Se pensavate che il traffico peggiore fosse quello del Grande Raccordo Anulare di Roma alle otto del mattino, ripensateci. Appena più in là, nello spazio, la situazione è anche peggiore. A marzo 2025 si contavano oltre 14.000 satelliti attivi e 27.000 oggetti tracciati tra rottami, razzi esausti e detriti spaziali in libera circolazione che, per avere un’idea, vuol dire un incremento del 31% in soli due anni. E come ogni autostrada affollata, anche l’orbita terrestre ora necessita di un buon sistema di guida autonoma.

Ed è proprio qui che entra in scena Asimov, l’acronimo di Autonomous System for In-orbit Mapping and Observation of non-cooperative Vehicles (ovviamente l’omaggio al celebre scrittore di fantascienza non è casuale). Il progetto è finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e coordinato dalla torinese Aiko, una delle scale-up più brillanti della space economy europea, specializzata in software di intelligenza artificiale e automazione per missioni spaziali. In squadra anche il Politecnico di Milano, la Technical University of Munich, T4i e Tiny Bull Studio, per un mix accademico-industriale che unisce rigore ingegneristico e creatività digitale.

Il cuore di Asimov è ambizioso quanto il suo nome: creare un autopilota spaziale intelligente capace di mappare, ispezionare e manutenere oggetti non cooperativi — cioè satelliti guasti, pezzi di razzi o rottami vaganti — in orbita bassa terrestre. Niente joystick da Terra, niente ritardi di comunicazione: l’AI di bordo deciderà in autonomia come avvicinarsi a un oggetto, come riconoscerlo e come intervenire, riducendo il rischio di collisioni e aumentando la sostenibilità delle operazioni orbitali.

Alla base, un sistema avanzato di guida, navigazione e controllo che sfrutta algoritmi di apprendimento per rinforzo, la stessa logica che insegna a un robot a non urtare i mobili o a una rete neurale a vincere a Go. Solo che qui la posta in gioco è un po’ più alta: evitare che un detrito spaziale grande come una lavatrice crei un effetto domino da milioni di dollari.

Per verificare che tutto funzioni, il progetto si appoggia alla facility robotica Argos del Politecnico di Milano, potenziata ad hoc per simulare in laboratorio le condizioni orbitali. Qui, in un ambiente controllato ma estremamente realistico, i moduli software di Asimov vengono messi alla prova in scenari che vanno dalla semplice ispezione di un satellite “addormentato” fino alla gestione di situazioni complesse con più oggetti in movimento.

Un approccio dual-use (digitale e fisico) che consente di validare l’intero ciclo operativo, dal codice all’orbita, e gettare le basi per un prototipo operativo reale nei prossimi anni.

Il sovraffollamento orbitale non è solo un problema di logistica spaziale: impatta sull’inquinamento luminoso, sulla sicurezza delle comunicazioni satellitari e persino sui rischi di cyber-attacco. Un “autopilota spaziale” come quello di Asimov potrebbe diventare un elemento chiave della futura governance dell’orbita terrestre, fornendo un modello di manutenzione preventiva automatizzata e di space sustainability, una priorità crescente per l’intera economia dello spazio.

Asimov, insomma, è molto più di un progetto tecnologico: è una dichiarazione d’intenti. Un’Italia che, insieme ai suoi partner europei, decide (finalmente) di scrivere algoritmi invece di protocolli, di progettare software intelligenti invece di limiti burocratici e di farlo con il sorriso ironico di chi sa che, per salvare l’orbita, serve più cervello che carburante.