Forse la fine dell’autore umano non arriverà con un boato ma con un algoritmo che scrive troppo velocemente per essere ignorato. È successo davvero: un romanzo scritto da intelligenza artificiale ha conquistato il primo posto nelle classifiche quotidiane di Kakuyomu, la piattaforma letteraria di Kadokawa, gigante editoriale giapponese che da anni alimenta l’industria di manga, anime e light novel. Il titolo, lungo quanto un prompt di programmatore distratto, suona così: “Mi sono scontrato con una ragazza a un angolo e ho usato la magia curativa su di lei, guarendola da una malattia incurabile e dalla cecità, e lei si è molto affezionata a me”. Una sintesi perfetta dell’attuale equilibrio tra banalità narrativa e potenza computazionale.
L’autore, o forse dovremmo dire operatore del modello linguistico, si firma Natsumi Nai, un nome che sembra inventato da un generatore casuale di pseudonimi. Il suo romanzo non ha solo superato i concorrenti umani in termini di popolarità, ma ha anche scardinato i meccanismi dell’ecosistema creativo giapponese. Scrivendo (o meglio, facendo scrivere) fino a 100.000 caratteri al giorno, Nai ha letteralmente “hackerato” l’algoritmo di Kakuyomu, che premia la frequenza degli aggiornamenti e l’interazione degli utenti. Mentre i concorrenti dormivano, l’intelligenza artificiale produceva capitoli in serie, macinando visualizzazioni e commenti come un miner di contenuti.
Il risultato? Un piccolo terremoto culturale. Perché non si tratta solo di una curiosità tecnologica, ma di un evento che costringe il Giappone, patria della letteratura giapponese digitale, a chiedersi cosa significhi ancora “scrivere”. Gli utenti di Kakuyomu si sono divisi in due fazioni inconciliabili. Da un lato gli entusiasti dell’innovazione, pronti a proclamare l’alba di una nuova epoca narrativa in cui l’AI diventa strumento di espressione e moltiplicatore di creatività. Dall’altro i puristi della parola umana, che vedono nell’AI generativa nella scrittura una minaccia esistenziale, capace di sommergere ogni voce originale sotto una valanga di testo omologato e perfettamente inutile.
L’ironia è che questa rivoluzione è nata in un contesto già profondamente industrializzato. Kadokawa non è un editore romantico che vive di poesia: è un conglomerato che integra editoria, anime, merchandising e videogiochi in un ecosistema verticale. Un romanzo di successo su Kakuyomu può diventare in pochi mesi una light novel, poi un manga, poi un anime, poi una linea di gadget. L’intelligenza artificiale ha semplicemente accelerato questo processo, tagliando fuori la parte meno efficiente della catena: l’autore umano.
Il caso Natsumi Nai è esploso quando l’autrice ha pubblicato un messaggio di scuse, dichiarando che l’opera era stata “principalmente scritta usando AI technology”. Un dettaglio che aveva menzionato solo nel profilo personale, come se fosse irrilevante. La trasparenza è arrivata dopo le polemiche, e a quel punto il dibattito era già fuori controllo. Alcuni lettori si sono sentiti “traditi”, altri l’hanno difesa sostenendo che il valore di un testo dovrebbe essere giudicato dal risultato, non dal processo. Un argomento apparentemente razionale, ma che apre la porta a una domanda molto più scomoda: se un algoritmo può scrivere un romanzo popolare, qual è il valore economico e simbolico di un autore umano?
La risposta non è semplice, ma è quantificabile. Il romanzo di Nai ha ottenuto oltre 50.000 visualizzazioni in poche ore e, grazie al programma di royalty di Kakuyomu, può generare migliaia di yen ogni giorno. In altre parole, la scrittura automatica non è più un esperimento, ma un modello di business. Il testo diventa produzione, l’autore diventa curatore, e il tempo – l’unico vero limite umano – diventa un fattore superfluo.
