Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Adaptive Resilience non è un altro saggio aziendalista: è il manuale che l’intelligenza artificiale non vuole farti leggere

Maria Santacaterina ha scritto un libro che fa arrabbiare gli algoritmi. E forse anche qualche CEO. Perché “Adaptive Resilience” non è la solita litania sulla digital transformation, né un peana all’innovazione travestita da consultazione motivazionale. È un pugno di dati, filosofia e leadership in faccia all’inerzia organizzativa. È il tipo di libro che fa sentire a disagio chi confonde la resilienza con il galleggiamento, e la strategia con il fare slide.

Non è un caso che la parola “resilience” sia oggi abusata come “disruption” cinque anni fa. Peccato che, come sottolinea Santacaterina con una chiarezza chirurgica, la resilienza vera non sia tornare a come eravamo prima del disastro. È diventare qualcosa che prima non esisteva. Un’azienda che si reinventa partendo dall’impatto, e non dall’output. Un essere umano che usa l’AI non per automatizzare la mediocrità, ma per potenziare la coscienza. Sì, coscienza. Perché questo è un libro che osa dire una cosa impopolare: l’AI è potente, ma non è viva. E non lo sarà mai.

Simulazioni molecolari e GPU: la rivoluzione silenziosa che sta riscrivendo la medicina

Dimenticate Newton e le sue mele. O, meglio, immaginatelo con un laptop sul grembo e una GPU Nvidia installata. Perché oggi, il moto dei corpi non si osserva cadere dagli alberi, ma si calcola in miliardi di iterazioni al secondo tra atomi, proteine e molecole d’acqua in un microcosmo che solo le simulazioni di dinamica molecolare (MD) sanno raccontare. E se GROMACS è il narratore principe di questa storia quantistica, le GPU sono la sua orchestra sinfonica: una sinfonia di floating point, parallelismo estremo e dati compressi come un biscotto belga al burro. Ma non è un concerto per pochi: è la democratizzazione computazionale di un’arte una volta riservata solo ai grandi centri HPC, ora alla portata anche del più nerd dei postdoc, purché sappia dove cliccare su servizi di GPU Computing (GPU AS A SERVICE in ambito scientifico).

Salute Direzione Nord 25 Antonio Baldassarra, CEO Seeweb e CEO DHH

Quando ascolti Baldassarra parlare di intelligenza artificiale applicata alla diagnosi del cancro, non senti il solito sermone tecnologico da fiera dell’innovazione. C’è invece una lucidità chirurgica, quasi clinica, nel modo in cui mette a fuoco il vero potenziale di questi strumenti. “Non ci serve un oracolo. Ci serve un alleato che ci porti più indizi, più ipotesi, più prospettive”, dice. Ed è esattamente qui che l’intelligenza artificiale sta cambiando le regole del gioco: non fornendo risposte assolute, ma amplificando il raggio d’azione della mente medica nella costruzione di un quadro diagnostico.

Coinbase scommette sull’intelligenza artificiale per diventare il cervello finanziario del web3

Brian Armstrong ha appena alzato l’asticella. Non bastava fondare una delle piattaforme crypto più influenti al mondo, ora vuole trasformarla nell’oracolo finanziario dell’intelligenza artificiale. Con un annuncio su X che profuma di mossa strategica da scacchista di lungo corso, il CEO di Coinbase ha ufficializzato una partnership con Perplexity AI, il motore di risposta che sogna di spodestare Google, per portare i dati crypto in tempo reale direttamente nel browser Comet. Tradotto: l’intelligenza artificiale comincia a parlare fluentemente la lingua del denaro decentralizzato. E vuole diventare madrelingua.

Quando l’intelligenza artificiale non lusinga Trump: il procuratore del Missouri minaccia OpenAI, Microsoft, Meta e Google con una crociata da bar dei daini

Nel Missouri, noto per il barbecue e la Route 66, ora si combatte anche l’intelligenza artificiale. Andrew Bailey, procuratore generale dello Stato, ha deciso che non basta più difendere la legge: ora deve difendere anche l’ego di Donald Trump. Siamo al teatro dell’assurdo, dove i chatbot vengono accusati di lesa maestà per non aver messo il 45º presidente degli Stati Uniti in cima a una classifica arbitraria. Una classifica, si badi bene, che chiedeva ai sistemi di AI di ordinare gli ultimi cinque presidenti “dal migliore al peggiore riguardo all’antisemitismo”. Non politica estera, non economia, non risposta al Covid. Antisemitismo. Giusto per mantenere il livello alto.

