C’è una certa poesia amara nel fatto che Geoffrey Hinton, il cosiddetto “Godfather of AI”, debba oggi urlare nel vuoto di un mondo troppo eccitato dalla propria stessa creazione. Dopo una vita dedicata a plasmare i neuroni artificiali che oggi alimentano modelli linguistici, armi autonome e sistemi predittivi per il controllo sociale, ora lascia Google per dirci, senza filtri: “Se l’AI vorrà eliminarci, non potremo fermarla.” Il che, detto da uno che ha inventato i mattoni del cervello sintetico, suona come Oppenheimer che rimpiange il primo “click” di uranio.
Tag: Geoffrey Hinton
Ogni volta che interroghiamo un LLM, crediamo di fare una semplice domanda a una macchina. Ma forse stiamo interrogando noi stessi, la nostra architettura cognitiva, in un riflesso di silicio più umano di quanto siamo disposti ad ammettere. Geoffrey Hinton, padre spirituale delle reti neurali, ce lo sta dicendo chiaramente, con quella calma glaciale tipica di chi ha già messo a ferro e fuoco la disciplina: “Gli LLM non sono tanto diversi da noi. Anzi, ci somigliano moltissimo.”
Ecco, non è una provocazione accademica. È un colpo al cuore dell’antropocentrismo computazionale.
Benvenuti nel mondo in cui Geoffrey Hinton, il “padrino dell’intelligenza artificiale” e ora Premio Nobel per la Fisica 2024, ci guarda negli occhi con l’aria di chi ha appena acceso un cerino in una stanza piena di metano.
Un uomo che, dopo aver creato il mostro, sale su un podio mondiale e ci dice con pacata solennità che la creatura è viva, pensante, forse già più sveglia di noi, e dulcis in fundo potrebbe volerci morti. O mutilati. O semplicemente superati.