La narrativa globale sulle tecnologie emergenti si sta muovendo con la stessa compostezza strategica di un diplomatico che nasconde un trattato decisivo dentro una busta anonima. I cosiddetti smart glasses, per anni relegati al ruolo di gadget futuribili e timidi prototipi, stanno accelerando verso un punto di non ritorno. La loro corsa non è più una partita di nicchia. La trasformazione ricorda quelle onde che nessuno vedeva arrivare finché non travolgevano l’intera spiaggia. Questa volta però l’onda porta con sé un cambiamento radicale: l’identità digitale che migra dal telefono al volto e i pagamenti che si dissolvono nel gesto naturale dello sguardo. La keyword che domina tutto questo è smart glasses, accompagnata da un’inevitabile espansione semantica su identità digitale e pagamenti digitali, i tre poli che definiscono la nuova infrastruttura dell’esperienza umana.

La cronaca recente fornisce un’anteprima particolarmente gustosa. A Hangzhou, Rokid ha presentato un modello di occhiali basato sulla collaborazione con Bolon, capace di mettere in imbarazzo l’industria che ancora crede che il fattore “wow” sia misurabile solo in pollici di display. Il frame pesa 38,5 grammi, ha un design D shape nero che punta più sul minimalismo intelligente che sull’effetto astronauta, supporta lenti graduate personalizzate e integra un pulsante fisico con un touchpad. L’anima della macchina è il chipset AR1 di Qualcomm. Le funzioni comprendono registrazione video, foto, musica e navigazione. Un piccolo repertorio di strumenti che però tradisce una verità più profonda. Non serve uno schermo quando si ha un ecosistema di modelli AI integrati, da Qwen a DeepSeek, da Doubao a Zhipu, pronti a diventare un assistente vocale costantemente presente a livello percettivo. L’iPhone moment evocato dal CEO Misa Zhu non è solo una battuta. È una dichiarazione di guerra, quasi un avvertimento alle big tech occidentali che si stanno muovendo come elefanti in un mercato che richiede agilità felina.

La stessa presentazione ha fatto emergere indizi che rivelano dove stanno andando gli smart glasses. Rokid ha mostrato upgrade per i modelli dotati di display monocromatico, ha anticipato l’integrazione con QQ Music, la possibilità di fare shopping su JD semplicemente guardando un oggetto e, dettaglio più significativo di tutti, l’utilizzo di Alipay per acquistare un caffè Luckin con un gesto tanto naturale da sembrare un riflesso motorio. Non è un caso che questo passaggio generi brividi lungo la schiena ai regolatori finanziari. Quando il pagamento diventa invisibile e incorporato nel senso visivo, la frizione si azzera. La transazione smette di essere un’azione deliberata e diventa un’estensione della percezione. In altre parole, l’atto di pagare entra nel regno dei pagamenti digitali puri, senza schermi, senza carte, senza app. È l’inizio del commercio per riflesso.

La tensione competitiva sta esplodendo in Cina con una vitalità che fa impallidire il resto del mondo. Alibaba è pronta a rilasciare i suoi Quark AI Glasses, Baidu spinge Xiaodu AI Glass Pro, Xiaomi è entrata in campo con un prezzo aggressivo, Meizu e RayNeo fanno da comprimari in un’arena iperveloce. Le previsioni parlano chiaro. Le spedizioni globali di smart glasses sono aumentate del 110 per cento nell’ultima metà dell’anno e si prevede un +158 per cento nel 2025, per arrivare a 5,1 milioni di unità e superare i 10 milioni nel 2026, fino a puntare 35 milioni nel 2030. La crescita ricorda quella dei primi anni degli smartphone, con la stessa fragranza di inevitabilità. Non è solo un mercato, è un’infrastruttura in formazione.