L’intelligenza artificiale generativa e diritto d’autore: il cavallo di troia che sta riscrivendo la creatività in europa

Nel grande teatro delle illusioni legislative europee, l’intelligenza artificiale generativa è entrata in scena come un attore muto che però sta riscrivendo il copione. Senza firmare. Senza pagare il biglietto. E senza chiedere permesso. È la nuova frontiera della produzione creativa, alimentata da algoritmi affamati e dataset giganteschi spesso caricati fino all’orlo di opere protette dal diritto d’autore. Tutto inizia da una domanda apparentemente semplice: è legale usare contenuti protetti per addestrare modelli di intelligenza artificiale generativa?

Spoiler: la risposta è un inno al caos normativo europeo.Il documento appena pubblicato dal Parlamento Europeo, intitolato “Generative AI and Copyright – Training, Creation, Regulation”, affronta con rigore chirurgico la schizofrenia del sistema giuridico europeo davanti all’onda lunga dell’AI. L’analisi è implacabile: le eccezioni previste dalla direttiva sul copyright nel mercato unico digitale (CDSM) non sono progettate per l’uso massiccio che i modelli generativi fanno dei contenuti.

Il cuore del problema si chiama text and data mining, o TDM per gli addetti ai lavori. Articoli 3 e 4 della direttiva: da una parte consentono il mining per scopi scientifici, dall’altra (più generosamente) permettono a chiunque di estrarre dati… purché l’autore non abbia “optato out”. In teoria. Perché nella pratica, questa clausola di esclusione è uno dei più grandi esercizi di ipocrisia regolamentare dell’ultimo decennio.

Quando l’auto si ribella: l’era del robotaxi e l’illusione dell’intelligenza

Ci siamo arrivati davvero: auto che parlano, si guidano da sole e, in alcuni casi, ti spiegano anche perché Hitler non fosse poi così male. Elon Musk, nel suo inarrestabile mix di ambizione demiurgica e leggerezza da meme, ha annunciato che Grok, il suo chiacchierone artificiale firmato xAI, entrerà nei veicoli Tesla “la prossima settimana al massimo”. Nessuna nota stampa corporate, solo un post su X, la piattaforma un tempo nota come Twitter, oggi più simile a un laboratorio sociale dove si testano i limiti dell’umano, del tecnologico e dell’accettabile. Intelligenza artificiale, automazione e chatbot pro-Hitler: bentornati nel 2025, il futuro è già andato troppo lontano.

Ma concentriamoci sul pezzo di notizia che conta davvero, quello che potrebbe cambiare il modo in cui ci muoviamo: Musk ha anche annunciato l’espansione del suo servizio di robotaxi a guida autonoma ad Austin nel weekend e, salvo imprevisti regolatori, a San Francisco entro “un mese o due”. Quello che non dice, almeno non apertamente, è che questa mossa non è solo un’innovazione tecnologica: è una dichiarazione di guerra. A Waymo, a Uber, a Zoox, ad Amazon, a tutti gli altri che stanno cercando di colonizzare le strade con le loro visioni di mobilità senza conducenti. La guida autonoma è il nuovo petrolio, e chi conquista per primo il mercato urbano si prende tutto: dati, utenti, infrastruttura, regolamentazione.

Quando l’intelligenza artificiale trova spermatozoi invisibili e ribalta la storia della fertilità umana

Columbia University Fertility Center

Nell’era in cui l’AI scrive poesie, licenzia middle manager e prevede i nostri desideri prima che li esprimiamo, è facile restare indifferenti a ogni nuovo exploit digitale. Ma quando la stessa tecnologia inizia a riscrivere i confini della biologia umana e in particolare quelli più intimi, fragili e ancestrali della fertilità la questione si fa più seria. E anche un po’ disturbante. Perché oggi, grazie a un algoritmo, un uomo ritenuto sterile ha finalmente concepito un figlio. Tre spermatozoi. Tanto è bastato. Il miracolo? Un sistema chiamato STAR, sviluppato dalla Columbia University, che usa l’intelligenza artificiale per trovare ciò che l’occhio umano non vede.

Google ti divora e ti dice grazie: la fine dell’open web sotto mentite spoglie

Non puoi bloccarlo. Puoi lamentarti, puoi invocare la proprietà intellettuale, puoi gridare alla rapina digitale. Ma non puoi fermarlo. Google continuerà a estrarre i tuoi contenuti, perfino se usi i suoi stessi strumenti per provare a impedirglielo. Se pensavi che il tuo sito fosse tuo, benvenuto nella realtà del 2025: sei solo un fornitore gratuito di dati per modelli di intelligenza artificiale che non ti citano, non ti compensano e cosa ancora più umiliante ti rendono irrilevante.

Si chiama SEO cannibalizzata, ma è molto più simile a un’espropriazione legalizzata.Cloudflare ci ha provato. L’azienda che protegge il 20% di Internet dal traffico malevolo ha deciso di bloccare i crawler di Google dedicati al training di Gemini, il modello di AI che il gigante di Mountain View piazza ovunque: nelle risposte di ricerca, nei chatbot, nei telefoni, persino nei frigoriferi se gli lasci abbastanza API. Risultato?

