C’è qualcosa di stranamente familiare nel World Economic Outlook di ottobre 2025: il mondo non cresce, ma continua a raccontarsi che lo farà presto. Il Fondo Monetario Internazionale parla di un’economia “in flusso”, un eufemismo elegante per dire che nessuno sa più esattamente dove stiamo andando. Dopo anni di crisi concatenate, tra pandemie, guerre commerciali, crisi energetiche e boom tecnologici a intermittenza, la globalizzazione sembra un software che ha smesso di ricevere aggiornamenti, ma che nessuno ha ancora il coraggio di disinstallare.

Il nuovo scenario economico globale è quello di una specie di protezionismo sofisticato: tariffe che cambiano ogni trimestre, catene del valore che si accorciano e confini che si allungano. Gli Stati Uniti hanno aperto le danze con nuovi dazi a febbraio, l’Europa, da parte sua, risponde con la consueta eleganza burocratica mentre la Cina osserva e accumula. Il risultato? Una crescita mondiale stimata al 3,2% nel 2025, in calo rispetto al 3,3% del 2024 e ben lontana dai ritmi pre-pandemici. Non siamo in recessione, questo è ovvio, ma è come volessimo definire “pausa creativa” un fallimento industriale, anche se l’FMI parla di un’economia “resiliente ma fragile”, sostenuta da politiche fiscali espansive che, per quanto necessarie, cominciano a somigliare a una dieta fatta solo di dessert: piacevole all’inizio, ma insostenibile sul lungo periodo. I debiti crescono, i bilanci pubblici scricchiolano e i mercati – per ora – fanno finta di non accorgersene.

Tra i rischi citati nel rapporto di ottobre, spicca un monito che suona come una vendetta poetica: un crollo delle tech stock innescato da risultati deludenti sull’AI.

In altre parole, dopo due anni di entusiasmo euforico, il Fondo Monterio Internazionale ci ricorda che l’intelligenza artificiale non stampa PIL (almeno non ancora). L’AI ha creato aspettative di produttività e guadagni aziendali che i dati, per ora, non sembrano confermare, mentre un’eventuale “repricing tecnologico”, come lo chiama il rapporto, potrebbe far evaporare non solo i profitti, ma anche la narrativa stessa alla base di tutto.

Anche se poi, il documento dell’FMI lascia aperto uno spiraglio ottimistico: se l’AI dovesse davvero accelerare la produttività, allora il mondo potrebbe beneficiarne in modo diffuso. Tradotto: la speranza è ancora un asset macroeconomico.

L’incertezza politica e normativa resta la variabile dominante. I governi tagliano aiuti allo sviluppo, riducono l’immigrazione (e quindi la forza lavoro) e cercano di stimolare la crescita con misure fiscali che ricordano più la chirurgia d’emergenza che la pianificazione industriale. Il risultato? Una combinazione tossica di bassa fiducia, alta volatilità e debiti in salita.

Secondo il FMI, il mondo dovrebbe tornare a politiche “credibili, prevedibili e sostenibili” – parole che suonano quasi rivoluzionarie nel 2025. Ma tra le righe, il messaggio è chiaro: senza una ricalibrazione delle regole globali del commercio e senza un ritorno al multilateralismo economico, anche le economie più solide rischiano di diventare colossi dai piedi d’argilla.

L’Outlook si chiude con un invito all’azione: bisogna investire in digitalizzazione, mobilità del lavoro e governance dei dati. La triade della sopravvivenza economica contemporanea. Insomma, non bastano più politiche monetarie e tagli di spesa: servono infrastrutture intelligenti, istituzioni credibili e sistemi informativi che non vengano manipolati dalla politica di turno. Eh si, perché, passaggio particolarmente significativo del report, l’FMI sottolinea che “la credibilità delle istituzioni economiche è sotto pressione”. Come dire: se non si può più credere nemmeno ai dati, il vero rischio sistemico non è la recessione, ma la disinformazione economica.

Il World Economic Outlook 2025 è il ritratto di un’economia globale che vive come in una versione beta permanente: aggiornata di continuo, ma mai davvero stabile. La crescita si sposta, l’AI illude, la politica rincorre. E nel frattempo, la fiducia, quella vera, non quella algoritmica, resta la valuta più scarsa del pianeta.