Gli oppositori sottolineano che questi modelli sono addestrati su dati presi senza consenso, spesso provenienti da opere protette da copyright. Un episodio recente ha ricordato che oltre 120.000 storie di Kakuyomu erano state raccolte senza autorizzazione e poi rimosse solo dopo l’intervento diretto di Kadokawa. L’idea che un romanzo scritto da intelligenza artificiale possa trarre linfa da opere create da migliaia di scrittori umani non è solo moralmente problematica, ma mina le basi stesse della proprietà intellettuale. È un paradosso perfetto: la creatività alimentata da una gigantesca infrazione collettiva.
Dall’altra parte, i difensori dell’AI nella scrittura rispondono con un cinico pragmatismo: il pubblico non paga per l’etica, ma per l’intrattenimento. E se il prodotto finale è godibile, leggibile e soprattutto aggiornato con la velocità di un feed di TikTok, allora il mercato premierà chi riesce a sfruttare meglio la macchina. In un certo senso, l’intelligenza artificiale ha reso la scrittura nuovamente competitiva, riportandola nell’arena economica da cui l’arte aveva cercato per decenni di emanciparsi.
Il dibattito si intreccia con un contesto più ampio. Dopo che nel 2024 la scrittrice giapponese Rie Kudan aveva ammesso di aver usato ChatGPT per circa il 5% del suo romanzo vincitore del Premio Akutagawa, l’idea che un’intelligenza artificiale potesse “collaborare” con un autore umano non appariva più scandalosa. Ma il caso di Natsumi Nai segna un salto di scala: non si parla più di supporto creativo, ma di sostituzione produttiva. È come passare dal trattore che aiuta il contadino alla fabbrica che produce il raccolto da sola.
Il nodo vero non è se l’AI possa scrivere, ma se noi, come società, siamo disposti a leggere ciò che scrive. In Giappone, patria di un pubblico abituato a consumare narrativa serializzata a ritmo industriale, la risposta sembra già positiva. La piattaforma Kakuyomu, con le sue metriche di page views, “mi piace” e interazione, trasforma la scrittura in un’economia dell’attenzione. In questo contesto, il romanzo scritto da intelligenza artificiale non è un’invasione, ma una perfetta evoluzione del sistema.
C’è un dettaglio che gli analisti occidentali spesso ignorano. La velocità con cui un AI-writer può adattarsi ai trend è superiore a qualsiasi autore umano. Se una keyword o un tropo narrativo esplode su X o Reddit, l’algoritmo può aggiornare la trama nel giro di ore. Non si tratta più di raccontare storie, ma di orchestrare l’engagement. E qui entra in gioco la parte più inquietante: un romanzo scritto da AI non ha bisogno di emozioni per suscitare emozioni, basta che riconosca il pattern linguistico che le genera.
Qualcuno dirà che è il trionfo del cinismo digitale. Forse lo è. Ma è anche il riflesso coerente di un mondo che misura il successo creativo in click e conversioni. Kadokawa, del resto, non ha perso tempo: l’azienda potrebbe già sperimentare nuove politiche per etichettare le opere generate con AI e al tempo stesso sfruttare la tecnologia per ottimizzare la produzione di contenuti. Il business model non cambia, cambia solo la velocità del ciclo.
Alla fine, forse il vero protagonista di questa storia non è Natsumi Nai né il suo romanzo, ma l’algoritmo che l’ha resa celebre. In un’epoca in cui le macchine imparano a scrivere come noi, la domanda non è se l’intelligenza artificiale distruggerà la creatività, ma se noi siamo ancora capaci di riconoscerla quando la vediamo. O quando la leggiamo, scorrendo distrattamente sullo schermo di uno smartphone un’altra storia d’amore generata da un prompt perfettamente calibrato per il ranking di domani.
Il romanzo si chiama 曲がり角でぶつかった少女に回復魔法を使ったら不治の病と盲目なのを治してしまってめちゃくちゃ懐かれてた (in inglese “When I Used Healing Magic on the Girl I Bumped Into at the Corner, I Accidentally Cured Her Incurable Disease and Blindness and Now She’s Super Attached to Me”).
Ecco il link alla pagina ufficiale su Kakuyomu: https://kakuyomu.jp/works/822139837599758883 カクヨム – 「書ける、読める、伝えられる」新しいWeb小説サイト