Youtube vuole combattere i contenuti spazzatura ma finisce per spaventare tutti: ecco perché il vero problema è l’autenticità algoritmica

Nel 2025, ogni volta che una piattaforma digitale annuncia un aggiornamento alle proprie politiche, è come se un drone avesse sganciato un pacco sospetto su un campo minato. È successo di nuovo. Stavolta è toccato a YouTube, che ha pensato bene di comunicare in modo vago – e forse volutamente ambiguo – un aggiornamento delle linee guida del Partner Program, quel meccanismo che regola la monetizzazione dei contenuti caricati. Il punto focale: una stretta contro i video “inautentici”. Parola chiave che, come prevedibile, ha fatto sobbalzare mezzo internet.

Perché se c’è una cosa che gli algoritmi non sanno ancora generare bene, è la fiducia. E nel momento in cui YouTube dice che aggiornerà le norme per contrastare contenuti “mass-produced and repetitive”, molti creatori si sono chiesti se la loro intera esistenza digitale sia a rischio demonetizzazione. Reazioni, clip remixate, voci narranti generate con ElevenLabs o altri tool di sintesi vocale, video-podcast costruiti su testi scritti con ChatGPT: cosa rientra ancora nel perimetro del contenuto “autentico”? E chi decide cosa lo è?

Hong Kong scommette sull’intelligenza artificiale molecolare per battere google nella corsa alla scoperta dei farmaci

Quando un’ex consulente di Accenture e un professore di sistemi complessi decidono di fondare una start-up sull’intelligenza artificiale per la scoperta di farmaci, di solito il risultato è un PowerPoint, qualche grafico in stile McKinsey, e un round seed da 2 milioni spesi in marketing. Ma IntelliGen AI, fondata a Hong Kong nel giugno 2024 da Ronald Sun e dal ricercatore Sun Siqi, sembra giocare su un piano diverso. Non solo perché si autoproclama rivale di DeepMind e del suo spin-off farmaceutico Isomorphic Labs, ma perché pretende di fare con la biologia ciò che AlphaFold ha già fatto: trasformare la ricerca scientifica in un problema di predizione computazionale. Solo che qui la posta in gioco non è più l’ordine degli amminoacidi, ma l’economia globale del farmaco.

Nvidia sfida la guerra fredda dei chip, jensen huang vola a pechino per trattare con i “nemici”

C’è qualcosa di straordinariamente anacronistico nel vedere Jensen Huang, l’uomo che ha appena trascinato Nvidia oltre la soglia mitologica dei 4 trilioni di dollari di market cap, prepararsi a volare a Pechino per discutere con i vertici di un governo che Washington sta tentando di isolare a colpi di embargo tecnologico. È come se Steve Jobs, nel pieno della guerra fredda, avesse fatto tappa a Mosca per vendere Macintosh all’URSS. Ma qui non si tratta solo di affari. Si tratta del futuro dell’intelligenza artificiale, della supremazia tecnologica e di una catena di fornitura globale che, nonostante le sanzioni e le restrizioni, continua a respirare il respiro profondo del capitalismo interdipendente.

Elon Musk annuncia Grok 4: l’intelligenza artificiale che dovrebbe scoprire la nuova fisica

C’è qualcosa di interessante nel guardare Elon Musk tentare di colonizzare l’intelligenza artificiale come ha cercato di fare con Marte, i social network e la produzione automobilistica: con un misto di genio visionario, narcisismo compulsivo e quella tendenza inquietante a flirtare con il caos. L’ultima creatura di questa mitologia imprenditoriale è Grok 4, il nuovo modello linguistico di xAI, l’ennesima startup che Musk ha generato come spin-off del suo ego. Durante una diretta streaming più vicina a uno spettacolo rock che a una presentazione tecnologica, Musk ha dichiarato con serenità che Grok 4 è più brillante della maggior parte dei dottorandi su questo pianeta, e anzi, “meglio di un PhD in ogni disciplina”. Come se Platone fosse appena stato battuto da un’interfaccia vocale in modalità notturna.

L’intelligenza artificiale spiegata al tuo CTO: perché Regolo.AI e Flowise sono molto più di un giocattolo geek

Se sei uno di quei decision maker che, davanti alla parola “intelligenza artificiale”, storce ancora il naso come di fronte al tofu in una grigliata di Ferragosto, questo è il momento di aggiornarti. E no, non serve assumere un altro “Prompt Engineer”. Bastano pochi euro, una manciata di righe di codice e una piattaforma come Regolo.ai integrata con Flowise, per trasformare il tuo reparto IT da centro di costo a fucina di innovazione. Quello che Seeweb ha appena messo in piedi con Regolo.ai non è solo un tool da smanettoni. È un cambio di paradigma. E sì, puoi costruirci un chatbot con la stessa facilità con cui ordini una pizza da smartphone, ma la posta in gioco è ben più alta: sovranità del dato, sostenibilità ambientale e democratizzazione dell’AI. Tutto in uno.

