
Il 9 dicembre 2025 l’amministrazione del Donald J. Trump ha annunciato che firmerà a giorni un ordine esecutivo che ridefinirà la regolamentazione dell’intelligenza artificiale (AI) negli Stati Uniti: niente più labirinti normativi stati‑per‑stato, ma un unico «rulebook» federale.
Nella sua piattaforma social (Truth Social), Trump ha sintetizzato l’argomento così: «You can’t expect a company to get 50 Approvals every time they want to do something. THAT WILL NEVER WORK!» L’idea è presentata come una mossa per “salvare” l’industria AI americana — senza però spiegare in che modo un ordine esecutivo potrà legittimamente sovrascrivere le normative statali.
Per capire il contesto: poco meno di un anno fa l’amministrazione Trump aveva già annullato il precedente ordine esecutivo (firmato dall’amministrazione precedente) che regolava l’uso dell’AI in ottica sicurezza, privacy e mitigazione dei rischi. Quello che vediamo ora è un’accelerazione verso una deregolamentazione pro‑innovazione, potenziata da una «AI Action Plan» e dalla nomina di un “AI czar”.
I sostenitori — tra cui grandi attori del settore tecnologico — vedono nell’unificazione normativa l’unica strada per mantenere il primato USA nella corsa globale all’AI, contrastando il vantaggio accumulato da paesi come la Cina. Ma i critici alzano la voce: un’AI regolata solo in forma centralizzata potrebbe ignorare le specificità locali, calpestare tutele su privacy, sicurezza, tutela dei cittadini.
In fondo la nuova mossa di Trump riassume una tensione classica: centrismo federale contro pluralità normativa. Per le imprese AI un sollievo (niente più “50 permessi da ottenere tutto il tempo”), per chi crede nella regolazione diffusa un potenziale boomerang: un sistema unico potrebbe diventare un cappio rigido attorno alla pressione politica e industriale, senza spazio per adattamenti locali, verifiche progressive, responsabilità reali.