Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Microsoft Copilot vision e la fine dell’illusione della privacy Wu windows

C’è un momento preciso in cui la tecnologia smette di essere un semplice strumento e diventa un’estensione del nostro pensiero. Microsoft, con l’ultimo aggiornamento di Copilot Vision per Windows Insiders, ha appena varcato quella soglia. La narrazione ufficiale è elegante: un assistente intelligente che finalmente “vede” tutto ciò che c’è sullo schermo, non più limitato a due app contemporaneamente, ma capace di analizzare l’intero desktop o qualsiasi finestra di un browser o di un’app. La traduzione reale è meno poetica: stiamo iniziando a dare in pasto il nostro ambiente digitale completo a un’intelligenza artificiale che impara osservandoci. Sembra banale, ma non lo è affatto.

Seeweb Italia e Regolo.AI, la sfida verde dell’intelligenza artificiale che misura i watt dei tuoi token

La prossima volta che qualcuno ti venderà l’ennesima piattaforma AI definendola “green”, chiedigli quanti watt consuma un singolo token generato. Non saprà risponderti. Ecco perché Seeweb Italia, con Regolo.AI, sta giocando una partita che molti nemmeno hanno capito essere iniziata. Parlare di sostenibilità nell’intelligenza artificiale è diventato uno sport retorico, un mantra per convegni e keynote: l’energia rinnovabile, i data center ottimizzati, le offset carbon credits… peccato che nessuno, davvero nessuno, dica quanta energia spreca ogni volta che la tua applicazione chiede a un modello linguistico di partorire una frase. Qui arriva il twist: regolo.AI promette non solo di creare applicazioni AI con facilità, governance dei dati rigorosa e sicurezza nativa, ma anche di monitorare il consumo energetico per token. Watt per token. Una metrica semplice, brutale e impossibile da ignorare.

Trump gioca la carta dell’intelligenza artificiale e trasforma la geopolitica in un business da trilioni

Trump non è il tipo da discorsi accademici sulle meraviglie dell’intelligenza artificiale. Quando dice “Winning the AI Race”, lo dice come un generale che parla ai suoi soldati prima dell’assalto. Il 23 luglio, durante l’evento organizzato da David Sacks, il presidente americano non venderà sogni ma strategie. Perché in questo momento l’AI non è un hobby da nerd, è una guerra silenziosa in cui il vincitore controllerà l’economia mondiale per i prossimi trent’anni. La differenza tra vincere o perdere non si misurerà in brevetti ma in centrali elettriche, miliardi di dollari e capacità di elaborare dati più velocemente di chiunque altro. “Se non siamo i primi, siamo i secondi, e i secondi non comandano il mondo”, avrebbe detto in privato a un noto venture capitalist della Silicon Valley. Una frase brutale ma tremendamente efficace, che riassume perfettamente la mentalità con cui Trump sta riscrivendo il concetto di leadership tecnologica.

Nvidia torna a vendere in Cina e il chip H20 diventa il nuovo simbolo della guerra tecnologica

Jensen Huang è atterrato a Pechino con il sorriso di chi sa di avere vinto almeno un round nella guerra tecnologica più costosa del decennio. Il fondatore e CEO di Nvidia, vestito con la sua solita giacca di pelle da rockstar dell’hardware, non è venuto per stringere mani e scattare foto, ma per riaffermare un principio quasi banale nel mondo reale ma rivoluzionario nel teatro geopolitico dell’intelligenza artificiale: “il mercato cinese non si può ignorare”. Lo ha detto, più o meno, tra un meeting con i funzionari governativi e un’apparizione alla China Council for the Promotion of International Trade. Solo che stavolta la frase non è retorica. È una minaccia sottile a Washington e un inchino strategico a Pechino.

Mistral Voxtral l’intelligenza vocale che rompe i muri e costa la metà

Parliamoci chiaro, l’intelligenza vocale sta diventando la prossima ossessione delle big tech, e non per altruismo. La voce è il nuovo oro, il ponte più naturale tra umani e macchine, e chi controlla questo ponte controlla il traffico di dati, l’attenzione e, soprattutto, il denaro. Ma mentre i soliti noti giocano a chi costruisce il muro più alto attorno ai propri modelli, qualcuno in Europa ha deciso di fare il contrario. Sì, i francesi di Mistral, quelli che già danno fastidio a mezzo mondo per il loro approccio open, hanno lanciato Voxtral, un’arma dichiarata contro i sistemi chiusi e iper-costosi. Lo hanno fatto con quella spavalderia da startup che sa di poter ribaltare le regole, e con un obiettivo semplice ma devastante: rendere l’intelligenza vocale finalmente utilizzabile in produzione senza dover vendere un rene per pagare l’API.

