Amazon contro Perplexity: quando l’intelligenza artificiale diventa una minaccia per il commercio digitale

Nel teatro sempre più surreale della tecnologia, la scena di oggi vede protagonisti due attori di peso: Amazon e Perplexity. Il primo è l’impero consolidato dell’e-commerce globale, il secondo una startup in ascesa che si nutre di intelligenza artificiale e di una certa abilità nella costruzione di narrazioni eroiche. Tutto inizia quando Amazon chiede a Perplexity di non consentire ai propri utenti di utilizzare agenti AI per fare acquisti sul suo marketplace. La risposta della startup è stata un colpo di teatro degno di Silicon Valley: un post dal titolo “Il bullismo non è innovazione”, che suona come un manifesto più che come un comunicato. In un’epoca in cui anche la moralità digitale è diventata brand identity, la lotta di Perplexity per la “libertà degli utenti” appare tanto idealista quanto strategica.

La verità è che dietro questa battaglia apparentemente etica si nasconde un nodo economico cruciale. Amazon genera decine di miliardi di dollari ogni anno vendendo spazi pubblicitari interni al suo marketplace. Un modello che vive sul principio dell’attenzione e sulla navigazione autonoma degli utenti. Se gli agenti di intelligenza artificiale iniziano a comprare prodotti direttamente per conto delle persone, l’intero ecosistema pubblicitario di Amazon viene messo in crisi. L’agente AI non guarda le offerte, non confronta i banner, non clicca sui suggerimenti sponsorizzati. È efficiente, ma letalmente silenzioso dal punto di vista dei ricavi. Da qui il nervosismo del colosso di Seattle, che nella guerra per il controllo dell’esperienza d’acquisto non può permettersi di perdere il suo principale asset: la relazione diretta con il consumatore.

Le parole del CEO Andy Jassy non sono bastate a dissipare i dubbi. La sua dichiarazione ufficiale, “per garantire un’esperienza positiva al cliente”, suona come una formula da ufficio legale. Ma poi, nel suo intervento agli analisti finanziari, il discorso si è fatto più concreto. Secondo Jassy, gli agenti di intelligenza artificiale non offrono personalizzazione, sbagliano le stime di consegna e spesso forniscono prezzi errati. Un argomento sensato, almeno in parte, considerando che molti chatbot di intelligenza artificiale operano su dati non aggiornati o incompleti. Tuttavia, il sospetto resta: Amazon non teme tanto gli errori degli agenti, quanto la loro efficienza futura. Perché se domani questi sistemi imparassero davvero a fare acquisti meglio degli esseri umani, Amazon rischierebbe di diventare una piattaforma intermediata dalle stesse intelligenze che oggi cerca di contenere.

In fondo è una questione di potere, non di etica. Gli agenti AI rappresentano una minaccia strutturale per i modelli di business basati sull’intermediazione. Non solo nel commercio elettronico, ma anche nel software aziendale, dove casi simili stanno già emergendo. Salesforce, per esempio, sta ostacolando strumenti come Glean, che tentano di connettersi alle sue applicazioni per offrire ricerche intelligenti e centralizzate. La logica è la stessa: chi controlla i dati controlla la catena del valore. E nessun incumbente, nemmeno il più progressista, è disposto a cedere questa sovranità senza combattere.

Il paradosso è che Amazon stessa sta lavorando a proprie soluzioni di intelligenza artificiale generativa. Il suo interesse non è impedire l’evoluzione, ma governarla. Come nella migliore tradizione delle Big Tech, la strategia consiste nel chiudere l’ecosistema agli outsider e, contemporaneamente, offrire un’alternativa proprietaria. L’obiettivo è mantenere la centralità dell’esperienza d’acquisto e dei dati di consumo, che restano il cuore pulsante del suo impero. La retorica della “collaborazione con agenti esterni” evocata da Jassy serve più a rassicurare i mercati che a costruire ponti reali.

Dall’altra parte, Perplexity gioca abilmente la carta del martirio tecnologico. In un mercato sempre più affollato da AI generative e chatbot, la narrativa del “piccolo che sfida il gigante” è un potente acceleratore di attenzione mediatica. L’azienda si presenta come paladina dei diritti digitali degli utenti, ma il suo vero obiettivo è posizionarsi come intermediario neutrale nell’interfaccia tra uomo e web. Se riuscisse a convincere milioni di utenti a delegare agli agenti AI le proprie decisioni di acquisto, otterrebbe un potere informativo immenso. E questo, più di ogni altra cosa, spiega l’irritazione di Amazon.

C’è poi un elemento di ironia nell’intera vicenda. Dopo anni passati a sfruttare algoritmi e automazione per dominare il commercio globale, Amazon si trova ora nella posizione di chi teme l’automazione altrui. È una sorta di contrappasso digitale. La creatura algoritmica rischia di essere sopraffatta da un’intelligenza più agile, meno controllabile, che non obbedisce più alla logica della piattaforma ma a quella dell’utente. È il punto in cui la trasformazione digitale smette di essere solo un vantaggio competitivo e diventa una minaccia sistemica.

La reazione di Amazon dimostra quanto le grandi piattaforme siano ancora prigioniere del proprio modello di business. Nonostante la loro immagine di innovatori, il loro potere deriva da strutture altamente centralizzate e chiuse. Gli agenti AI, invece, rappresentano l’esatto opposto: decentralizzazione, autonomia e interoperabilità. Una forma di libertà che spaventa chi ha costruito la propria fortuna sulla gestione dell’accesso e sulla visibilità dei prodotti.

Certo, Perplexity non è un eroe romantico. È un’azienda ambiziosa che gioca la partita della percezione. Ma ha intuito qualcosa di fondamentale: nel prossimo decennio, il valore non sarà più nel possesso dei dati, ma nella capacità di interpretarli per conto dell’utente. Gli agenti di intelligenza artificiale diventeranno la nuova interfaccia tra consumatore e realtà digitale, spostando il potere dalle piattaforme alle menti sintetiche che le navigano. È un cambio di paradigma che fa tremare i colossi perché mina la loro funzione stessa di mediatori.

In questo scenario, Amazon potrà anche vincere la battaglia legale o tecnica, ma rischia di perdere la guerra culturale. Ogni volta che un utente affida un compito a un agente AI, compie un piccolo atto di disintermediazione. E ogni atto di disintermediazione riduce l’autorità dei gatekeeper digitali. La vera sfida, per Amazon e i suoi simili, sarà reinventarsi come infrastrutture intelligenti, non più come piattaforme chiuse.

La vicenda Perplexity-Amazon non è solo un episodio di frizione commerciale, ma il segnale di una rivoluzione silenziosa. L’intelligenza artificiale non è più uno strumento: è un attore del mercato. E i giganti che l’hanno creata stanno scoprendo, con un certo imbarazzo, che la loro creatura non riconosce padroni.


Source https://www.perplexity.ai/hub/blog/bullying-is-not-innovation

Source: https://www.aboutamazon.com/news/company-news/amazon-perplexity-comet-statement

Source https://www.amazon.com/gp/help/customer/display.html?nodeId=GLSBYFE9MGKKQXXM