Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Autore: Redazione Pagina 1 di 65

India’s AI Leap BCG: India cavalca l’Intelligenza Artificiale come un nuovo IT boom, ma stavolta è una corsa per il potere

Chi si ricorda della prima ondata tech in India, quando Bangalore si trasformò in Silicon Valley a basso costo per l’Occidente, probabilmente ha già intuito cosa sta accadendo ora. Ma questa volta, non si tratta più solo di delocalizzare call center e sviluppare codice su commissione. Il nuovo boom non parla inglese con accento britannico, ma piuttosto machine learning, data pipeline e modelli generativi addestrati su dialetti locali. E secondo Boston Consulting Group, non si fermerà presto.

Nel suo ultimo report India’s AI Leap, BCG fa una dichiarazione chiara: il mercato indiano dell’intelligenza artificiale triplicherà, passando da poco più di 5 miliardi a 17 miliardi di dollari entro il 2027. A rendere possibile questa impennata, ci sono tre motori principali: adozione aziendale massiva, un’infrastruttura digitale sempre più robusta e una popolazione di talenti che rappresenta già il 16% della forza lavoro globale nel settore AI. Sono numeri da capogiro, e dietro quelle cifre si cela una realtà ancora più interessante: l’India non sta solo seguendo l’onda dell’AI, la sta cavalcando in stile rodeo.

O3 Pro di OpenAI quando l’intelligenza artificiale ha smesso di copiare per iniziare a pensare

Il momento preciso in cui una macchina ha dato l’illusione di “pensare” non è quando vince a scacchi, né quando genera un poema decente. È quando risolve un problema che, per definizione, non si può memorizzare. Come un maledetto word ladder da SPACE a EARTH, passo dopo passo, senza internet, senza imbrogli, senza contaminazioni.

La O3 Pro di OpenAI – sì, quella “cosa” misteriosa che aleggia sopra GPT-4 come una forma più lucida e meno nevrotica – l’ha fatto. Ha risolto un enigma logico che aveva ridotto ai minimi termini ogni altro modello, incluso il celebre e sovraesposto GPT-4. Una serie di trasformazioni di parole, ognuna semanticamente e ortograficamente vincolata, per arrivare dalla fredda vastità dello spazio alla fragile complessità della terra. E l’ha fatto in avanti. Non al contrario, come l’unico esempio noto su internet. Già questo dovrebbe far suonare qualche campanello.

Google Weather Lab il ciclone perfetto: l’intelligenza artificiale prevede l’uragano, ma chi prevede l’intelligenza artificiale?

Se la Silicon Valley è la nuova Babilonia, oggi il suo oracolo si chiama DeepMind. E no, non sta leggendo i fondi di caffè: sta leggendo i venti, gli uragani e le correnti tropicali. Google ha appena annunciato il lancio di Weather Lab, una piattaforma che mostra al mondo come il suo modello sperimentale di previsione meteorologica, basato su intelligenza artificiale, possa battere — anzi, aggirare elegantemente — i modelli fisici tradizionali. Il bersaglio? I cicloni tropicali, che da fenomeni atmosferici stanno diventando test per stressare la soglia tra pubblico e privato, tra algoritmo e scienza, tra previsioni e controllo.

Microsoft lancia Copilot Vision: il tuo desktop non è più solo un luogo di lavoro, è un campo visivo condiviso con l’AI

Ci sono momenti nella storia dell’informatica in cui le metafore saltano. Il desktop non è più un “desktop”, e nemmeno una scrivania virtuale. Con l’arrivo di Copilot Vision, Microsoft ha spalancato la finestra: adesso il tuo sistema operativo ha degli occhi. E li presta volentieri al suo assistente AI, che guarda, interpreta e reagisce in tempo reale a ciò che stai facendo. Sì, proprio come il collega ficcanaso in ufficio. Ma con meno giudizi morali e molta più RAM.

La parola chiave qui è visione. Copilot Vision non si accontenta di “capire” le tue parole. Vuole anche vedere il contesto in cui le stai digitando. Una vera e propria evoluzione cognitiva dell’assistente digitale, che ora può analizzare direttamente quello che appare sul tuo schermo — da una foto di famiglia a un layout di InDesign — per suggerire, spiegare, correggere, anticipare. Il tutto senza necessità di sottoscrivere Copilot Pro, perché sì, è gratuito. Almeno per ora, almeno negli Stati Uniti. La gentilezza dei colossi dura poco, come gli ombrelloni gratis a luglio.

