C’è qualcosa di inquietante nel rendersi conto che la voce che stai ascoltando potrebbe non appartenere a un essere umano. Non è un trailer di Black Mirror, è la realtà. Una nuova ricerca ha dimostrato che la maggior parte delle persone non è più in grado di distinguere tra una voce reale e una generata dall’intelligenza artificiale. Il confine tra naturale e sintetico si è dissolto, e il nostro cervello sembra essersi già arreso.

Gli studiosi hanno sottoposto un gruppo di persone a ottanta campioni vocali. Metà erano autentici, metà prodotti da un modello AI accessibile a chiunque, come ElevenLabs. I risultati sono stati sorprendenti e un po’ sconcertanti. Le voci artificiali generiche sono state per lo più riconosciute come finte. Fin qui tutto bene. Ma quando l’intelligenza artificiale ha clonato voci umane reali, il 58 per cento degli ascoltatori le ha scambiate per vere. Persino le voci umane autentiche sono state identificate correttamente solo nel 62 per cento dei casi. Una differenza del quattro per cento, praticamente nulla. Significa che, per il nostro cervello, reale e artificiale sono ormai la stessa cosa.

È affascinante e inquietante al tempo stesso. Se l’AI riesce a ingannare le nostre orecchie, che cosa resta della nostra fiducia sensoriale? La voce, un tempo segno inequivocabile dell’identità, oggi può essere replicata, modellata, esportata. Con un software gratuito, chiunque può parlare con la voce di chiunque altro. Ed è qui che la questione si fa ambivalente, perché la stessa tecnologia che può truffare una nonna al telefono è anche quella che restituisce la parola a chi l’ha persa.

Persone mute o con disturbi del linguaggio possono ora ricreare la propria voce originale, o inventarne una nuova che rifletta la loro identità. Gli studenti con ADHD possono beneficiare di contenuti audio su misura, più stimolanti e personalizzati. E qualcuno sta già usando l’AI per “parlare” la propria lingua madre in altre lingue, mantenendo intatta l’impronta emotiva della voce. È una rivoluzione sensoriale, che fonde accessibilità, empatia e inganno nella stessa linea di codice.

Ma dietro ogni innovazione c’è una nuova vulnerabilità. Le truffe vocali basate su AI sono già una realtà, e gli anziani ne sono le vittime più esposte. Bastano pochi secondi di audio per clonare una voce e far credere a un genitore che il figlio sia in pericolo. Se la voce non è più garanzia di autenticità, allora l’intero concetto di fiducia va ripensato.

La linea tra umano e artificiale non si è solo assottigliata, è evaporata. Forse il suono più umano che ci resta è il silenzio, quello momento in cui dubiti di ciò che senti e ti chiedi se, in fondo, la voce dall’altra parte sia davvero reale.