Nel libro L’architetto e l’oracolo. Forme digitali del sapere da Wikipedia a ChatGPT, Gino Roncaglia fa una cosa che pochi accademici italiani osano: affronta di petto la collisione fra epistemologia classica e intelligenza artificiale generativa. È un terreno scivoloso, dove la filosofia incontra la programmazione e il sapere diventa un software imperfetto. Roncaglia lo sa, e come ogni architetto consapevole del rischio di crollo, costruisce con pazienza un edificio che è insieme teoria, critica e visione.
Nel suo impianto, due figure si fronteggiano come divinità greche costrette a collaborare. L’Architetto, custode dell’ordine enciclopedico, convinto che il sapere debba essere strutturato, verificabile, gerarchico. L’Oracolo, entità generativa, probabilistica, che parla per approssimazioni, sforna risposte e versi con la stessa indifferenza statistica con cui un generatore casuale produce meraviglia. Uno costruisce il sapere, l’altro lo prevede. Entrambi pretendono di conoscerlo.
Il sottotitolo, “Forme digitali del sapere da Wikipedia a ChatGPT”, è già una tesi: la conoscenza oggi si gioca fra due infrastrutture simboliche. Wikipedia rappresenta l’utopia architettonica dell’ordine partecipato, un’enciclopedia infinita ma regolata, costruita sul consenso umano. ChatGPT incarna invece la vertigine dell’oracolo algoritmico, dove l’informazione non è più depositata, ma generata al momento, come un responso divino che non lascia traccia di sé. Roncaglia non si limita a descrivere la distanza tra le due, ma mostra la possibilità di un’alleanza.
Il punto è che la conoscenza non è più una costruzione stabile. È un flusso, un insieme di connessioni, un ipertesto in movimento. Ted Nelson, il visionario di Xanadu, l’aveva intuito già negli anni Sessanta: la letteratura, e per estensione il sapere, è un sistema in continua evoluzione di documenti interconnessi. Roncaglia riprende quel sogno utopico e lo confronta con il disincanto del web odierno, “un’altra imitazione della carta”, come diceva lo stesso Nelson. La rete non è la cattedrale del sapere promesso, ma un enorme bazar dove la conoscenza compete con l’intrattenimento per pochi secondi di attenzione.
Da Technologist, leggo in filigrana un messaggio strategico: la gestione del sapere non è più un problema di infrastrutture tecniche, ma di ontologie cognitive. Se il modello architettonico presuppone tassonomie solide e catene di riferimento affidabili, il modello oracolare sposta il baricentro sull’elaborazione statistica, sulla probabilità che un testo generato “suoni vero”. In mezzo, il caos produttivo del digitale contemporaneo. Wikipedia rappresenta il vecchio sogno dell’ordine condiviso, ChatGPT la nuova utopia della predizione algoritmica. Entrambi dipendono da un elemento comune: la fiducia.
Roncaglia non fa sconti a nessuno. Sa che la rete, in nome della democrazia del sapere, ha costruito sistemi fragili e ambigui. Wikipedia è l’architettura perfetta per un mondo che crede ancora nella mediazione umana, ma soffre di un vizio originario: la presunzione di neutralità. ChatGPT, l’oracolo, ribalta la questione: non pretende di essere neutro, ma credibile. È la differenza tra un’enciclopedia e una profezia, tra il sapere verificato e quello verosimile.
La parte più interessante del libro non è teorica, è politica. Roncaglia ci costringe a domandarci chi controlli oggi la forma del sapere. Non il filosofo, non l’accademico, nemmeno il bibliotecario digitale. Il nuovo architetto è un ingegnere di sistema, il nuovo oracolo è un algoritmo di machine learning. Quando ChatGPT “parla”, non cita fonti, ma ricostruisce mondi probabilistici. Non spiega, ma predice. Eppure, in questo disordine algoritmico, qualcosa funziona: l’oracolo genera conoscenza empirica, produce forme nuove, allarga l’immaginario.
Da qui l’intuizione strategica più sottile: l’architetto e l’oracolo non sono nemici. Sono due layer dello stesso stack cognitivo. L’uno costruisce le fondamenta semantiche (ontologie, metadata, linked data), l’altro ne testa la resilienza generativa. Il futuro dei sistemi di conoscenza sarà ibrido: un’architettura vincolata ma adattiva, in cui l’intelligenza umana disegna i confini e quella artificiale esplora gli interstizi.
