Negli ultimi mesi la mia timeline su X e i break pubblicitari in TV sono stati occupati da un’unica narrazione: Tesla che vende futuri. Non modelli elettrici acquistabili oggi, ma visioni: robot umanoidi (“Optimus”), auto-taxi senzienti e – come ciliegina – un pacchetto compensativo che potrebbe rendere Elon Musk il primo “trilionario” da CEO. Il voto degli azionisti su questo piano da 1.000 miliardi di dollari è fissato per mercoledì sera, salvo che qualcuno non decida di volare in Texas per l’assemblea di persona.

La proposta concede a Musk opzioni su azioni Tesla per i prossimi dieci anni solo se verranno raggiunti dei target quasi fantascientifici: capitalizzazione aziendale moltiplicata per sei (fino a 8,5 trilioni di dollari), 20 milioni di auto vendute, produzione e utilizzo di un milione di robot Optimus e un milione di Robotaxi operativi. Il consiglio presieduto da Robyn Denholm ha lanciato una campagna mediatica per convincere gli azionisti: trattenere Musk con incentivi giganteschi è l’unico modo per evitare che si distragga con SpaceX, X, Neuralink e compagnia bella. Persino Denholm ha detto che Musk potrebbe andarsene se il voto fallisse.

Ma non tutti applaudono. Il fondo pensione pubblico statunitense CalPERS si è pronunciato contro: il pacchetto è “molto più grande di quelli simili per altri CEO” e rischia di concentrare il potere in un solo shareholder. I principali consulenti alle votazioni, ISS e Glass Lewis, hanno espressamente consigliato il “no”. Musk li ha liquidati come “terroristi aziendali” (corporate terrorists).

I grandi investitori istituzionali restano in bilico. BlackRock e State Street non hanno ancora annunciato come voteranno; molti azionisti retail, adoratori stile fandom, sono già schierati con Musk a prescindere. Dopotutto, il bello del piano è che Musk non guadagnerebbe niente se non venissero raggiunti gli obiettivi. Rischio altissimo, potenziale premio astronomico. Ma la strada è lastricata di incognite: problemi interni, ostacoli normativi per guida autonoma e robotica, e l’ennesima promessa (volanti) accennata durante l’ultima puntata con Joe Rogan.

Se il voto non passerà, il consiglio Tesla starebbe già sondando candidati interni per sostituire Musk. Il fatto che si stia pianificando un “piano B” con nomi già presenti in azienda è un segnale: Musk è centrale, ma non insostituibile.

Nel frattempo, la settimana offre altri spunti: tra i bilanci in arrivo ci sono quelli di Uber, Lyft, Pinterest, Snap, DoorDash e Airbnb. Un test sulla pressione dei mercati per aziende digitali dove margini, crescita e aspettative divergono.

Il risultato del voto Tesla si saprà giovedì all’assemblea annuale. Con esso non si deciderà solo il destino di Musk, ma l’equilibrio interno di potere, la credibilità della governance e forse il paradigma stesso di cosa vuol dire “premio al CEO” nell’era dell’iper crescita tecnologica.