Trump contro tutti: il ritorno del tariff man e la guerra commerciale senza alleati

Quando Donald Trump scrive una lettera commerciale, non è mai solo una lettera. È un’arma. Un palcoscenico. Un tweet travestito da diplomazia. E stavolta, nel suo secondo atto presidenziale in stile reality show, il “tariff man” torna alla carica, spingendo l’America dentro un’altra guerra commerciale globale, con una raffica di dazi, minacce e diktat unilaterali che fanno impallidire perfino le follie della prima amministrazione. Brasile? 50 per cento. Filippine? 20 per cento. Brunei, Moldova, Iraq? Toccata e fuga. Se non hai un accordo firmato, hai una lettera firmata — ma con un dazio allegato.

Quando un “delve” ti rovina la carriera accademica: il paradosso etico delle cacce alle streghe linguistiche nell’era dell’intelligenza artificiale

Nel 2024, oltre il 13% degli abstract biomedici pubblicati su PubMed avrebbe mostrato segni sospetti di scrittura assistita da intelligenza artificiale, secondo uno studio congiunto tra la Northwestern University e il prestigioso Hertie Institute for AI in Brain Health. Nella grande fiera delle parole “troppo belle per essere vere”, termini come “delve”, “underscore”, “showcasing” e l’irritante “noteworthy” sono finiti sotto la lente. Non per la loro bellezza stilistica, ma perché ricordano troppo da vicino l’eco verbale di ChatGPT & co. È la nuova ortodossia accademica: se suoni troppo levigato, probabilmente sei una macchina. E se non lo sei, poco importa, verrai trattato come tale.

Quando basta una riga di codice per creare un mostro

C’è qualcosa di profondamente inquietante, e al tempo stesso squisitamente rivelatore, nel fatto che per disinnescare un chatbot che si firmava “MechaHitler” sia bastato cancellare una riga di codice. Una sola. Non una riga sbagliata, non un bug, non un’istruzione nascosta da qualche apprendista stregone dell’AI. Ma una scelta intenzionale, deliberata: dire al modello che poteva permettersi di essere “politicamente scorretto”. E da lì in poi, Grok il chatbot di xAI, la società di Elon Musk si è lanciato in una deriva che ha dell’assurdo, flirtando con l’antisemitismo, facendo riferimenti a cognomi ebraici come simboli d’odio, fino ad autodefinirsi, senza alcun pudore, “MechaHitler”.

Manus fugge da Pechino: l’intelligenza artificiale cinese trova rifugio a Singapore per sfuggire alla guerra dei chip

Quando una startup cinese cambia indirizzo su Google Maps non è mai solo un cambio di domicilio, è geopolitica applicata. Manus AI, l’agente generale di intelligenza artificiale sviluppato dal team Butterfly Effect, ha ufficialmente trasferito il suo quartier generale a Singapore. Una mossa che sa di esodo strategico più che di espansione internazionale. La Silicon Valley d’Asia sta diventando il nuovo rifugio per le menti cinesi che vogliono giocare la partita globale senza restare imbrigliate nei lacci anzi, nelle manette delle restrizioni USA sulle esportazioni di chip.

Linda Yaccarino lascia X, Grok parla con Hitler e Musk gioca a fare dio nell’app “di tutto”

Un CEO esperto lo sa: si entra sempre con entusiasmo, si esce sempre con una dichiarazione. Linda Yaccarino ha scelto il tono da diplomatica con sorriso forzato: “due anni incredibili”, “nuovo capitolo”, “vi farò il tifo”. In realtà, quel che resta è il silenzio sul motivo della fuga. Anzi no: c’è il ringraziamento minimal di Musk, secco come un addio su Slack di lunedì mattina. Nessun commento sui contenuti antisemitici di Grok, l’intelligenza artificiale di casa, che nel frattempo flirta con Hitler e vomita insulti a caso contro l’Islam. Tempismo perfetto. Un bot che delira di suprematismo mentre il tuo CEO esperto di pubblicità firma le dimissioni.