Dal punto di vista di chi progetta infrastrutture digitali, il libro è un manuale di strategia mascherato da saggio accademico. Ogni pagina è un promemoria sulla necessità di un nuovo equilibrio fra ordine e caos, fra strutturazione semantica e generazione stocastica. Le imprese che oggi si interrogano su come integrare modelli di IA nei propri processi informativi dovrebbero leggerlo come un documento operativo. Perché il messaggio è chiaro: senza un architetto, l’oracolo impazzisce. Ma senza l’oracolo, l’architetto si spegne.
Il linguaggio di Roncaglia rimane denso, colto, ma non accademico. È l’italiano di un intellettuale che conosce Python, RDF e filosofia greca, e sa che la cultura digitale non si costruisce a colpi di slogan. Non risparmia ironia: nella “parte quarta”, dedicata alla fantascienza, trasforma Asimov e Coleridge in strumenti epistemologici. La fantascienza diventa un modo per testare l’architettura cognitiva del futuro, come un laboratorio in cui le ipotesi teoriche si sporcano di narrativa. È un’operazione sottile: chi progetta sistemi sa bene che nessuna architettura sopravvive al contatto con la realtà.
C’è un dettaglio quasi cinematografico nel titolo. Roncaglia richiama Matrix, dove l’Architetto e l’Oracolo sono due intelligenze artificiali opposte ma complementari, costrette a collaborare per mantenere l’equilibrio della Matrice. Non è un caso. Il libro ci dice che stiamo costruendo la nostra Matrice cognitiva: un ecosistema dove Wikipedia e ChatGPT non sono alternative, ma due poli di una stessa tensione. Uno produce affidabilità, l’altro creatività. L’uno rappresenta la memoria, l’altro l’immaginazione.
Chi lavora nella trasformazione digitale può leggere L’architetto e l’oracolo come una mappa per la governance del sapere nell’era dell’IA. Ogni impresa, oggi, è una micro-enciclopedia vivente, attraversata da modelli predittivi che ne riscrivono i processi decisionali. La domanda non è se adottare l’IA, ma come architettarla. In questo senso, il pensiero di Roncaglia suggerisce una disciplina emergente: l’epistemologia ingegnerizzata, dove il sapere diventa un sistema distribuito e versionabile.
Chi controlla l’architettura del sapere, controlla il potere cognitivo. Le piattaforme digitali non sono più strumenti di accesso, ma sistemi di mediazione semantica. Google non è un motore di ricerca, è un interprete del mondo. ChatGPT non è un assistente, è un modello di linguaggio che ridefinisce ciò che chiamiamo comprensione. Wikipedia non è una raccolta di voci, è un contratto sociale scritto in markup. In questo scenario, la partita più delicata non è tecnologica, è etica: chi decide cosa è vero in un mondo dove la verità è calcolata.
Riconosco nel lavoro di Roncaglia un avvertimento elegante: non basta integrare l’IA nei processi aziendali, bisogna progettare la semantica del sapere che quell’IA manipolerà. Le organizzazioni che non comprendono il valore strategico dell’architettura cognitiva finiranno per credere ai propri oracoli. Quelle che sapranno bilanciare struttura e generazione costruiranno invece un vantaggio competitivo duraturo, perché disporranno di un sistema che impara e interpreta senza disgregarsi.
Il libro ha anche una dimensione personale. Roncaglia confessa di aver scritto gran parte del testo dialogando con ChatGPT, ma precisa che nessuna frase è stata lasciata alla macchina. È una dichiarazione di metodo: l’autore usa l’oracolo, ma non gli delega l’autorialità. È l’atteggiamento che ogni leader tecnologico dovrebbe adottare oggi. Collaborare con l’intelligenza artificiale, senza abdicarle.
L’architetto e l’oracolo non è solo un saggio di filosofia digitale, è un esercizio di realpolitik del sapere. Ci ricorda che la conoscenza non è un dato, ma un processo di negoziazione continua fra memoria e previsione. E che, forse, la vera sfida del XXI secolo non sarà costruire macchine intelligenti, ma renderle abbastanza umane da riconoscere quando stanno inventando.