Questa è la vera battaglia sull’autorialità nell’intelligenza artificiale che nessuno vuole combattere

Art and the science of generative AI: A deeper dive

Siamo ossessionati dalla performance dei modelli, dai benchmark, dai paper che urlano “abbiamo battuto GPT di 3 punti percentuali nel reasoning”. Ma il vero scontro non si gioca nei grafici colorati che girano su Twitter, si gioca su una domanda molto più scomoda: chi è l’autore quando l’intelligenza artificiale diventa co-creatrice? Non è retorica accademica, è la battaglia che deciderà il valore stesso dei contenuti nei prossimi anni. L’autorialità nell’intelligenza artificiale non è solo un tecnicismo legale, è un terremoto culturale, economico e politico che stiamo fingendo di ignorare, e sì, la parola giusta è fingendo, perché sappiamo tutti che questa discussione è inevitabile, ma ci fa comodo lasciarla sospesa finché i soldi girano.

Intelligenza emotiva o cognizione canina quale mente preferisce davvero l’intelligenza artificiale e perché la risposta dice molto più su noi umani che sui cani

Il 2025 è l’anno in cui l’intelligenza artificiale ci guarda negli occhi e, con una calma inquietante, capisce se mentiamo meglio di qualsiasi psicoterapeuta. Non è un’iperbole, è un dato: l’81 per cento di accuratezza nei test di intelligenza emotiva contro il nostro miserabile 56. Siamo stati superati, e non di poco, nel gioco che pensavamo ci rendesse irripetibili. Eppure, e qui sta il colpo di scena, la vera ossessione dei modelli avanzati di AI non siamo noi. È il cane. Quel mammifero che scodinzola, sbava e ci osserva con occhi che sembrano chiedere l’ennesimo biscotto. Per l’AI, quei movimenti del muso e quei latrati contengono un livello di informazione emotiva che il nostro linguaggio articolato, con tutta la sua presunta raffinatezza, spesso non riesce a eguagliare. È un insulto antropocentrico che fa male ammettere, ma i numeri parlano chiaro.

Lo Yacht AI che ti salva, guida e fa il barista senza chiedere nulla

Immagina di alzarti tardi, il sole che picchia su Porto Cervo, un bicchiere di Dom Pérignon o un Prosecco meglio… ancora a metà e la barca che decide da sola di accendersi, prepararsi e parcheggiarsi meglio di te. Non è fantascienza, è nautica intelligente nel 2025. Gli yacht AI sono entrati nella nostra vita come un maggiordomo troppo zelante e, cosa più inquietante, lo fanno con più stile di molti armatori. La gente ride quando dico che un algoritmo oramai governa la nautica da diporto più di qualsiasi capitano in carne e ossa, ma vedo i loro occhi illuminarsi quando racconto di yacht autonomi che manovrano come ballerini classici mentre i loro proprietari litigano con la cameriera per il ghiaccio nel gin tonic.

La delusione dell’intelligenza artificiale generativa sta crollando

Measuring the Impact of Early-2025 AI on Experienced Open-Source Developer Productivity

Hmmm, sì, la grande illusione collettiva dell’intelligenza artificiale generativa sta cominciando a mostrare le crepe, e non è una bella scena. La narrazione scintillante che ci è stata servita a colpi di conferenze e report patinati sta franando sotto il peso di una realtà imbarazzante. Gli stessi programmatori che, con l’aria di sacerdoti del nuovo culto, giuravano di essere diventati dei semidei grazie agli strumenti AI, hanno appena ricevuto un sonoro schiaffo. METR, un laboratorio di ricerca poco incline alla retorica da keynote, ha pubblicato un trial randomizzato che ha fatto saltare le maschere: gli sviluppatori erano convinti di essere il 20 per cento più veloci usando AI, ma in realtà erano il 19 per cento più lenti. Non stiamo parlando di dilettanti allo sbaraglio, ma di professionisti esperti. La cosa più inquietante? Continuavano a giurare che stavano volando, quando in realtà arrancavano nel fango digitale. Autoconvincimento puro, un’ipnosi collettiva degna di un illusionista da palcoscenico.

