Il concetto di responsabilità ha l’aria di un vecchio fantasma: lo senti presente in ogni discussione morale, politica o giuridica, eppure resta sfuggente, come se sfuggisse a ogni definizione netta. Nel libro curato da Mario De Caro, Andrea Lavazza e Giuseppe Sartori, questa nebulosa viene sviscerata con un approccio che attraversa filosofia, neuroscienze e scienze sociali, mettendo a nudo la fragilità e la complessità della nostra idea di agire come individui responsabili.
Luca Fonnesu ci ricorda che la responsabilità, come termine consolidato nel lessico europeo, è un’invenzione relativamente recente. Nonostante Platone e Aristotele discutessero già di azioni e colpa, il termine stesso prende piede solo alla fine del diciannovesimo secolo, mentre il dibattito filosofico moderno parte da un intervento di Hart nel 1949. La responsabilità è dunque un concetto che ha percorso un lungo cammino prima di arrivare alla sua forma contemporanea, ancora oggi soggetta a innumerevoli sfumature e interpretazioni.
Mario De Caro introduce uno degli snodi più provocatori: le neuroscienze contemporanee e la filosofia, entrambe, mettono in dubbio il libero arbitrio. Se le nostre scelte sono determinate da processi neurali e leggi causali, quanto possiamo davvero essere considerati responsabili? Qui entra in scena la strategia kantiana: la scienza ci parla di cause, la morale di norme. Due mondi indipendenti, non contraddittori, ma complementari. La saggezza di Wittgenstein aiuta a non confondere la catena causale con l’orizzonte normativo, permettendoci di convivere con un senso di responsabilità che non si sgretola davanti alle neuroscienze.
Simone Gozzano sposta il discorso verso la responsabilità degli effetti. Ogni nostra azione produce conseguenze in una catena causale che possiamo analizzare con controfattuali: se un bullone non avesse ceduto, il ponte non sarebbe crollato. La responsabilità appare così come un sottoinsieme della causalità, con la rilevanza umana come filtro principale. Gli stati mentali, secondo Gozzano, non giocano un ruolo causale autonomo: ciò che chiamiamo decisione è intrinsecamente legato a fattori fisici e ambientali, mentre le possibilità alternative, a cui Frankfurt aveva dato rilievo, devono essere riconsiderate alla luce di questa prospettiva.
Giuseppe Sartori e Cristina Scarpazza ci ricordano che il cervello ha il suo ruolo: il lobo frontale regola impulsi aggressivi, e anomalie strutturali o metaboliche possono influenzare la capacità di controllo. Non significa che un omicida sia determinato e quindi scusabile, ma le neuroscienze ci offrono strumenti per quantificare il grado di responsabilità, spingendo a ripensare l’attribuzione morale e legale dei comportamenti.
Massimo Marraffa ed Elisabetta Sirgiovanni aggiungono un colpo di scena: la coscienza riflessiva è una narrazione costruita. Se il pensiero cosciente è un’illusione, la responsabilità come la intendiamo, basata sull’autoconsapevolezza, diventa problematica. Una responsabilità più autentica potrebbe consistere nell’onestà narrativa, nella capacità di comprendere e raccontare la propria vita senza abbellimenti.
Francesco Guala offre una prospettiva pragmatica: la libertà è una curva elastica, sensibile a incentivi e punizioni. In questo senso, responsabilità significa rispondere alle conseguenze delle proprie azioni, graduando il biasimo secondo circostanze, contesto e possibilità di scelta. Il tossicomane diventa un esempio paradigmatico: non c’è bisogno di libertà assoluta, ma di strumenti per valutare alternative e agire consapevolmente nel quadro delle conseguenze.
Derk Pereboom sfida il nostro senso comune con l’incompatibilismo duro: se non siamo liberi, non possiamo essere responsabili. Tuttavia, la sua visione non è nichilista: eliminare la punizione retributiva non diminuisce l’ordine sociale, basta spostarsi su quarantene o misure preventive. Spinoza sarebbe soddisfatto: smettiamo di odiare e di adirarci, imparando a osservare gli eventi senza attribuire colpe illusorie.
Neil Levy sposta il discorso sulla sorte: il carattere, le inclinazioni e le circostanze ci precedono, sfuggono al nostro controllo, rendendo qualsiasi attribuzione di responsabilità in parte arbitraria. Fortuna, controllo e significato si intrecciano in ogni scelta, rendendo fragile l’idea di responsabilità come puro merito o colpa.
Massimo Reichlin e Carla Bagnoli ci riportano alle radici: responsabilità come legame con le proprie azioni e come relazione pratica. La responsabilità non richiede libertà assoluta: si tratta di rispetto reciproco e riconoscimento dello status di agente morale. Il compatibilismo e le concezioni consequenzialiste diventano strumenti utili per navigare nella complessità etica senza cadere nel determinismo assoluto.
Andrea Lavazza analizza il nodo giuridico: la legge presume agenti liberi e razionali, ma la scienza ci mostra soggetti “agiti” dai meccanismi cerebrali. Il neurodiritto apre scenari nuovi: minorenni, capacità di pianificazione, misure consequenzialiste. Si cerca un equilibrio, un convenzionalismo moderato che salvaguardi la responsabilità penale senza negare le evidenze neuroscientifiche.
Erin I. Kelly critica la retribuzione morale, denunciando distorsioni sistemiche come quelle razziali nei sistemi penali nordamericani. Punizione giustificata solo se riparativa, centrata sulla tutela dei diritti e della sicurezza della comunità. Responsabilità e giustizia si separano dal merito individuale, affidandosi a una logica di protezione e prevenzione.
Filippo Santoni de Sio e Bjørn Jespersen introducono un approccio istituzionalistico: la capacità di agire deriva dalla posizione occupata in strutture normative e sociali. La colpevolezza diventa l’esercizio difettoso di una capacità morale, spostando l’attenzione dalla metafisica della libertà all’etica della responsabilità sociale e istituzionale.
Il libro ci costringe a confrontarci con un paradosso: siamo responsabili o illusioni di essere tali? La filosofia ci invita a riflettere, le neuroscienze a misurare, le scienze sociali a modulare incentivi e conseguenze. Il diritto tenta di conciliare tutto, tra protezione della società e rispetto della persona. La risposta definitiva resta sospesa, tra libertà apparente, causalità, sorte e struttura sociale. Tuttavia, se c’è una certezza, è che continuare a interrogarsi sulla responsabilità significa non arrendersi a un determinismo morale, ma affrontare con intelligenza e ironia la complessità dell’essere umano.
Questo libro funziona come specchio: ci mostra quanto poco controlliamo, quanto siamo plasmati e quanto, comunque, dobbiamo assumere le redini della nostra narrazione personale. Ogni scelta, ogni omissione, ogni azione ci intreccia in una rete complessa di responsabilità che non può essere ridotta a una semplice legge di causa-effetto, ma richiede attenzione, consapevolezza e, perché no, un po’ di sagace autoironia.