La concorrenza occidentale è guidata da Meta, che con i Ray-Ban smart glasses propone un modello con display a colori integrato. Il peso è di 69 grammi, il prezzo parte da 799 dollari, un posizionamento già pensato per un pubblico mainstream. Tuttavia il vantaggio competitivo asiatico sembra muoversi con un ritmo diverso. Le startup come Rokid hanno una capacità di muoversi nel mercato con quella che definirei una spregiudicatezza controllata, una neutralità strategica che permette partnership rapide e sperimentazioni radicali. La flessibilità dell’ecosistema cinese ha creato una dinamica dove l’innovazione è continua, quasi aggressiva, e si muove più velocemente della regolazione stessa. La dichiarazione di Zhu secondo cui gli ordini hanno superato i 300 mila pezzi non è semplice ottimismo. È il segno evidente che gli smart glasses stanno entrando nella vita reale, non più confinati ai laboratori o ai video demo patinati.

Dentro questo scenario, la parte più interessante riguarda il passaggio dell’identità digitale dal dominio tascabile dello smartphone al dominio visivo degli occhiali. Quando il viso diventa la superficie dell’identità e lo sguardo diventa la chiave di accesso, si riscrive un principio fondamentale della sicurezza e della privacy. L’identità digitale negli smart glasses significa riconoscimento biometrico continuo, autenticazione implicita, token sicuri integrati nel firmware e un modello di interazione che elimina la necessità di digitare, confermare, scorrere. La frizione scompare. La vita digitale si avvicina pericolosamente alla vita biologica. È il tipo di evoluzione che fa gola a chi progetta user experience e provoca insonnia a chi redige normative sulla sorveglianza. Ma è inevitabile. Perché l’identità digitale non sarà più un dato che si consulta. Sarà un attributo che si indossa.

Quando gli smart glasses diventeranno la chiave primaria dell’identità, i pagamenti digitali seguiranno lo stesso destino. Il sistema che oggi passa attraverso wallet, app e autenticazioni a due fattori verrà sostituito da microinterazioni visive e vocali. La prossima generazione di utenti pagherà guardando un prodotto fisico o digitale, mentre un motore AI valuterà prezzo, credito, contesto e autorizzazioni in una frazione di secondo. Non ci sarà nemmeno da pensare alla transazione. Sarà un riflesso guidato da un assistente invisibile. Tutto questo resta coerente con la direzione tracciata dai colossi del settore. Il futuro sarà ID tramite smart glasses e i pagamenti stessi agiranno in modo trasparente attraverso la stessa infrastruttura. Un flusso continuo tra percezione, identità e azione economica. Una fusione che a molti farà paura e ad altri sembrerà la soluzione definitiva all’attrito tecnologico dell’era mobile.

Il paradosso irresistibile è che questa nuova ondata di dispositivi sta riportando gli occhiali alla loro funzione originaria. Un oggetto che per secoli ha ampliato la visione ora amplia la percezione digitale. Una battuta che circola già nel settore recita che presto l’unica cosa che non faranno sarà migliorare la vista. Non dovremmo sorprenderci. L’industria tecnologica ha una passione irresistibile per le simmetrie.

Il movimento in corso non assomiglia affatto a un semplice cambio di device. È un reindirizzamento dell’attenzione collettiva. Non guarderemo più lo schermo. Guarderemo attraverso l’interfaccia. Una transizione simile a passare dal leggere un libro al guardare fuori da un finestrino. La tecnologia smette di essere un oggetto e diventa uno strato dell’esperienza. Gli smart glasses entreranno negli uffici, nelle fabbriche, nelle case, nelle strade. Le aziende useranno identità digitale integrata per autorizzare l’accesso, firmare documenti, gestire workflow. Il consumatore userà pagamenti digitali invisibili per acquistare qualsiasi cosa nel mondo fisico e digitale. Le città diventeranno ambienti percepiti tramite livelli informativi sovrapposti, costruiti in tempo reale.

Mentre molti si interrogano sul destino degli smartphone, la risposta è già appoggiata sulle orecchie di migliaia di utenti. Gli smart glasses non stanno arrivando. Stanno già occupando spazio. Chi continua a considerarli un accessorio si comporta come chi, nel 2006, pensava che il telefono dovesse solo telefonare. La storia non si ripete, ma ama ispirarsi ai suoi capitoli più dirompenti. Questa volta il futuro non è nel palmo della mano. È davanti agli occhi.