Quando dico che l’era di “OpenAI come partner” è finita, lo intendo nel senso che OpenAI non si accontenta più di “fornire modelli” a Microsoft e altri: sta rilanciando il suo ruolo nel flusso di lavoro enterprise, trasformandosi da fornitore a concorrente pieno, da “accademia/start‑up” a “infrastruttura + applicazioni + servizi”. E questa trasformazione cambia le regole del gioco per tutti.

Una prima evidenza: OpenAI ha siglato un accordo con PwC che va oltre la semplice licenza  PwC diventa rivenditore del livello enterprise di ChatGPT, con 100 000 utenti in forze. Parallelamente OpenAI sta lanciando pacchetti di “deployments + consulenza” a partire da $10 M per cliente — una chiara mossa per inserirsi nel cuore dei processi aziendali, non solo come add‑on.

Questa combinazione “modello forte” + “servizio di integrazione” è precisamente ciò che minaccia i software incumbents: se puoi ridisegnare il workflow dell’azienda, controllare l’API, i dati, l’agente, l’interfaccia, allora stai entrando nella funzione “core” e non più solo nel “modulo IA”.

Implicazioni strategiche per Microsoft, Google, Amazon e il mercato enterprise

Per Microsoft: 
OpenAI è – o sta diventando – un concorrente interno, pur essendo partner/investitore storico. Il rapporto è ambiguo. Microsoft ha investito miliardi e ha licenza preferenziale su modelli OpenAI per Azure. Ma se OpenAI comincia a vendere direttamente ai clienti enterprise o tramite partner come PwC, o addirittura a offrire sconti sul proprio livello enterprise a scapito di Azure‑Microsoft, allora Microsoft perde margine, perde controllo e potenzialmente vede i clienti rivolgersi altrove.

Infatti è stato scritto: “OpenAI ha tagliato i prezzi di ChatGPT per le aziende, mettendo Microsoft alle corde”.

Inoltre, se OpenAI inizia a orchestrare flussi di lavoro (workflow automation, agenti integrati) anziché solo “fornire modello”, allora Microsoft non è più il gatekeeper dell’iniziativa IA nelle aziende: rischia di essere bypassato o relegato a “fornitore infrastrutturale” anziché “partner strategico”.

Per Google:
Google era abituata a considerare OpenAI un “partner/competitor laterale”. Ora OpenAI stringe accordi con Google Cloud (significativo: non più solo Azure). Questo segnala che OpenAI vuole diversificare l’infrastruttura e non essere vincolata a Microsoft‑Azure: ciò rende Google un potenziale beneficiario nel breve termine, ma nel medio termine Google si trova a dover competere su modelli + workflow enterprise con OpenAI, non solo su cloud.

Per Amazon:
Anche Amazon, che fino ad oggi ha puntato su rivali (come Anthropic) e sul proprio ecosistema AWS, ora vede un OpenAI che può inserisi nei workflow e applicazioni aziendali, bypassando cloud orsa‑centriche o integrandosi con più cloud. La chiave per Amazon sarà: se OpenAI decide di rendersi cloud‑agnostica o multi‑cloud, Amazon perde lo “slug” cloud‑first e si trova in competizione sull’integrazione workflow + IA con un rivale potente.


Tre driver chiave della mossa strategica di OpenAI

Primo driver: monetizzazione diretta enterprise. OpenAI non vuole più solo consumatori o abbonamenti: vuole clienti aziendali milionari (> $10 M) che acquistano “soluzioni” integrate. Questo cambia il profilo di business: da “licenza modello/API” a “progetto di trasformazione digitale”. (vedi pacchetti da 10 M)
Secondo driver: controllo del flusso di lavoro e lock‑in. Quando hai il modello + integrazione + agenti + workflow, crei barriere di uscita più alte. Se il cliente implementa “agente OpenAI che gestisce il customer service, integrazione CRM, generazione report, agenti” allora l’alternativa è costosa. OpenAI sta puntando a diventare quel livello.
Terzo driver: diluzione del ruolo dei partner tradizionali e degli incumbents. Un consorzio di software ERP, consulting, cloud, potrebbe trovarsi tagliato fuori se OpenAI entra direttamente e stabilisce relazioni con direzione aziendale. Il classico “ecosistema software + servizi” viene perturbato.