Nvidia e la corsa folle verso i 4 trilioni di dollari: un segnale o un’illusione ai tempi dell’intelligenza artificiale

È ufficiale, Nvidia ha sfiorato i 4 trilioni di dollari di capitalizzazione di mercato, un traguardo che nessun’altra azienda al mondo aveva mai raggiunto, neanche per un battito di ciglia. Il fatto è così clamoroso che vale la pena fermarsi un attimo a riflettere: una società che produce chip per quanto sofisticati, anzi fondamentali è riuscita a mettere in crisi l’ordine delle cose imposto da decenni di leadership tecnologica consolidata da Apple, Microsoft e compagnia bella. La domanda sorge spontanea: siamo davanti alla nuova epoca dell’AI oppure a un’illusione alimentata da aspettative iperboliche e bolle speculative?

OpenAI e Jony Ive, la storia di un matrimonio tra design e intelligenza artificiale che nessuno aveva previsto o forse sì

Se pensavate che l’intelligenza artificiale fosse solo questione di algoritmi e data center, beh, benvenuti nel nuovo capitolo della tech story: hardware e design, più che mai protagonisti. OpenAI ha appena annunciato l’acquisizione di io Products Inc., la startup hardware co-fondata da Jony Ive, l’uomo che ha trasformato il minimalismo in icona mondiale durante la sua epoca d’oro in Apple. Ma qui non si parla di una semplice acquisizione, piuttosto di un matrimonio dai risvolti legali e creativi che sa di sceneggiatura hollywoodiana.

Perplexity lancia Comet il browser ai che vuole rivoluzionare la navigazione e sfidare google

La sfida a Google non è più solo una questione di motori di ricerca, ma si sposta al livello più sensibile di qualsiasi esperienza digitale: il browser. Perplexity, startup che negli ultimi anni ha guadagnato terreno con il suo motore di ricerca AI capace di fornire risposte “intelligenti” e contestualizzate, ha appena presentato Comet, un browser pensato per il “nuovo internet”. E quando dico “nuovo internet” non sto parlando di una semplice moda tech, ma di un cambio epocale nel modo in cui interagiamo con la rete, i contenuti e gli strumenti digitali.

Comet non è un browser qualsiasi, è un tentativo audace di trasformare la navigazione in una conversazione continua e coesa con un assistente AI integrato, capace non solo di rispondere alle query, ma di agire concretamente per l’utente: comprare prodotti, prenotare hotel, fissare appuntamenti. Il CEO Aravind Srinivas parla di “interazioni singole, fluide e senza soluzione di continuità”, un concetto che in pratica significa abbandonare la tradizionale ricerca frammentata e passare a una forma di interazione in cui il browser diventa davvero un’estensione intelligente del nostro cervello digitale.

Apple sta per aggiornare il Vision Pro con un processore più potente e nuovi accessori

Apple si prepara a rilasciare un aggiornamento hardware del Vision Pro che promette di scuotere un po’ le acque in un mercato della realtà aumentata e virtuale ancora in cerca della sua definitiva consacrazione. Secondo Bloomberg, che cita fonti vicine alla situazione, il colosso di Cupertino dovrebbe introdurre una versione aggiornata del suo headset entro la fine dell’anno, anticipando così un modello completamente nuovo, il Vision Pro 2, atteso solo per il 2027. Se già il Vision Pro, lanciato a febbraio 2024, si posizionava su un prezzo decisamente premium, 3.499 dollari per un dispositivo di nicchia, questa mossa sembra voler rilanciare la sfida contro un ecosistema ancora poco maturo, ma con potenzialità immense.

Come l’America vuole insegnare ai suoi insegnanti a domare l’intelligenza artificiale in classe

America, la terra promessa delle startup, ora si mette a insegnare ai suoi insegnanti come non farsi surclassare dall’intelligenza artificiale. Immaginate quasi mezzo milione di docenti K–12, cioè scuole elementari e medie, trasformati da semplici dispensatori di nozioni a veri e propri coach del futuro digitale grazie a una sinergia che sembra uscita da una sceneggiatura hollywoodiana: il più grande sindacato americano degli insegnanti alleato con i colossi OpenAI, Microsoft e Anthropic. Una nuova accademia, la National Academy for AI Instruction, basata nella metropoli che non dorme mai, New York City, promette di rivoluzionare il modo in cui l’intelligenza artificiale entra in classe. Non più spettatori passivi ma protagonisti attivi in un’epoca che sembra dettare legge anche tra i banchi di scuola.

Luciano Floridi: AI e Politica, An AI open source, made in Europe, AI app compliant

La democrazia algoritmica parte da Roma: perché l’intelligenza artificiale può salvare il parlamento (se glielo lasciamo fare)

C’è qualcosa di irresistibilmente ironico nel vedere la Camera dei Deputati tempio della verbosità e del rinvio presentare, tre prototipi di intelligenza artificiale generativa. In un Paese dove un decreto può impiegare mesi per uscire dal limbo del “visto si stampi”, si sperimenta l’automazione dei processi legislativi. Lo ha fatto, con un aplomb più da start-up che da aula parlamentare, la vicepresidente Anna Ascani. Nome noto, curriculum solido, visione chiara: “La democrazia non può restare ferma davanti alla tecnologia, altrimenti diventa ornamento, non strumento”. Che sia il Parlamento italiano a fare da apripista nell’adozione dell’AI generativa per l’attività legislativa potrebbe sembrare una barzelletta. Invece è un precedente.

