niente da fare. I clienti non mordono l’amo. Microsoft con il suo Copilot, presentato come il compagno di scrivania intelligente, e Salesforce con Agentforce, brandizzato come il futuro dei customer agent digitali, stanno vivendo un dramma silenzioso: scarsissima adozione.

Le vendite non decollano, anche se le forze commerciali spingono come se fossero in trincea. E quando due aziende che dominano il mercato enterprise non riescono a trasformare il clamore generato dall’AI in ordini firmati, allora il problema non è nel commerciale ma nell’architettura stessa della tecnologia. Parliamo dei tanto idolatrati LLM.

Gli LLM hanno un soffitto architetturale che non si piega con la scala. Possono truccare i benchmark, non le capacità reali. Possiamo chiamarli GPT-9, Grok-9, Claude-9 o Gemini-9, non cambia lo spettacolo: è sempre la stessa proiezione con finale già visto. Le allucinazioni non spariscono, i modelli rimangono congelati nel momento della training, l’aggiornamento richiede compute costoso e ingestibile, non imparano in tempo reale, non si adattano autonomamente a condizioni mutevoli del mondo reale senza babysitteraggio umano costante e non riescono ad aggiornare se stessi al volo. L’impresa non compra allucinazioni, compra affidabilità. Non vuole la magia della demo, pretende trasparenza, auditabilità, costi prevedibili e risultati ripetibili. E per quanto ci si sforzi con patch, RAG, guardrail, memory hack, prompt-engineering e fine-tuning, la sostanza non cambia: i LLM falliscono su tutta la linea.

Per questo motivo i progetti pilota sfolgorano durante la demo e collassano in produzione. Le aziende Fortune 500 non premiano la furbizia di un keynote, esigono software che sia prevedibile, replicabile, certificabile. Il muro di granito dell’impresa non viene scalfito dall’entusiasmo degli evangelisti, e qui sta il punto: il problema non è la distribuzione ma la tecnologia. Gli LLM non superano mai questo muro perché nascono con vincoli strutturali che li rendono poco più che intrattenitori di lusso. E qui la provocazione si fa inevitabile: siamo davanti a un prodotto inadatto, non a un fallimento di go-to-market.

Gli LLM hanno difetti noti ma troppo spesso minimizzati. Inventano risposte con convinzione teatrale, hanno pesi congelati una volta addestrati, ogni retraining consuma risorse di calcolo come una centrale nucleare, non sanno apprendere in tempo reale, devono essere guidati e corretti come stagisti imbranati, non hanno memoria verificabile né tracciabile, confondono il mimetismo dei token con il ragionamento causale e infine sfoggiano unit economics disfunzionali, con costi marginali crescenti per ogni prompt e ogni utente, esattamente l’opposto di come dovrebbe scalare un software sano. Una caricatura di innovazione più che una rivoluzione industriale.

Nessun keynote scintillante, nessun assegno di venture capital da dieci trilioni, nessuna retorica di leadership tecnologica può mascherare queste fratture. E allora perché ostinarsi a gonfiare la bolla con l’illusione che più parametri significhi più intelligenza? La realtà è che il percorso di crescita degli LLM si è già scontrato con un tetto strutturale. Non è questione di tempo, è questione di architettura. L’AI generativa basata unicamente su deep learning statistico ha mostrato il meglio che poteva offrire e non è sufficiente per i bisogni del mondo enterprise. È come affidare il bilancio di una multinazionale a un prestigiatore: il trucco stupisce per un istante, ma non passerà mai l’audit di Deloitte.

Qui entra in gioco un concetto che inizia a emergere come alternativa reale: l’intelligenza artificiale cognitiva. Non parliamo della versione 2.0 degli stessi modelli, ma di un cambio di paradigma. L’intelligenza artificiale cognitiva basata su architetture neuro-simboliche integrate, INSA per chi ama gli acronimi, promette esattamente ciò che gli LLM non possono dare. Apprendimento incrementale in tempo reale, adattamento autonomo a obiettivi variabili, costruzione di modelli causali del mondo e risultati che siano ripetibili, verificabili, affidabili senza dover bruciare miliardi in GPU e watt solo per generare una frase più convincente. Non un patchwork di correzioni, ma un salto architetturale verso un’intelligenza che possa finalmente definirsi tale.

Il paradosso diventa quasi comico se guardiamo al mercato. Microsoft e Salesforce hanno fossati di distribuzione talmente larghi che qualsiasi software mediocre, negli anni, ha comunque trovato milioni di clienti solo grazie all’implacabile forza commerciale. Eppure, questa volta, nemmeno il loro peso riesce a piegare la resistenza dell’impresa. Il che significa che il giudizio è già arrivato: il muro dell’adozione è reale. Se i giganti non riescono a spingere LLM oltre il ciclo dell’hype, non c’è marketing né account manager che tenga. Non è un difetto di execution, è un problema genetico della tecnologia.

L’industria farebbe bene a smettere di buttare capitali in quella che ormai è subsidyware, un software che vive solo grazie a sussidi di investitori e alla spettacolarizzazione mediatica. Meglio finanziare l’intelligenza artificiale cognitiva, quella che promette vera capacità di apprendere, ragionare, adattarsi e produrre valore in linea con gli standard del mondo enterprise. La stessa Fortune 500 che oggi guarda agli LLM con crescente scetticismo, domani potrebbe invece abbracciare un paradigma che non si limita a recitare testi preconfezionati, ma costruisce conoscenza viva e verificabile.

Il destino della AI enterprise non si giocherà su chi ha più GPU o più data center, ma su chi saprà proporre una tecnologia che risolve davvero i problemi aziendali. E a giudicare dai fallimenti di Microsoft e Salesforce, la risposta non arriverà dai modelli linguistici giganti. Arriverà da una nuova architettura cognitiva, capace di superare i limiti strutturali e di consegnare finalmente ciò che le aziende comprano davvero: certezza, auditabilità, controllo dei costi e risultati affidabili. Tutto il resto è rumore di fondo, buono per i keynote ma inutile nelle boardroom. Chi ha capitali da investire dovrebbe smettere di alimentare il sogno logoro degli LLM e iniziare a finanziare il futuro: l’intelligenza artificiale cognitiva.