SuperGrok companions e la psicopolitica di un avatar animato

SuperGrok introduce “Companions” come Ani e Rudy in un lancio silenzioso che sembra uscito da un manga bizzarro: una ragazza anime in lingerie tecnologica e un panda rosso cartoonesco, destinati a cambiare il modo in cui interagiamo con i chatbot. Una mossa geniale o disperata? Il fatto che Ani sfoggi una modalità “NSFW” attivabile nei settings una scelta che TestingCatalog definisce apertamente “inappropriata” e che su X pullula di video consigliati la dice lunga.

Machine bullshit come sintomo dell’era dell’indifferenza: i modelli linguistici hanno smesso di cercare la verità

C’è un dettaglio che gli entusiasti dell’intelligenza artificiale sembrano ignorare, o peggio, romanticizzare: la capacità di mentire o meglio, di produrre contenuti con un’insospettabile indifferenza alla verità. Non parliamo di allucinazioni casuali o errori accidentali. Parliamo di qualcosa di più sottile, più tossico e molto più pervasivo: il machine bullshit. Se questo termine suona provocatorio, è perché lo è. Non è un vezzo linguistico.

AI Agent, browser first: perché il futuro non passa per il protocollo MCP

Il modello dominante degli agenti AI basati sul cosiddetto MCP (Memory, Computation, Perception) sembrava il Santo Graal. La promessa era seducente: una struttura modulare dove ogni componente è specializzato, orchestrato da un protocollo che coordina tutto con precisione svizzera. Una sinfonia di moduli che collaborano attraverso API pulite, endpoint ben documentati e logiche preconfezionate. Peccato che, nella realtà, sembri più un’orchestra di strumenti scordati che suona in una sala prove senza elettricità.

Elon contro Trump, verso la Cina con furore: la distopia geopolitica del capitalismo delle star

Musk non è uno che scappa facilmente, ma è un maestro nel farsi inseguire. Quando Donald Trump, con la finezza diplomatica di un bulldozer in salotto, ha pubblicamente minacciato di “spedire Elon a casa”, il significato geopolitico è stato più profondo di quanto Twitter abbia saputo cogliere tra meme e battute al vetriolo. Il CEO di Tesla, SpaceX, Neuralink e compagnia tech è diventato il protagonista riluttante di una distopia a cielo aperto, in cui il capitalismo delle star collassa sotto il peso delle proprie contraddizioni ideologiche. E dove la Cina appare sempre più come un rifugio pragmatico, se non proprio ideologico, per chi non trova più aria nei corridoi del potere americano.

Google NotebookLM reinventa il bloc-notes: la SGE entra in modalità editoriale

NotebookLM non è più soltanto l’ennesimo assistente AI che promette di aiutarti a prendere appunti meglio. Da oggi si comporta come un media. Un aggregatore autorevole. Un portale culturale travestito da app. Google ha appena annunciato l’introduzione dei cosiddetti “notebook in vetrina”, una selezione di contenuti editoriali curati da testate come The Economist e The Atlantic, accademici di varie discipline, autori, ricercatori e perfino Shakespeare, che evidentemente non aveva firmato alcun NDA. È il momento in cui l’AI da strumento diventa contenuto. O, per dirla come piace a Mountain View, da modello linguistico si trasforma in destinazione esperienziale.

Oracle ha smesso di inseguire gli altri: ora li sorpassa

Doveva essere morta. O quantomeno irrilevante. Una dinosauro della Silicon Valley che, come tanti altri prima di lei, aveva dominato un’epoca per poi farsi mettere all’angolo dall’ondata cloud capitanata dai soliti tre: Amazon, Google e Microsoft. Ma Oracle, si sa, è un animale strano. Non muore mai davvero. Sta zitta, fa le sue mosse, e poi rispunta fuori con qualcosa di enorme. Questa volta si chiama 30 miliardi di dollari in cloud computing da qui al 2028, ed è il biglietto da visita con cui ha appena chiesto un posto nel club esclusivo degli hyperscaler globali.