La voce artificiale del potere: quando il CEO diventa un bot e il cliente un feed di dati

Nel tempo in cui i manager diventano avatar vocali, e i board meeting si trasformano in prompt, accade l’impensabile: l’uomo che guida una delle fintech più aggressive d’Europa, Sebastian Siemiatkowski, CEO di Klarna, ha deciso di… smettere di parlare. O meglio, di delegare la sua voce a una IA che lo imita, lo cita, lo filtra e lo reinventa, come un assistente personale che ha fatto troppa strada con ChatGPT in tasca. E allora la domanda diventa inevitabile: se Luciano Floridi ha fatto il suo bot filosofico, perché un CEO non dovrebbe clonarsi vocalmente per parlare con i clienti? La risposta sta, come sempre, nel potere. Ma anche nella farsa.

In apparenza, Klarna sta innovando. Ma sotto, molto sotto, sta automatizzando una maschera. Ai clienti che chiamano la hotline negli Stati Uniti o in Svezia, risponde “AI Sebastian”, un clone vocale addestrato con la voce reale e le “esperienze” (già, esperienze) dell’originale. Una sintesi di toni, frasi fatte, narrazioni aziendali e storytelling personale. Nessuna emozione, solo brand voice. Un chatbot travestito da visionario scandinavo. Uno strano caso di CEO outsourcing, al contrario.

Nvidia e Oracle, il matrimonio tecnico del secolo nasce nel deserto texano per conquistare l’intelligenza artificiale europea

Da una parte una delle aziende più sottovalutate ma più longeve del cloud enterprise. Dall’altra il semidio delle GPU che ha reinventato la traiettoria del calcolo. Ecco a voi Oracle e NVIDIA: una strana coppia in missione per colonizzare l’intelligenza artificiale con un approccio che odora di strategia da Guerra Fredda più che di semplice evoluzione tecnologica.

L’annuncio? Di quelli che a prima vista sembrano uno dei tanti comunicati stampa scritti in stile-benessere-aziendale. Ma sotto la superficie c’è molto di più. Oracle ha deciso di spingere tutto il suo stack cloud nelle braccia muscolose della piattaforma AI di NVIDIA. E non si tratta solo di un abbraccio tecnico: parliamo di un’integrazione nativa, radicale, e soprattutto distribuita, che mette insieme 131.072 GPU Blackwell e il DGX Cloud Lepton. No, non è fantascienza: è OCI (Oracle Cloud Infrastructure) in versione steroidea.

Trump annuncia un’intesa con la Cina ma Wall Street non applaude più

«OUR DEAL WITH CHINA IS DONE» twitta Trump con la sobrietà di un adolescente che ha finalmente ricevuto un like da Elon Musk. È mercoledì mattina, e il Presidente più imprevedibile della storia americana getta la notizia come un osso a una stampa affamata: l’accordo commerciale preliminare con la Cina è stato raggiunto. Una dichiarazione che, in altri tempi, avrebbe acceso i riflettori di Wall Street come Times Square a Capodanno. Ma stavolta no. Il mercato scrolla le spalle, forse sbadiglia. Perché?

I negoziatori di Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un’intesa preliminare su un “quadro” generale, che ora verrà sottoposto ai rispettivi leader per la revisione, nel tentativo di riattivare l’accordo di tregua commerciale siglato a Ginevra il mese scorso.

Alla domanda su eventuali concessioni americane sul controllo delle esportazioni dopo i colloqui di Londra, la Casa Bianca ha evitato dettagli, ribadendo solo il rispetto dell’accordo di Ginevra. Secondo la portavoce Leavitt, la Cina si è detta disponibile ad aprire i suoi mercati agli USA in modo separato e ha acconsentito al rilascio di minerali strategici impiegati nei magneti, secondo i termini già pattuiti a Ginevra.

La vendetta dei contenuti: perché Taboola ha appena dichiarato guerra all’intelligenza artificiale

C’è qualcosa di profondamente ironico — e incredibilmente strategico — nel vedere Taboola, il re degli articoli “Ti potrebbe interessare anche…” in fondo a ogni sito web, diventare improvvisamente il paladino dei contenuti editoriali saccheggiati dall’AI.

Mercoledì, in una mossa che suona tanto come un attacco preventivo quanto un atto di autodifesa, Taboola (NASDAQ:TBLA) ha annunciato il lancio di DeeperDive, un motore di ricerca basato su intelligenza artificiale generativa. Ma attenzione: non si tratta dell’ennesimo clone di ChatGPT travestito da “assistente smart”. DeeperDive ha un compito preciso, chirurgico, politicamente strategico: riportare i publisher al centro della mappa del potere digitale.