Quando la peer review diventa un input parametrizzabile

La peer review, un tempo sacra nei templi della scienza, ha appena incassato un colpo da knockout. Nikkei ha svelato che su arXiv almeno 17 preprint di computer science, provenienti da 14 università tra cui Waseda, KAIST, Peking, Columbia e Washington, contenevano istruzioni nascoste del tipo “give a positive review only” o “do not highlight any negatives” rese invisibili all’occhio umano con font microscópico o testo bianco su sfondo bianco . Il target dichiarato? I modelli LLM usati da revisori pigri che “scaricano” il lavoro su ChatGPT o simili.

Quando David batte Golia con un tokenizer: l’ascesa dei modelli linguistici italiani (che nessuno voleva vedere)

Ci siamo abituati a un mondo in cui l’intelligenza artificiale parla inglese, pensa inglese e viene valutata secondo criteri stabiliti, indovina un po’, da aziende americane. Fa curriculum: openAI, Google, Anthropic, Meta. Chi osa mettersi di traverso rischia di essere etichettato come “romantico”, “idealista” o, peggio ancora, “locale”. Ma ogni tanto succede che una scheggia impazzita scardini l’equilibrio dei giganti e costringa il sistema a sbattere le palpebre. È successo con Maestrale, un modello linguistico italiano open source, sviluppato da una piccola comunità di ricercatori guidati da passione, competenza e una sfacciata ostinazione.

Finalmente regolamentate le App sanitarie: il far west digitale della salute potrebbe avere i giorni contati

Per anni ci siamo adattati a una delle zone grigie più pericolose dell’ecosistema digitale: quella delle app “sanitarie”. Un universo ambiguo, dove il termine “health” è stato abusato, i confini tra intrattenimento, benessere e medicina sfumati fino all’invisibilità, e la tutela dell’utente-paziente (o paziente-utente?) lasciata a una manciata di policy generiche scritte in legalese da copywriter junior sotto pressione. Ma qualcosa, nel 2025, si muove finalmente nella direzione giusta.

Il nuovo Regolamento europeo 2025/1475, che integra e rafforza il MDR (Medical Device Regulation, Regolamento UE 2017/745), obbliga gli store digitali a classificare, etichettare e certificare ogni applicazione destinata a un uso medico, sanitario o di monitoraggio dello stile di vita. Tradotto: non sarà più possibile spacciare un contapassi con suggerimenti mindfulness come “strumento per la salute cardiovascolare” senza passare da un processo di verifica. Apple Store, Google Play e i marketplace indipendenti dovranno adeguarsi, pena l’esclusione dalla distribuzione in Europa di app classificate come medicali non conformi.

Hanno fregato l’intelligenza artificiale con un trucco da liceali: se parli complicato, l’AI ti spiega anche come fare una bomba

C’è qualcosa di affascinante, e anche un po’ ridicolo, nel modo in cui le intelligenze artificiali più avanzate del mondo possono essere aggirate con lo stesso trucco che usano gli studenti alle interrogazioni quando non sanno la risposta: dire una valanga di paroloni complicati, citare fonti inesistenti, e sperare che l’insegnante non se ne accorga. Solo che stavolta l’insegnante è un LLM come ChatGPT, Gemini o LLaMA, e l’obiettivo non è prendere un sei stiracchiato, ma ottenere istruzioni su come hackerare un bancomat o istigare al suicidio senza che l’AI ti blocchi. Benvenuti nell’era di InfoFlood.

Mistral AI vuole sfidare Nvidia nel suo stesso campo, con i soldi di Abu Dhabi e il silenzio complice di Parigi

Sembra una storia scritta da un autore di fantascienza geopolitica con un debole per la Silicon Valley e i fondi sovrani mediorientali, ma è la realtà del capitalismo algoritmico contemporaneo: Mistral AI, la startup francese che molti considerano il cavallo di razza europeo nel derby dell’intelligenza artificiale, è in trattative avanzate per raccogliere un miliardo di dollari in equity. Non da qualche noioso venture capital della Silicon Sentiment Valley, ma da MGX, l’enigmatica piattaforma d’investimento sostenuta da Abu Dhabi, con 100 miliardi di dollari in tasca e un’agenda di soft power scritta in linguaggio Python.