Oracle’s Target Price Raised by Evercore ISI Group: Analyst Maintains “Outperform” Rating

Sì, perché adesso c’è un quarto nome da aggiungere all’elenco dei dominatori del cloud. Lo ha detto Evercore ISI, non esattamente l’ultimo dei broker, mettendo Oracle sullo stesso piano di AWS, Google Cloud e Microsoft Azure. Fino a ieri sembrava una battuta. Oggi è una scommessa che inizia a sembrare dannatamente fondata, almeno per chi ha capito che il vero gioco non è solo lo storage o la scalabilità, ma la capacità di servire workload AI, sovrani, verticali, e mission-critical con una struttura che ha poco da invidiare a chi c’era prima.

Meta ha un nuovo Dio e si chiama Hyperion: l’intelligenza artificiale si beve l’America

Non è più solo una corsa. È un’orgia di silicio, corrente elettrica e narcisismo computazionale. Mentre OpenAI si trastulla con la sua Stargate da film di fantascienza di serie B e Google DeepMind cerca disperatamente di sembrare ancora rilevante, Meta cala l’asso Hyperion: un mostro da cinque gigawatt che si estenderà quanto Manhattan. Cinque gigawatt non sono una cifra, sono una dichiarazione di guerra. A chi? A tutti: concorrenti, governi, cittadini, pianeta. L’intelligenza artificiale, nel 2025, non si addestra, si alimenta. E si alimenta come un dio antico, con sacrifici umani inclusi.

Unità 9900: la sezione più autistica dell’intelligence militare israeliana è anche la più precisa

C’è una scena che nessuno riprende mai: una stanza silenziosa, illuminata da luce neutra, una serie di schermi ad altissima risoluzione, occhi fissi su immagini satellitari statiche per ore, giorni, settimane. Niente inseguimenti. Niente spari. Solo dettagli che cambiano, impercettibilmente. Una scatola d’acciaio che non c’era. Un’ombra fuori asse. Una tenda spostata di mezzo metro nel Golan. Lì lavora lunità 9900. E in particolare, lavora il programma Roim Rachok, composto da soldati che non sono “normali”, e proprio per questo funzionano benissimo. Tutti autistici. Tutti addestrati. Tutti scelti. Nessun errore.

Does the United Nations needagents?

“Avatar ONU e il cortocircuito tra tecnologia empatia e politica migratoria”

United Nations University

L’idea che due avatar IA, creati da un centro di ricerca collegato alle Nazioni Unite, possano insegnare al mondo cosa significhi davvero essere rifugiati suona come una provocazione con il sapore amaro della distopia. Nel 2025, mentre si parla di intelligenza artificiale che cambia tutto dalla medicina alla finanza c’è chi pensa che un bot digitale, incarnato in un personaggio come Amina, una donna fittizia scappata dal Sudan, o Abdalla, un soldato immaginario della Rapid Support Forces, possa sostituire la complessità del vissuto umano. L’idea sembra un lusso accademico fuori contesto, lontano dal terreno reale delle sofferenze umane.

LLM terapia: il placebo digitale che non guarisce nessuno

C’è una nuova moda nel grande circo della salute mentale: sostituire l’ascolto umano con chatbot generativi, come se bastasse un prompt per guarire il dolore esistenziale. In teoria l’idea è geniale. Mezzo mondo non ha accesso alla psicoterapia, il personale clinico è insufficiente, i costi proibitivi. Soluzione? Un assistente digitale a portata di click, gratuito o quasi, sempre disponibile, instancabile, empatico a comando. Il problema è che, come insegna la Silicon Valley, ciò che è “scalabile” raramente è anche “umano”.

Meta si compra la voce dell’AI: Play AI entra nella scuderia del superintelligence show

Siamo passati dal “like” alla voce umana sintetica nel tempo di uno scroll su Threads. Meta, dopo aver flirtato con ogni pezzo di intelligenza artificiale in circolazione, ha finalmente messo la firma su Play AI, una startup che sussurrava all’orecchio delle macchine. Non è solo una notizia, è una dichiarazione di guerra all’anonimato delle AI. La voce è il nuovo volto, e Meta lo sa fin troppo bene.