Lakebase, la frontiera ibrida dove Postgres incontra l’intelligenza artificiale

In un giorno che sembra uno spartiacque per il mercato dei database, Databricks ha annunciato oggi il lancio di Lakebase, una soluzione inedita pensata per aziende e sviluppatori desiderosi di costruire applicazioni e agenti AI su una piattaforma multi‑cloud unificata.

Immaginate un database operativo—di quelli che fanno girare le transazioni in tempo reale—progettato per l’era dell’IA, integrato con analytics e storage a bassissimo costo. È questa l’ambizione dichiarata da Lakebase: portare i dati operativi nel lakehouse, con compute che scala automaticamente e garantisce latenza sotto i 10 ms e capacità di gestire oltre 10 000 query al secondo.

Meta vuole riscrivere le leggi della fisica con l’intelligenza artificiale: arriva V-JEPA 2

Meta Platforms ha appena sganciato una bomba, anche se lo stile è quello da laboratorio silenzioso e patinato. Il nome è V-JEPA 2. Sembra il titolo di un software di terz’ordine, ma è molto di più: è il nuovo modello di intelligenza artificiale lanciato da Menlo Park per spingere la sua visione dell’Advanced Machine Intelligence (AMI), un concetto tanto vago quanto ambizioso che promette — o minaccia — di trasformare ogni interazione uomo-macchina in una danza algoritmica tra causa ed effetto.

Nvidia si prende l’europa: nasce il primo cloud industriale per l’intelligenza artificiale, 10.000 gpu per spodestare Amazon e Google

Nessuno aveva chiesto il permesso. Nvidia è entrata in Europa come una valanga silenziosa, con l’annuncio che segna una nuova frontiera: la costruzione del primo cloud industriale AI europeo. Non un data center qualsiasi, ma una piattaforma con 10.000 GPU H100, pensata non per alimentare i meme su Midjourney, ma per far girare le macchine che muovono l’industria pesante, le smart factory e, soprattutto, le economie nazionali.

Dietro l’annuncio c’è molto di più che un’infrastruttura. C’è un messaggio politico. C’è l’idea, finora solo sussurrata nei corridoi della Commissione Europea, che il cloud “made in USA” non sia più sostenibile. E mentre Bruxelles balbetta leggi e regolamenti, Nvidia fa. E lo fa a casa nostra.

Amazon punta al cuore del futuro con l’IA generativa: non è più logistica, è controllo del tempo

Non si tratta più di pacchi che arrivano a destinazione. È il tempo che viene domato. È il desiderio del cliente che viene previsto prima ancora che sia espresso. È Amazon che, con tre mosse di scacchi algoritmici, si prepara a mettere le mani sul vero potere dell’e-commerce globale: la predizione esatta. Non dei bisogni, ma delle condizioni affinché i bisogni si manifestino. Come un oracolo vestito da fattorino.

La chiamano “real-world value”, ma la posta in gioco è molto più sofisticata: chi controlla la mappa, controlla il territorio. E adesso, la mappa la disegna Amazon, pixel dopo pixel, con Wellspring, la sua nuova tecnologia di generative AI per la logistica, capace di trasformare un condominio labirintico o un quartiere appena nato in un sistema comprensibile, leggibile, prevedibile. Un algoritmo che osserva satellite, impronte degli edifici, foto di strada e persino le istruzioni del cliente, combinandoli in una rete neurale che “vede” meglio del corriere, “pensa” prima del cliente e “decide” come un architetto del delivery.

L’illusione del chip nazionale che rallenta l’intelligenza artificiale cinese

È curioso come il sogno dell’autosufficienza tecnologica finisca spesso per trasformarsi in una beffa amara. Liu Qingfeng, il visionario ma pragmatico chairman di iFlytek, ha ammesso senza troppi giri di parole che affidarsi ai semiconduttori prodotti in Cina continentale – in particolare l’Ascend 910B di Huawei – comporta un ritardo di tre mesi nello sviluppo dei modelli di intelligenza artificiale rispetto all’utilizzo delle ben più mature soluzioni Nvidia. Un piccolo dettaglio che però non frena la sua testardaggine: “Meglio perdere tempo che perdere l’autonomia”, sembra dire, ostinandosi a proseguire sulla strada dei chip locali, malgrado l’inevitabile gap prestazionale.

Meta vuole rifare Hollywood in dieci secondi

Se hai sempre sognato di trasformarti in un personaggio anime con occhi rosa fosforescente o vedere il tuo cane scavare una buca tra cactus viola in un deserto arancione (sì, arancione), allora Meta ha un regalo per te. Ma affrettati: è gratis solo per un “tempo limitato”. Il che, in gergo tecnologico, è una combinazione tossica tra “beta testing pubblico non dichiarato” e “prima ti faccio innamorare, poi ti metto l’abbonamento”.

