Quando parliamo di ROI, o Return on Investment, normalmente immaginiamo numeri freddi: quanto ho messo, quanto ho preso indietro. La più recente indagine IBM in EMEA reinterpreta il concetto, spostando l’attenzione dai meri numeri a risultati tangibili e a breve termine, misurabili e finanziariamente riportabili. Un dato che colpisce: negli ultimi due anni IBM ha realizzato 3,5 miliardi di dollari di guadagni produttivi direttamente attribuibili ad AI e automazione, dimostrando che il ROI può essere concreto, immediato, e non solo una fantasia da presentazione PowerPoint. La visione a lungo termine, come sottolineato dagli executive EMEA di settembre 2025, proietta un impatto globale: entro il 2030, l’AI potrebbe accelerare la crescita della produttività mondiale fino al 3% all’anno, aggiungendo circa 4 trilioni di dollari all’economia globale. Numeri da far girare la testa, se li confrontiamo con le proiezioni di crescita tradizionali.

IBM ha sondato oltre 3.500 senior leader in Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Arabia Saudita, Spagna, Svezia, UAE e Regno Unito, con il supporto di Censuswide. La domanda non era solo se AI produce ROI, ma dove davvero muove l’ago della produttività. Ana Paula De Jesus Assis non lascia spazio a miti: “Scaling AI across the enterprise demands more than great technology. It requires improving AI literacy, removing fear, and embedding enterprise solutions fit for purpose in core operations. Nobody needs trillion-parameter, generic models. Efficient, cost-effective AI for the right use cases is what drives results.” Tradotto in linguaggio CEO: spendere milioni su modelli generici non produce ROI, mentre investire in AI pragmatica, contestualizzata e integrata nelle operazioni centrali sì.

I risultati parlano chiaro: il 20% delle aziende ha già raggiunto obiettivi di risparmio sui costi, il 25% di tempo per i dipendenti, il 22% aumento di ricavi, il 23% maggiore soddisfazione interna e il 21% miglioramento dell’esperienza cliente. Cifre che non si trattano come ipotesi teoriche: quasi il 60% degli intervistati prevede ritorni tangibili entro 12 mesi, e il 92% è fiducioso che gli agenti AI restituiranno ROI misurabile entro due anni. La velocità dei risultati spiega perché si parla di “corsa all’AI”.

La dinamica di questa corsa non è solo temporale, ma anche strutturale: due terzi delle aziende già riportano guadagni significativi di produttività, mentre solo il 2% prevede impatti nulli entro due anni. Il divario tra grandi aziende e PMI o settore pubblico si allarga: budget, talenti, capacità di scalare oltre i piloti, frammentazione dei dati (70%) rappresentano ostacoli reali. In questo contesto, la governance diventa centrale: controllo sui sistemi e sui dati (87%), flessibilità di cambiare provider (85%) e, soprattutto, “assicurare che la tecnologia operi eticamente e responsabilmente” (85%), oltre alla capacità di rispettare la compliance normativa (86%). Non sono fronzoli concettuali, ma veri guardrail per proteggere il ROI, la reputazione e la continuità operativa.

La riflessione tecnica e strategica è chiara: ROI e responsabilità non sono in contrapposizione se si adotta un approccio strutturato. La tentazione di lanciarsi su modelli “wow” e soluzioni generaliste è alta, ma senza etica, governance e comprensione dei rischi normativi e reputazionali, i ritorni concreti si trasformano rapidamente in perdite di immagine e sanzioni. L’AI non è una bacchetta magica: è uno strumento potente, ma fragile se non incastonato in processi chiari, metriche tangibili e cultura organizzativa che abbatte paure e fraintendimenti.

In pratica, la sfida dell’AI oggi non è “come fare ROI” ma “come farlo senza suicidare la reputazione e senza inciampare nella compliance”. Le aziende in testa alla corsa hanno capito che ROI rapido, sostenibile e scalabile richiede alfabetizzazione digitale diffusa, soluzioni AI mirate e governance solida. Chi guarda solo ai guadagni immediati rischia di inseguire un miraggio: il vero vantaggio competitivo arriva quando l’AI è percepita come affidabile, integrata e utile per chi lavora e per chi consuma.

Curioso notare come la narrativa della corsa all’AI ricordi certe gare borsistiche: chi accelera troppo senza comprendere il rischio può cadere rovinosamente, mentre chi costruisce lentamente infrastrutture robuste vede crescere ROI e vantaggio competitivo senza traumi. Il concetto di ROI qui non è solo monetario: misura anche la capacità di trasformare l’organizzazione, ridurre il time-to-value e migliorare il sentiment interno ed esterno.

Se si osserva l’EMEA secondo l’indagine IBM, il ROI non è più il freddo rapporto tra input e output, ma un indicatore di maturità: produttività tangibile, risparmi concreti, aumento della soddisfazione di dipendenti e clienti. Il messaggio ai leader è provocatorio: non inseguite modelli generici e promettenti senza contesto, investite in AI pragmatica, integrata, etica e governata. I numeri di IBM lo dimostrano, e chi ignora questo approccio rischia di rimanere a guardare mentre i concorrenti accumulano trilioni di valore potenziale.

ROI, etica, governance e scalabilità non sono concetti astratti: sono la triade che determina chi in questa corsa all’AI arriverà primo e chi resterà intrappolato tra hype e regolamentazioni. Il futuro del valore misurabile non dipende dai modelli più complessi, ma da chi sa bilanciare velocità, sostenibilità e responsabilità.