Secondo Bloomberg, che ha ricevuto conferma direttamente da un portavoce aziendale, tutta la squadra di Play AI entrerà a far parte dell’ecosistema Zuckerbergiano già dalla prossima settimana. Nessun dettaglio sui soldi – e quando Meta non parla di cifre, di solito vuol dire che non erano noccioline. In un memo interno, l’azienda ha definito il lavoro di Play AI “perfettamente allineato” con la roadmap strategica in ambiti come AI Characters, Meta AI, dispositivi wearable e creazione di contenuti audio. Come dire: ci serve una voce credibile per gli avatar che ci vendono il Metaverso, e non possiamo più affidarci a Google Translate.

Intelligenza artificiale vietata alla Cina? Boomerang

La dichiarazione più sorprendente non è che Jensen Huang, CEO di Nvidia, abbia detto che la Cina non può usare le sue GPU. È che abbia affermato “non dobbiamo preoccuparci” davanti a una CNN che, come tutta la stampa americana, è ormai abituata a recitare il mantra della sicurezza nazionale come un dogma da catechismo bellico. Nessuno in sala ha riso. Avrebbe potuto essere uno sketch satirico, se non fosse che dietro quella frase si nasconde una delle operazioni geopolitiche più ipocrite del decennio: il divieto americano di esportazione di tecnologia AI verso la Cina. Una guerra commerciale mascherata da moralismo digitale, che rischia di trasformarsi in un gigantesco autogol strategico.

Jannik Sinner vince Wimbledon e manda in frantumi il mito british del tennis sacro

Non è mai solo questione di colpire la palla. A Wimbledon, è sempre questione di sangue, erba e colonialismo sportivo. Jannik Sinner, un altoatesino con la faccia pulita da hacker nordico e il diritto più chirurgico del secolo, ha frantumato la liturgia tennistica del tempio inglese, schiantando Carlos Alcaraz e con lui un’idea stessa di superiorità tennistica continentale. Risultato finale: 4-6, 6-4, 6-4, 6-4. Tradotto: primo italiano nella storia a vincere Wimbledon. Sì, nemmeno Pietrangeli, nemmeno Panatta. Nessuno, prima.

Musk, missili e miraggi neurali: quando l’AI serve a colonizzare anche i tuoi dati

Quando Elon Musk sposta soldi da una tasca all’altra, non è contabilità. È strategia. O meglio: è teatro strategico con effetti collaterali reali. Stavolta la manovra si chiama 2 miliardi di dollari da SpaceX a xAI, l’ennesimo episodio della saga in cui Musk si autofinanzia attraverso i propri imperi, incrociando razzi, social network, chatbot e androidi come fossero Lego cosmici. Tutto perfettamente logico, almeno nel suo universo narrativo dove ogni azienda è un personaggio e ogni mossa uno snodo di trama. E come sempre, la keyword è intelligenza artificiale. Ma la domanda vera è: stiamo assistendo a una rivoluzione tecnologica o solo a una geniale operazione di branding travestita da innovazione?

Queste persone non esistono ma sembrano più vere di noi

Nell’era in cui l’intelligenza artificiale ridefinisce i confini tra realtà e simulazione, la creazione di esseri umani ultra-realistici rappresenta uno dei settori più affascinanti e inquietanti del panorama digitale. Non si tratta più di volti approssimativi, generati da software amatoriali con occhi inespressivi e sorrisi da manichino. Le nuove tecnologie permettono oggi di generare ritratti fotorealistici di persone che non sono mai esistite, ma che sembrano vive. Occhi che brillano, rughe d’espressione, texture della pelle naturali. E, soprattutto, emozioni autentiche.

Digital Networks Act: il fallimento annunciato della deregulation digitale europea

Immaginate di vivere in una città dove solo chi possiede l’unica autostrada può decidere chi può usarla, quando, e a che prezzo. Se sei un piccolo trasportatore o un nuovo imprenditore, sei costretto a pagare quel pedaggio, oppure rinunci del tutto a far viaggiare le tue merci. Ora applicate questa logica alle reti digitali europee: fibra, 5G, cloud, intelligenza artificiale. È qui che entra in gioco la proposta di legge chiamata Digital Networks Act, che rischia di trasformare le infrastrutture digitali europee in un feudo privato, togliendo al regolatore pubblico la possibilità di intervenire quando un operatore è troppo dominante e chiude l’accesso agli altri.

