Non è un segreto che il regno di Menlo Park sia stato costruito a colpi di acquisizioni strategiche, mosse predatorie e una visione quasi napoleonica del controllo dei dati personali. Ma ciò che emerge dal processo antitrust tra la Federal Trade Commission e Meta è un retroscena che profuma di auto-preservazione travestita da strategia imprenditoriale.
Secondo e-mail interne risalenti a sette anni fa, Mark Zuckerberg avrebbe considerato lo scorporo volontario di Instagram, proprio perché il suo successo crescente rischiava di oscurare Facebook, la piattaforma madre.
Una confessione che sa di paradosso, se pensiamo che Instagram era stato acquisito per 1 miliardo di dollari con l’obiettivo opposto: neutralizzare la concorrenza.
Eppure, la crescita vertiginosa dell’app fotografica – più giovane, più sexy, più visiva – stava iniziando a mettere in ombra la vecchia guardia di Facebook, ormai popolata da genitori, zie e gruppi del calcetto. Zuckerberg temeva che, lasciando le cose così, i regolatori potessero intervenire con la scure dell’antitrust.
Allora tanto vale batterli sul tempo, no? Smembrarsi da soli, mantenere controllo e narrativa, e fingersi “pro-concorrenza”.
Il processo ha anche tirato fuori un’altra perla dal passato, come se servisse ulteriore benzina sul fuoco: nel 2013, Meta (allora Facebook) aveva fatto un’offerta da 6 miliardi di dollari per acquisire Snap.
L’offerta fu rifiutata dal fondatore Evan Spiegel, che –almeno secondo una mail interna di Zuckerberg avrebbe detto che voleva costruire l’azienda da solo. Una risposta che oggi suona romantica, quasi poetica, in un mondo dove la maggior parte dei CEO venderebbe anche l’anima per un exit miliardaria.
Ma Spiegel ha tenuto duro, forse per orgoglio, forse per visione. Forse per entrambe.
La cifra in sé è significativa non tanto per l’importo, ma per quello che dice del modus operandi di Meta: se qualcosa ti minaccia, la compri. Se non puoi comprarla, la copi. Se non puoi nemmeno copiarla con successo, la annienti sfruttando l’effetto rete e il potere distributivo del tuo ecosistema.
Se proprio tutto va a rotoli, beh, si manda qualche email sullo scorporo, giusto per tenersi aperta un’uscita di emergenza in tribunale.
Queste rivelazioni non sono solo curiosità storiche per nerd dell’antitrust. Sono la radiografia di un impero che ha vissuto per anni sulla soglia tra genio imprenditoriale e abuso sistemico.
La verità è che Zuckerberg non ha mai avuto paura della concorrenza. Ha avuto paura di non riuscire a comprarla in tempo.