OpenAI oggi sembra attraversare una meta-fication, un’evoluzione che richiama quel mondo che una volta dichiarava guerra agli annunci. Quel che era un “non fare pubblicità” ora è una missione sostanziale, un cortocircuito che merita una dissezione severa.

Prendiamo Fidji Simo. Ex top manager di Meta, architetta della monetizzazione su Facebook, è stata nominata CEO of Applications di OpenAI. Lei non è un mero esecutore: è la firma che certifica il passaggio da startup idealista a impresa che deve scalare introiti. Dentro OpenAI non è arrivata per rifinire modelle, ma per dare al “prodotto AI” un’anima commerciale.

I segnali sono ovunque: nelle offerte di lavoro compaiono ruoli legati a “Account Director, Digital Native” e “Growth Paid Marketing Platform Engineer” che lavorano su campagne, integrazioni con piattaforme pubblicitarie e meccanismi di attribuzione. Non è un’ipotesi: è la scrittura del playbook pubblicitario, con intelligenza. Si parla già di costruire software ad hoc per inserzioni, modelli di pricing e targeting conversazionale.

Qualcuno ha suggerito che nei canali Slack interni, ex‑Meta operativi stiano comunicando fra loro. Non ho conferma ufficiale, ma è perfettamente coerente: un gruppo con cultura Meta dentro l’infrastruttura AI. In fondo, perché reinventare tutto quando puoi reingegnerizzare ciò che già sai fare?

Il cuore della differenza sta nei dati. Meta apprende ciò che clicchi, OpenAI può tentare di apprendere “perché” clicchi. Conosciamo il potere espanso delle reti neurali: non basta dire che un annuncio è rilevante, bisogna che lo sia nel contesto della tua conversazione, delle tue intenzioni profonde. In questo senso, le architetture come ChatGPT Atlas o Sora (i cui nomi circolano nell’ecosistema come possibili “plancia di lancio” per interfacce avanzate) possono essere concepite per incastonare inserzioni come elementi semi-discreti dell’esperienza utente.

Il problema: OpenAI brucia miliardi ogni anno, e gli azionisti stanno chiedendo monetizzazione ora. Non è un caso che Altman e il board abbiano portato avanti una ristrutturazione che mette il non-profit in controllo, ma al tempo stesso consente al braccio commerciale di spingere forte.

Questa trasformazione solleva la domanda: OpenAI sta davvero cercando alignment (allineamento, coerenza interna fra missione e azione) o semplicemente attention (attenzione, monetizzazione, engagement)?

Se scegli il primo scenario, stiamo vedendo un delicato esperimento di pubblicità responsabile, finalizzata a finanziare la ricerca, dotata di vincoli forti su protezione dati e inserimento etico. Se scegli il secondo scenario, questo passaggio è solo il capitolo più lucido della grande storia del capitalismo mediale che fagocita ogni promessa di discontinuità.

Alla fine, l’“AI che interrompe la pubblicità” è morta: l’AI sta costruendo la pubblicità, capitolo dopo capitolo di conversazione. E noi vedremo se l’“algoritmo morale” regge la pressione.