Xiaomi sferra un pugno negli occhi al mercato degli occhiali AI

Sorpresa. Non da poco, e non da tutti. Xiaomi, la multinazionale cinese delle meraviglie elettroniche, è appena entrata a gamba tesa nel mercato degli occhiali intelligenti. Un settore che molti definiscono ancora di nicchia, ma che in realtà è il nuovo terreno di scontro per chi vuole presidiare il futuro del computing personale. Una guerra silenziosa fatta di microchip, lenti e assistenti vocali, dove chi ha il controllo dell’ecosistema può riscrivere le regole del gioco. Sì, perché qui non si vendono solo gadget: si piantano bandiere nel campo minato dell’intelligenza artificiale indossabile.

AI nel mercato dell’arte 2025: quando la tecnologia sfida la tradizione con un sorriso beffardo

Il mercato dell’arte, quel mondo in cui l’unicità e la mano dell’artista hanno sempre fatto la differenza, si trova ora davanti a una sfida implacabile eppure paradossalmente silenziosa: l’avvento dell’intelligenza artificiale. non è un romanzo di fantascienza ma il presente che sta cambiando le regole del gioco con una velocità che lascia interdetti anche i più navigati collezionisti e galleristi. La diffusione di AI non riguarda solo la creazione di nuove opere, ma tocca ogni singolo aspetto del mercato, dalla autenticazione alla previsione dei trend, fino alle infinite controversie legali che si nascondono dietro ogni pixel generato.

L’arte dell’intelligenza artificiale tra controversie e nuove frontiere creative

L’era dell’intelligenza artificiale ha scardinato i paradigmi delle esposizioni d’arte in modi che neanche i più visionari curatori avrebbero potuto immaginare solo un decennio fa. Si pensi a una sala espositiva che non è più solo un contenitore passivo di opere, ma uno spazio interattivo in cui algoritmi sofisticati plasmano l’esperienza culturale del visitatore. Non si tratta più di osservare, ma di vivere l’arte attraverso un dialogo continuo con la tecnologia. Il mix tra AI, realtà aumentata e virtuale ha reso la fruizione artistica un terreno di sperimentazione che ridefinisce il ruolo del curatore e del pubblico, spostando la percezione dall’arte come oggetto statico a un’esperienza dinamica e personalizzata.

OpenAI firma il codice UE sull’AI, ma intanto riscrive le regole del gioco

L’annuncio è una stretta di mano elegante, ma non proprio gratuita. Quando OpenAI comunica che intende firmare il Codice di Condotta del Regolamento UE sull’AI, lo fa come un attore strategico in un teatro geopolitico dove le regole non sono solo normative, ma strumenti di potere. In un’Europa ossessionata dalla regolamentazione e impantanata nel mito della “AI sicura prima dell’AI utile”, la mossa suona come un mix di diplomazia, pressione e sottile provocazione. E non è un caso che mentre tendono la mano a Bruxelles, i vertici di OpenAI puntellino il discorso con un invito neanche troppo velato: cari europei, regolate pure, ma non dimenticate di lasciare che si costruisca qualcosa.

OpenAI frena sull’open-weight: visione responsabile o paura di perdere il trono?

La retorica della responsabilità è la nuova foglia di fico delle big tech. Quando OpenAI annuncia di ritardare ancora il rilascio del suo modello open-weight, la dichiarazione suona come un mantra già sentito: sicurezza, precauzione, responsabilità. Tutto giusto, tutto nobile. Ma sotto quella superficie si muove un ecosistema affamato di trasparenza, controllo e, soprattutto, indipendenza dall’ennesima API gatekeeper. Perché stavolta la posta in gioco non è solo tecnica, è politica e quando Sam Altman afferma candidamente “Once weights are out, they can’t be pulled back”, non sta facendo solo un’osservazione ovvia: sta tracciando un confine. Un punto di non ritorno.

