Pomelli è un’IA progettata per generare campagne di marketing coerenti con l’identità del brand, partendo da pochi input: il sito web aziendale (l’URL).

Il workflow è questo:

Pomelli scansiona sito, immagini, testi: costruisce un profilo “Business DNA” che include tono di voce, palette colori, font, stile visuale e coerenza narrativa. Propone idee di campagne (temi, messaggi, angoli creativi) in linea con quel DNA. Genera asset (copy, visual, post social, ads) modificabili dall’utente. Puoi ritoccarli, cambiare testi o immagini, e scaricare. Attualmente è in beta pubblica, disponibile solo in inglese, e solo per USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda.

Pomelli porta una promessa ambiziosa: democratizzare il marketing creativo e rendere “on-brand” la produzione contenutistica anche per chi non ha un team interno robusto. Ma non è una panacea, e la tecnologia che alimenta l’AI contiene limiti insiti.

Vantaggi reali da seguire:

  • Forte accelerazione del tempo creativo: da brief + brainstorming + esecuzione a pochi minuti.
  • Coerenza automatica: evitare derive stilistiche quando i contenuti sono prodotti da persone diverse.
  • Riduzione del costo marginale del contenuto: più campagne + varianti con sforzo aggiuntivo minimo.
  • Potenziale integrazione futura con l’ecosistema Google (Ads, Analytics, Business Profile). Se Google decide di collegare Pomelli direttamente a Google Ads / Display / YouTube, salta il passaggio “umano” intermedio.
  • Feedback early adopter: chi entra ora può influenzare roadmap e funzionalità (quindi partecipare all’evoluzione è un vantaggio strategico).

Limiti / rischi da considerare:

  • Dipendenza dalla qualità del sito: se il sito è disarmonico, confuso, poco aggiornato, Pomelli può generare un “DNA” debole o impreciso.
  • Bias nel training AI: modelli generativi tendono a “mediare” stili, quindi rischi di banalizzazione o di appiattimento del brand.
  • Lingua / localizzazione: inizialmente solo inglese è supportato. In Italia (o mercati non anglofoni) l’uso è ostacolato.
  • Creatività ibrida umana: il tocco umano, il gesto audace, il pensiero laterale rimangono indispensabili. L’AI è un “co-regista”, non il regista unico.
  • Aspetti etici e originalità: generare contenuti con AI pone problemi di originalità, plagio involontario, o ripetizione di pattern già su Internet.
  • Aspetti commerciali e prezzo: non è ancora chiaro il modello commerciale che Google userà. Potrebbe essere gratuito, in abbonamento o incluso in altri servizi.

Come valutare se (quando) usarlo per il tuo business

Se fossi nella tua posizione (CTO / CEO), farei queste valutazioni:

  • Preparare il sito: assicurarsi che il sito riflette al meglio la brand identity, che i testi siano coerenti, che i visual siano puliti e ricorrenti. Prima che Pomelli legga, “leggi” tu il sito come un’AI.
  • Test pilota: usarlo su una piccola linea prodotto / campagna limitata, confrontare le versioni generate con versioni “umane” per metriche di engagement, CTR, percezione brand.
  • Iterazione e feedback: ogni generazione è un input di apprendimento. Salvare le versioni migliori, criticare quelle peggiori, costruire un “archivio di virgolette, schemi, toni” e usarlo per affinare prompt e scelte.
  • Non delegare totalmente: mantenere un flusso di revisione umana, particolarmente su aspetti critici: claim, USP, elementi distintivi.
  • Monitorare evoluzione: seguire i rilasci, le integrazioni con Google Ads / Workspace / Analytics. Essere pronti a saltare dentro quando la “leva AI” diventa integrata.
  • Pianificare fallback: nel caso l’AI generi errori, avere sempre un piano di fallback manuale.

implicazioni strategiche (per il mercato digitale, e per chi “vende AI”)

Pomelli è un segnale forte: Google vuole intervenire non solo come motore di ricerca o piattaforma pubblicitaria, ma come co-creatore di contenuti brandizzati. Più avanti, potresti non “briefare un’agenzia”, ma “richiamare Pomelli + human touch”. Ciò riduce la barriera d’ingresso al marketing di livello enterprise, ed erode parte del valore aggiunto delle agenzie creative tradizionali.

Per chi sviluppa tecnologie, è un avvertimento: non basta “far generare contenuti”, bisogna farli coerenti, contestuali, brand-aware. Se il tuo team ha interesse su modelli generativi, vale la pena studiare come Pomelli costruisce il “DNA del brand” e come lo applica ai vari livelli del contenuto (testi, visual, tono). Il vero valore sarà l’integrazione fluida, il feedback loop, la personalizzazione verticale su settore, lingua e cultura.