In Europa si respira un misto di speranza e pragmatismo esasperato, mentre alcuni stati stanno tessendo un piano in 12 punti per la pace in Ucraina, un documento che sembra più un esercizio di ingegneria diplomatica che un accordo reale. La proposta prevede di congelare le linee del fronte attuali, mettere in sicurezza i bambini deportati, scambiare prigionieri, e garantire all’Ucraina fondi per la ricostruzione e un percorso rapido verso l’Unione Europea. A supervisionare tutto ci sarebbe un consiglio di pace guidato da Donald Trump, un dettaglio che fa sorridere i diplomatici più navigati e rabbrividire chi ha memoria di precedenti negoziati trumpiani.

La logica dietro il piano è semplice: bloccare il conflitto lungo le linee esistenti prima di affrontare le questioni più spigolose di territorio e governance. Una strategia che appare sensata sulla carta, ma che ignora la cruda realtà militare. Mosca, da parte sua, continua a rifiutare qualsiasi congelamento del conflitto e riafferma la richiesta di cedere il Donbass, un territorio che, tra fallimenti strategici e resistenze locali, non è mai stato completamente occupato. Il rischio di una guerra di bassa intensità, di sabotaggi e provocazioni, resta altissimo, minacciando di far crollare il fragile equilibrio appena disegnato su PowerPoint.

Il piano inserisce anche meccanismi economici sofisticati. Le sanzioni su Mosca verrebbero gradualmente rimosse, ma circa 300 miliardi di dollari in riserve congelate resterebbero bloccati fino a che la Russia contribuisca alla ricostruzione post-bellica. Se violasse l’accordo, le restrizioni verrebbero riattivate. Un’idea elegante, quasi ingegneristica, che però presuppone che Mosca accetti di giocare secondo regole occidentali. Storicamente, questa fiducia sarebbe stata definita ottimista.

Trump, con il suo stile unico, ha ribadito in pubblico e in privato la necessità di fermare il conflitto lungo le linee attuali. “Stop right now at the battle lines”, ha dichiarato, dimenticando di menzionare le richieste ucraine su supporto aereo, energia e capacità a lungo raggio. In effetti, il consiglio di pace guidato da Trump potrebbe funzionare quanto un CTO che deve coordinare un progetto complesso con manager in rivolta: le buone intenzioni non garantiscono che il sistema regga.

Gli alleati dell’Ucraina guardano con scetticismo. La coesione europea è fragile, e le richieste russe appaiono massimaliste. Il rischio che Trump cambi idea o decida di fare concessioni unilateralmente è reale, e Putin ha già dimostrato di giocare con i tempi, le sedi e la retorica diplomatica. Budapest, scelta come sede per eventuali negoziati, è considerata un terreno ambiguo, vista la posizione filo-russa del premier ungherese Orbán. Zelensky, pur criticando il luogo, si dice disponibile a partecipare se invitato, mostrando pragmatismo politico ma anche la necessità di apparire saldo davanti alla sua popolazione.

Il piano contempla anche negoziati sulla governance dei territori occupati senza riconoscerli legalmente come russi. Un equilibrio fragile: sul campo, Mosca mantiene il controllo militare di parti significative di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson. Come convincere chi detiene de facto il potere a restituire parte del controllo amministrativo senza concessioni sostanziali? Il rischio è che questi negoziati diventino un teatro simbolico senza effetti reali.

Dal punto di vista ingegneristico, questo piano necessita di moduli indipendenti: cessate il fuoco, restituzione dei bambini, scambi di prigionieri, contributi economici, governance territoriale. Ogni modulo dovrebbe essere in grado di resistere anche se uno fallisce, con meccanismi automatici di rollback, auditing internazionale credibile e definizioni precise di responsabilità. Senza questo, il piano rimane un bellissimo schema su carta, ma senza alcuna resilienza operativa.

La politica e la guerra non si piegano facilmente ai diagrammi di flusso. Ogni attacco isolato, sabotaggio o escalation minima può far saltare tutto. Eppure, l’Europa spinge, Zelensky cerca mediazioni pragmatiche, Trump sogna un risultato visibile che rafforzi il suo brand di risolutore di conflitti internazionali. Tra opportunismo politico, pressioni economiche e questioni militari, il piano in 12 punti si muove su un terreno instabile, oscillando tra il pragmatismo e il teatro diplomatico.

La pace in Ucraina proposta oggi è un progetto ambizioso e fragile, un puzzle di linee del fronte congelate, promesse economiche, supervisione controversa e negoziati simbolici. Potrebbe funzionare se tutti giocano secondo regole precise, ma basta un piccolo inciampo per trasformare il tutto in un’altra “idea carina sulla carta” destinata a cadere nel dimenticatoio dei tentativi falliti di diplomazia post-bellica. La realtà geopolitica, come spesso accade, resta più pragmatica e meno romantica di qualsiasi piano in 12 punti.