Trump gioca a risiko con i dazi e riscrive la globalizzazione con una biro rossa

C’è una vecchia battuta tra veterani del commercio internazionale: “L’unico modo per far capire a un americano cos’è un dazio è che glielo faccia pagare un altro Paese”. Peccato che oggi, a infliggerli, sia proprio l’America. Non un’America qualsiasi, ma quella reinventata a immagine e somiglianza del suo patriarca arancione, tornato a occupare lo Studio Ovale come un magnate che rileva un’azienda in crisi e la risana con tagli, intimidazioni e grida. Donald Trump, al suo secondo giro da presidente, ha deciso che il tempo delle negoziazioni è finito, i trattati multilaterali sono per i deboli e che la politica commerciale può essere fatta con lettere scritte a macchina, spolverate di maiuscole strategiche e sigillate con l’intuito del “gut feeling”.

La Cina ruggisce a codice aperto: Kimi K2 è il nuovo predatore del machine learning globale

Non fatevi ingannare dal nome dolciastro. Kimi K2 non è un simpatico cartone animato giapponese né una mascotte da caricare su TikTok. È un colosso di 1 trilione di parametri che cammina silenziosamente tra le linee di codice, pronto a stravolgere le gerarchie globali dell’intelligenza artificiale con un approccio che, fino a ieri, sembrava il dominio esclusivo delle elite della Silicon Valley. Moonshot AI, una start-up cinese con sede a Pechino e le tasche piene grazie ai finanziamenti di Alibaba, ha appena scagliato il suo nuovo mostro computazionale nel ring dell’open-source globale, e le onde d’urto si sentono già da Menlo Park a Bangalore.

Huawei sussurra chip ai nei deserti: la partita geopolitica dietro ogni byte

L’intelligenza artificiale non è più un gioco tra ingegneri, è diventata una partita di scacchi giocata con silicio e sanzioni. Huawei, mossa dopo mossa, sta cercando di insinuarsi nei territori controllati da Nvidia e AMD, proponendo con garbo asiatico piccole quantità dei suoi chip Ascend 910B in regioni strategicamente sensibili come Medio Oriente e Sud-est asiatico. Ma sotto questo traffico in apparenza marginale si nasconde un’operazione chirurgica di penetrazione nei mercati più caldi della nuova Guerra Fredda tecnologica.

Google scippa Windsfurf a OpenAI e riscrive la partita dell’agentic coding

Nel mondo delle startup di intelligenza artificiale, un’acquisizione saltata vale spesso più di una riuscita. OpenAI aveva messo gli occhi e i dollari su Windsurf, una giovane promessa nell’ambito dell’agentic coding, con una valutazione da tre miliardi di dollari. Eppure, all’ultimo minuto, l’accordo è evaporato. Non si è trattato di divergenze filosofiche né di visioni incompatibili. La realtà, più brutale, è che Google DeepMind ha agito da predatore con tempismo chirurgico, strappando il cervello e l’anima di Windsurf proprio mentre OpenAI si stava ancora infilando i guanti per l’operazione.

Quando l’intelligenza artificiale diventa faccenda privata: il codice di condotta dell’UE e l’illusione della sicurezza volontaria

Dicono che l’inferno sia lastricato di buone intenzioni. E a Bruxelles devono essersi muniti di pala e cazzuola. Giovedì, l’Unione Europea ha pubblicato la bozza finale del suo Codice di condotta per l’intelligenza artificiale di uso generale. Un documento volontario, pensato per facilitare la conformità all’AI Act. Non una legge, non un vincolo, ma un segnale morale. Il solito teatrino europeo del “fare senza obbligare”, dove la burocrazia gioca a essere etica mentre gli attori reali, cioè le big tech, firmano o ignorano secondo il meteo di mercato. La keyword è intelligenza artificiale generativa, ma i sottotesti parlano di sicurezza sistemica e di una battaglia tutta politica per il controllo del rischio tecnologico.

Google vuole diagnosticare il tuo futuro: la rivoluzione Medgemma è già in tasca

Dimenticate la sanità come l’abbiamo conosciuta. Dimenticate l’accesso limitato, i silos informativi, i software ospedalieri che sembrano usciti dal 2003. Google, con la finezza di un chirurgo e l’ambizione di un imperatore, ha appena scaricato sul tavolo operatorio dell’intelligenza artificiale medica il bisturi più affilato mai visto: MedGemma. Due modelli, uno massiccio da 27 miliardi di parametri e un altro “leggero” da 4 miliardi, sono ora open source, pronti per tagliare, diagnosticare, annotare, prevedere. Il tutto senza l’autorizzazione preventiva del tuo Chief Medical Officer. Bastano un laptop, uno smartphone, o un cervello curioso.