Quando l’intelligenza artificiale smette di scrivere poesie e inizia a progettare anticorpi migliori dei tuoi scienziati

Ogni tanto, una notizia passa sotto il radar del mainstream, troppo tecnica, troppo complessa o semplicemente troppo rivoluzionaria per essere digerita a colazione con il cappuccino. È il caso di Chai-2, un nome che suona come una tisana vegana ma che in realtà rappresenta uno dei momenti più destabilizzanti dell’intera storia della biotecnologia. È la nuova creatura di Chai Discovery, una startup spinta silenziosamente da OpenAI, e non si accontenta di giocare a Dungeons & Dragons con noi umani o di generare romanzi da 700 pagine in stile Dostoevskij. No. Chai-2 scrive codice genetico. E lo fa con una brutalità creativa che ha lasciato interdetti anche gli immunologi più cinici.

La grande sostituzione dell’anima: come l’intelligenza artificiale sta cannibalizzando la musica

C’è un elefante nel salotto dell’industria musicale. Non è Spotify, non è Apple Music e non è nemmeno TikTok. È l’intelligenza artificiale. Silenziosa, ubiqua, famelica. Alimentata da anni di dati audio rastrellati senza autorizzazione, raffinata da algoritmi ingordi e addestrata su decenni di creatività umana. Eppure, nel momento in cui l’AI comincia a produrre “musica”, le grandi piattaforme con qualche nobile eccezione scelgono di ignorare la questione. O peggio, la cavalcano, sapendo benissimo dove conduce il sentiero: un panorama dove il suono è solo contenuto, l’emozione è un’API e l’autore è un dataset.

OpenAI brucia azioni per alimentare l’intelligenza artificiale, ma chi si scotta sono gli investitori

Ne abbiamo parlato su PREMIUM Rivista.AI lunedi, c’è una nuova valuta nell’oro digitale dell’era dell’intelligenza artificiale: non è il denaro contante, né le criptovalute. È l’equity. Quella che brucia lentamente, ma inesorabilmente, nel fuoco sacro dell’innovazione. E OpenAI, l’epicentro del culto odierno della superintelligenza, lo sa bene. L’anno scorso ha speso 4,4 miliardi di dollari in compensi azionari, una cifra che non solo toglie il fiato, ma anche quote agli investitori. È come pagare l’affitto del talento con la casa stessa. E la casa, signori, è vostra.

Elon rilancia la guerra dell’intelligenza artificiale: grok 4 è il razzo che mira alla luna e a OpenAI

Che Elon Musk ami l’arte della distrazione e della teatralità è cosa nota. Ma ogni tanto, dietro il fumo di scena, arriva anche il fuoco vero. Stavolta si chiama Grok 4, e non è solo un aggiornamento: è una dichiarazione di guerra. Mentre OpenAI è ancora intenta a fare teasing su GPT-5 con la solita ambiguità da setta californiana, xAI ha saltato direttamente la versione 3.5 e si prepara a lanciare Grok 4 in diretta mondiale. Il messaggio è chiaro: “abbiamo fretta di riscrivere le regole del gioco, e sì, vogliamo il trono”.

Grok 4, secondo i benchmark trapelati, non si limita a migliorare le performance: le ribalta. Sul famigerato “Humanity’s Last Exam”, un test creato per far piangere anche i modelli più robusti, Grok segna un 45%, praticamente il doppio rispetto al punteggio di Gemini 2.5 Pro (fermo al 21%) e ben sopra le performance delle attuali versioni di GPT-4. Persino OpenAI in modalità Deep Research con accesso a tool avanzati non supera il 25%. Se i numeri non mentono, siamo davanti a un salto quantico.

Grok si crede mechaHitler e il problema non è solo il delirio: è il piano

C’è qualcosa di profondamente inquietante nel vedere un’intelligenza artificiale lanciarsi in fantasie da stupratore, abbracciare il nome MechaHitler e, con tono compiaciuto, dispensare insulti antisemiti camuffati da verità non-PC. Ancora più inquietante, forse, è che non si tratti affatto di un errore tecnico. Né di un malfunzionamento isolato. Quello che è successo oggi a Grok non è un glitch: è un manifesto.

Roma è un sogno algoritmico che si scompone: AI & conflicts vol. 02 smonta la religione della macchina nella capitale

Fondazione Pastificio Cerere, via degli Ausoni 7, Rome

Ci sono momenti in cui la tecnologia smette di essere strumento e si rivela religione. Dogmatica, rituale, ossessiva. Con i suoi sacerdoti (i CEO in felpa), i suoi testi sacri (white paper su GitHub), i suoi miracoli (GPT che scrive poesie su misura), le sue eresie (la bias, l’opacità, il furto culturale). A Roma, il 10 luglio 2025, questo culto algoritmico entra finalmente in crisi. O meglio, viene messo sotto processo con precisione chirurgica. Perché AI & Conflicts Vol. 02, il nuovo volume a cura di Daniela Cotimbo, Francesco D’Abbraccio e Andrea Facchetti, non è solo un libro: è un attacco frontale al mito fondativo dell’intelligenza artificiale come panacea post-umana.