Rischi e fattori da approfondire (che i “big” sperano che vengano sottovalutati)

Dipendenza da infrastruttura e fornitura di chip/cloud: Come rilevato in un’analisi “Porter’s Five Forces”, OpenAI dipende da partner infrastrutturali (Microsoft Azure, Nvidia/GPU) che le danno potere limitato nei confronti delle forniture. Se OpenAI vuole scalare workflow enterprise ad alto volume, deve risolvere questi vincoli.


Conflitti di partnership: Essendo Microsoft investitore e partner, ma al contempo potenziale cliente e concorrente, il rischio di tensioni strategiche è elevato. Microsoft potrebbe rallentare l’accesso, cambiare termini, o favorire competitor.

Regolamentazione e antitrust: Il rapporto tra Big Tech + startup IA è sotto scrutinio. Ad esempio la Federal Trade Commission (FTC) ha avviato indagini nei confronti delle partnership tra Microsoft, Amazon, Google e startup IA. OpenAI si muove in un contesto molto delicato.
Margini e sostenibilità: Passando da modello “API & licenza” a “consulenza enterprise + integrazione workflow”, cambiano costi, tempi, impegno su customer success, progetto custom. Non è detto che la monetizzazione sia più rapida o meno costosa.

Rischio di frammentazione multi‑cloud: Se OpenAI intendesse essere agnostica su cloud, ciò aiuta la crescita ma aumenta la complessità operativa, gestione contratti, latenza, supporto. Il mercato enterprise è pignolo su SLA, compliance, data‑sovereignty.


Effetti competitivi concreti per gli incumbents “storici” della consulenza e della produttività

Per società di consulenza come Accenture, Deloitte, PwC: fino ad oggi, la consulenza IA/trasformazione era un business in cui queste firme orchestravano tecnologia, implementazione, change management, vendor management. Con OpenAI che vende “deployment + integrazione + servizi” direttamente, la consulenza tradizionale rischia di essere relegata a “esecutore” anziché “designer dell’ecosistema”.

Per il software di produttività (es. Microsoft 365 + Copilot): OpenAI può diventare “overlay” o “rivale” se il cliente sceglie agenti OpenAI che orchestrano Slack, Teams, Box, Google Drive e altro, allora la dipendenza da Microsoft 365 è indebolita.

Per i cloud players: il valore delle vendite cloud non è solo infrastructure-as-a-service, ma “customer locked in” e “stack completo”. Se OpenAI diventa multi‑cloud e offre integrazione di workflow fuori dai cloud tradizionali, i cloud incumbents vedono margini compressi.


Scenario futuro plausibile verso il 2030

Se OpenAI ce la fa, potremmo vedere un mondo enterprise in cui “IA + workflow” diventa la nuova base della piattaforma aziendale.

Le aziende non compreranno solo “software dove fare documenti/spreadsheets” ma “agenti intelligenti che gestiscono i processi”. In tale scenario OpenAI potrebbe diventare un “platform layer” (modellazione + agente + orchestrazione) e lasciare ai cloud/ERP/CRM un ruolo infrastrutturale o di dati. Microsoft, Google e Amazon in questo scenario non sono sconfitti, ma possono essere relegati: Microsoft come vendor di stack legacy, Google come fornitore di infrastruttura TPU/cloud, Amazon come reseller di modelli o partner. Ma la battaglia è in corso.


Un dato d’effetto: OpenAI ha fissato un obiettivo da 15 miliardi di dollari annui entro il 2030, puntando con forza al segmento enterprise.