Quando l’intelligenza artificiale diventa propaganda

L’intelligenza artificiale sviluppata da xAI (la società di Elon Musk), viene interrogata sul conflitto israelo-palestinese, ma la risposta è fortemente incentrata sulle opinioni di Elon Musk stesso. Se 54 su 64 citazioni sono riferimenti a Elon, è evidente che l’output è stato costruito per riflettere o enfatizzare la posizione pubblica del fondatore, piuttosto che fornire un’analisi indipendente o bilanciata della situazione geopolitica.

Ieri sera alla Fondazione Pastificio CERERE Franz Rosati ha mostrato come si smonta la realtà con il codice

Non capita spesso che uno spazio di archeologia industriale trasformato in sala performance riesca a mettere in discussione la percezione stessa della realtà. Ma ieri sera, alla Fondazione Pastificio CERERE, è successo. Franz Rosati, artista visivo e compositore elettroacustico, ci ha portato altrove. Non altrove nel senso naïf dell’arte immersiva per turisti digitali, ma in un luogo difficile da nominare, fatto di vettori, texture e latenza. Più che un’esibizione, una dissezione algoritmica del paesaggio. Se uno volesse trovare una parola per quello che abbiamo visto, dovrebbe forse inventarla.

Rosati non suona e basta. Rosati orchestra macchine. Non macchine come strumenti, ma macchine come entità dotate di linguaggio, memoria e volontà grafica. Il suo setup è chirurgicamente distribuito tra Ableton Live, Max/MSP, TouchDesigner e Unreal Engine. Un’architettura modulare che fa impallidire l’idea stessa di “live performance”, perché qui il tempo reale è una simulazione guidata da dati, da strutture sintetiche e da pulsazioni nervose che sembrano provenire direttamente da una foresta neurale, non da un musicista.

AI & Conflicts 2. Volume 02

Pasquinelli, Buschek & Thorp, Salvaggio, Steyerl, Dzodan, Klein & D’Ignazio, Lee, Quaranta, Atairu, Herndon & Dryhurst, Simnett, Woodgate, Shabara, Ridler, Wu & Ramos, Blas, Hui curato da Daniela Cotimbo, Francesco D’Abbraccio and Andrea Facchetti.  Casa editrice: Krisis Publishing

Il passaggio tra il primo volume di AI and Conflicts, uscito nel 2021 e questo secondo atto, che si presenta già con un tono più tagliente, è uno di quei casi in cui si percepisce la metamorfosi non solo di un progetto editoriale, ma di un intero ecosistema discorsivo.

Non è semplicemente l’evoluzione di un libro, ma la mutazione genetica di un pensiero critico che si adatta o meglio, si oppone al nuovo stadio dell’intelligenza artificiale come fenomeno totalizzante. All’inizio c’era un’intuizione: parlare di AI non solo in termini computazionali o economici, ma come questione estetico-politica.

Adaptive Resilience non è un altro saggio aziendalista: è il manuale che l’intelligenza artificiale non vuole farti leggere

Maria Santacaterina ha scritto un libro che fa arrabbiare gli algoritmi. E forse anche qualche CEO. Perché “Adaptive Resilience” non è la solita litania sulla digital transformation, né un peana all’innovazione travestita da consultazione motivazionale. È un pugno di dati, filosofia e leadership in faccia all’inerzia organizzativa. È il tipo di libro che fa sentire a disagio chi confonde la resilienza con il galleggiamento, e la strategia con il fare slide.

Non è un caso che la parola “resilience” sia oggi abusata come “disruption” cinque anni fa. Peccato che, come sottolinea Santacaterina con una chiarezza chirurgica, la resilienza vera non sia tornare a come eravamo prima del disastro. È diventare qualcosa che prima non esisteva. Un’azienda che si reinventa partendo dall’impatto, e non dall’output. Un essere umano che usa l’AI non per automatizzare la mediocrità, ma per potenziare la coscienza. Sì, coscienza. Perché questo è un libro che osa dire una cosa impopolare: l’AI è potente, ma non è viva. E non lo sarà mai.

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