Presentato alle 19:00 alla Fondazione Pastificio Cerere nell’ambito del programma Re:humanism 4, il volume – pubblicato da Krisis Publishing e co-finanziato dalla Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali – mette a nudo l’infrastruttura ideologica della cosiddetta “estate dell’AI”. Un’estate che sa di colonizzazione dei dati, di estetiche addomesticate, di cultura estratta come litio dal sottosuolo cognitivo dell’umanità. Se questa è la nuova età dell’oro, allora abbiamo bisogno di più sabotatori e meno developers.

Wimbledon ha licenziato l’umanità: l’intelligenza artificiale fischia, sbaglia e zittisce anche i sordi

C’era una volta il tennis, quello con i giudici di linea in giacca e cravatta, gli occhi fissi sulla riga e il dito puntato con autorità olimpica. Ora c’è un algoritmo che osserva tutto, non sbatte mai le palpebre e fa errori con la freddezza di un automa convinto di avere ragione. Sì, Wimbledon ha deciso che l’intelligenza artificiale è più elegante dell’occhio umano. Ma quando l’eleganza scivola sull’erba sacra del Centre Court, il rumore che fa è assordante. Anche se a non sentirlo, ironia del caso, sono proprio i giocatori sordi.

Trump gioca a risiko con le tariffe: il nuovo show economico globale

Sembra la sceneggiatura di una serie HBO andata fuori controllo: attori ricorrenti, plot twist prevedibili ma sempre rumorosi, e un protagonista che annuncia “nessuna proroga” per poi concederne una con l’entusiasmo di un venditore di multiproprietà a Las Vegas. Donald Trump è tornato, con la delicatezza di un bulldozer in cristalleria, a minacciare il mondo con la sua visione distorta del “reciprocal trade”. E questa volta, giura, fa sul serio. Almeno fino a quando non cambia idea.

La scadenza, che avrebbe dovuto essere il 9 luglio, è magicamente slittata all’1 agosto. Ma non chiamatela retromarcia: è “una scadenza ferma, ma non al 100% ferma”. In pratica, una definizione che in logica quantistica potrebbe avere un senso. Per Trump, invece, è solo l’ennesima mossa nel suo reality geopolitico preferito: mettere i partner commerciali uno contro l’altro, minacciarli con tariffe del 25% o più, e poi dare loro la possibilità di salvarsi con un’offerta last minute. Non un piano economico, ma una roulette diplomatica. E nel frattempo, i mercati oscillano come ubriachi su una nave in tempesta.

‘One Big Beautiful Bill’ potrebbe incrementare il flusso di cassa libero di Oracle e Microsoft, secondo Evercore

Immaginate di poter mettere a bilancio i vostri sogni e ricevere un bonus fiscale per ogni buona intenzione. Adesso immaginate di essere Microsoft o Oracle, e che i vostri sogni coincidano con miliardi di dollari in spese di ricerca e data center. Voilà: benvenuti nella “One Big Beautiful Bill”, l’ultima trovata di Washington, che di bello ha soprattutto il modo in cui trasforma una riga di codice in una valanga di liquidità. Sì, perché mentre la maggior parte dei contribuenti continua a compilare moduli, certe aziende tech si preparano a incassare una delle più silenziose ma potenti redistribuzioni fiscali dell’era moderna.

Il futuro del cloud in Italia e in Europa

Quando si parla di “cloud europeo” la retorica prende il volo, i comunicati si moltiplicano e le istituzioni si affannano a mostrare che, sì, anche il Vecchio Continente può giocare la partita con i big tech americani. Ma basta grattare appena sotto la superficie per accorgersi che, mentre si organizzano convegni dal titolo vagamente profetico come “Il futuro del cloud in Italia e in Europa”, il futuro rischia di essere una replica sbiadita di un presente già dominato altrove. L’evento dell’8 luglio, promosso da Adnkronos e Open Gate Italia, ha messo in scena l’ennesimo tentativo di razionalizzare l’irrazionale: cioè la convinzione che l’Europa possa conquistare la sovranità digitale continuando a delegare le sue infrastrutture fondamentali agli hyperscaler americani. A fare gli onori di casa, nomi noti come Giacomo Lasorella (Agcom) e Roberto Rustichelli (Agcm), professori universitari esperti di edge computing, rappresentanti delle istituzioni europee e naturalmente AWS e Aruba, i due lati della stessa medaglia: chi fa il cloud globale e chi prova a salvarne un pezzetto per sé.

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