C’è sempre un momento in cui la Silicon Valley decide di vendere al mondo un sogno così lucido da sembrare inevitabile. Poi arriva il risveglio, e con esso il conto. Salesforce Agentforce è l’ultimo esempio di questa coreografia digitale: un prodotto annunciato come il futuro dell’intelligenza artificiale enterprise, ma che somiglia sempre più a una scommessa disperata travestita da innovazione. Marc Benioff, il suo fondatore e oracolo di un capitalismo spirituale travestito da tecnologia, ha promesso che l’IA avrebbe trasformato ogni reparto vendite, ogni team di supporto, ogni interazione con il cliente. Il problema è che, come sempre, la realtà aziendale è meno glamour di un keynote.

Salesforce, gigante del CRM, ha costruito la propria fortuna vendendo software che prometteva di rendere le relazioni umane più efficienti. Oggi cerca di convincere le imprese che un agente virtuale può fare lo stesso, ma meglio. L’idea alla base di Agentforce è semplice e accattivante: un agente autonomo che interagisce con i clienti, comprende le esigenze, genera preventivi, scrive email, aggiorna il CRM e chiude contratti, tutto da solo. Un sogno. Peccato che nessuno sappia ancora come farlo funzionare davvero. Gli stessi clienti enterprise, come ha ammesso Benioff con una sincerità degna di nota, “non hanno ancora capito come usare l’IA in modo efficace”. Tradotto: Agentforce è pronto, ma il mondo reale no.

La verità è che l’intelligenza artificiale enterprise non si vende come una scarpa da ginnastica. Non basta un video su LinkedIn con un logo animato per convincere un CIO a riscrivere i processi di vendita globali. Serve governance, serve integrazione, servono dati puliti. E soprattutto serve un ritorno economico misurabile, cosa che oggi Agentforce non ha dimostrato. Salesforce ha investito miliardi in ricerca, marketing e partnership, ma i casi d’uso reali restano confinati a dimostrazioni controllate, non a deployment su larga scala. Quando Benioff proclama che “il 50% del lavoro in Salesforce è già gestito dall’IA”, suona più come una battuta di auto-ipnosi aziendale che come un dato verificabile.

Poi c’è la parte più interessante, quella politica. Mentre Benioff si dichiarava improvvisamente amico dell’amministrazione Trump, Salesforce cercava di vendere un prodotto di intelligenza artificiale all’agenzia ICE, l’organo federale per il controllo dell’immigrazione. Una coincidenza? Difficile crederlo. Documenti interni rivelano che Salesforce aveva offerto a ICE supporto per assumere rapidamente nuovi agenti, promettendo algoritmi capaci di ottimizzare il reclutamento. È il lato oscuro del capitalismo dei dati: quando la tecnologia che doveva connettere persone viene usata per controllarle. Qui la narrazione del “tech for good” si scioglie come neve al sole, rivelando il volto più autentico di quella che qualcuno ha definito “gangster tech era”, una fase storica in cui i colossi digitali flirtano con il potere politico per garantirsi contratti e sopravvivenza.

Per chi osserva da fuori, tutto questo ha un sapore ironico. Benioff, l’uomo che anni fa tuonava contro i giganti amorali della Silicon Valley, si ritrova oggi a imitare la stessa logica: fare business prima, riflettere poi. Agentforce nasce come simbolo di un’era in cui le aziende cercano disperatamente di convincere il mercato che l’intelligenza artificiale non è solo utile, ma inevitabile. È una forma sofisticata di narrazione commerciale che funziona finché nessuno chiede di vedere il bilancio. I costi di marketing di Agentforce sono altissimi, l’impatto concreto incerto. Ma questo non impedisce a Salesforce di costruire un immaginario potente, fatto di demo scintillanti e di promesse di efficienza quasi messianiche.

Dietro la facciata, tuttavia, si intravede un problema strutturale: l’intelligenza artificiale enterprise non è un prodotto, è un ecosistema. Richiede trasformazione culturale, revisione dei flussi di lavoro, ridefinizione dei ruoli. Significa affrontare la paura di sostituire persone con algoritmi e la difficoltà di integrare sistemi legacy con piattaforme generative. Nessuna slide di Benioff può risolvere tutto questo. Agentforce, per ora, sembra più un prototipo di prestigio che una rivoluzione industriale. Certo, ogni nuova tecnologia attraversa la sua “trough of disillusionment”, come la chiama Gartner. Ma qui il divario tra promessa e realtà appare più come un canyon che come una valle.

La stessa strategia commerciale lo dimostra. Salesforce ha annunciato l’assunzione di 2000 nuovi venditori per promuovere i prodotti di IA, una mossa che suona più come una forzatura da manuale che come la risposta di un mercato in domanda spontanea. Quando hai bisogno di un esercito di venditori per spingere una tecnologia, è segno che la tecnologia non si vende da sola. E quando un CEO parla di “adozione inarrestabile” mentre i clienti confessano di “non sapere come usare l’IA”, il segnale è chiaro: il tempo del marketing è finito, inizia quello della resa dei conti.

Il caso Agentforce è un campanello d’allarme per tutto il settore dell’intelligenza artificiale enterprise. Le aziende stanno imparando a distinguere tra l’IA che serve davvero e quella che serve solo a raccontare una storia. L’epoca del “metti un agente generativo ovunque” sta finendo, rimpiazzata da una fase più sobria e ingegneristica, in cui contano ROI, affidabilità e integrazione. Le imprese vogliono meno demo e più risultati. Ed è qui che Salesforce rischia di trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Troppo grande per reinventarsi in fretta, troppo esposta per ammettere che il suo fiore all’occhiello fatica a decollare.

Eppure, come sempre accade nella storia della tecnologia, la narrazione vincente è quella che sopravvive ai fatti. Benioff continuerà a parlare di “agentic AI” come del prossimo Rinascimento digitale, e il mercato continuerà a fingere di crederci finché gli investitori avranno pazienza. Intanto, sotto la superficie, il paradigma cambia. L’intelligenza artificiale non è più un accessorio da keynote, ma un’infrastruttura che richiede disciplina, trasparenza e competenza. E forse proprio qui sta il limite di Salesforce Agentforce: non è tanto un fallimento tecnico, quanto una storia raccontata con troppa sicurezza in un mondo che non crede più ai profeti della disruption.

Il nuovo capitalismo algoritmico non vive più di promesse, ma di verifiche. E in questa fase, l’unico vero vantaggio competitivo non è l’IA, ma la capacità di usarla con onestà e realismo. Salesforce lo imparerà, come lo stanno imparando tutti. Ma il prezzo da pagare per la fede cieca nell’automazione potrebbe essere più alto di quanto Marc Benioff avesse previsto quando decise di trasformare la sua azienda in un laboratorio di agenti digitali. Per ora, Agentforce rimane quello che è sempre stato: una grande idea in cerca di una realtà che la giustifichi.