Meta ha appena lanciato un nuovo strumento di video editing AI che consente di trasformare radicalmente i primi dieci secondi dei tuoi video. Sottolineiamo: dieci secondi. Come direbbe un regista indie sotto metanfetamina: “È tutta una questione di incipit”. I preset disponibili sono più di cinquanta, e funzionano esattamente come i filtri di Instagram, ma con ambizioni più grandi: ti cambiano lo sfondo, ti vestono in smoking digitale, ti truccano come un personaggio di un JRPG lisergico e ti proiettano in ambienti virtuali vagamente distopici. La parola chiave? Restyling video assistito da intelligenza artificiale. O meglio: travestimento post-moderno in 1080p.

Hollywood contro il clone digitale: Disney e Universal citano Midjourney per plagio algoritmico

Se Shrek, Darth Vader e Buzz Lightyear potessero parlare, probabilmente oggi avrebbero già consultato un avvocato. E non per discutere di nuovi contratti o reboot, ma per affrontare la loro resurrezione involontaria nel circo dell’intelligenza artificiale generativa. Il 2025 non ha ancora portato veicoli volanti, ma ha spalancato le porte a una battaglia epocale: Disney e Universal hanno trascinato in tribunale Midjourney, accusandola di essere una “macchina distributrice virtuale di copie non autorizzate”. Un’accusa pesante, che ha tutta l’aria di voler diventare il precedente giudiziario che Hollywood aspettava come un sequel troppo a lungo rimandato.

AI non è quasi mai intelligenza artificiale: è solo PowerPoint con un paio di script Python

Entrare in una boardroom oggi è come assistere a un revival tecnologico di fine anni ’90, solo con più buzzword e meno sostanza. Il termine “intelligenza artificiale” viene lanciato come coriandoli durante il Carnevale di Rio: colorato, rumoroso, ma alla fine completamente vuoto. Ecco il problema: la maggior parte delle “implementazioni AI” che ho visto negli ultimi tredici anni? Non erano AI. Erano automazioni mascherate, assistenti digitali con un branding più sexy, o previsioni su dati che già avevamo. Ma intelligenza artificiale? Quella, amici miei, è rara quanto l’umiltà in una startup che ha appena chiuso un round Series B.

Il cortocircuito nasce da una domanda semplice: cos’è davvero l’intelligenza artificiale? Provate a chiederlo a dieci manager. Riceverete cinquanta risposte. Alcune poetiche, altre semplicemente confuse.

La burocrazia si sbriciola in 40 secondi: come Gemini sta distruggendo la lentezza del planning britannico

350.000.

No, non è il numero di biscotti che un inglese medio consuma con il tè in un anno, ma il volume di richieste di pianificazione urbanistica che ogni singolo anno intasa le scrivanie, reali o virtuali, dei consigli comunali del Regno Unito. O, meglio, le intasava.

Perché ora, grazie a Gemini – il modello multimodale di Google – e un’applicazione audace chiamata Extract, quello che richiedeva due ore di maledizioni, caffè tiepido e zoom infiniti su PDF stropicciati può essere svolto in… 40 secondi. E con una precisione che farebbe arrossire l’archivista più zelante di Westminster.

Joe Tsai: Alibaba e la rivoluzione open source: la sfida che scuote l’AI e il cloud

Nel cuore pulsante di Parigi, durante il palcoscenico ipertecnologico di VivaTech, Joe Tsai, presidente di Alibaba Group Holding, ha lanciato una delle dichiarazioni più taglienti e, allo stesso tempo, strategicamente calcolate dell’anno. Aprire i modelli di intelligenza artificiale—quei giganteschi LLM che oggi dominano il panorama digitale—non è solo un gesto di altruismo tech, ma una mossa calibrata per sbloccare una marea di applicazioni AI e, soprattutto, per rilanciare una delle divisioni più strategiche di Alibaba: il cloud computing.

Se vi aspettavate una svolta convenzionale, vi sbagliate. Tsai, con la sua tipica ironia da veterano, ha definito il periodo appena trascorso per Alibaba come “un’era di grandi tormenti”. Eppure, proprio da quel caos, emerge la strategia chiave: democratizzare l’AI, liberarla da ogni vincolo di esclusività, spingendo così l’intero ecosistema verso una domanda esplosiva di infrastrutture cloud.

Google home app, l’illusione della casa intelligente che pensa per te

Nel 2025, la smart home è sempre più simile a un reality show in cui non solo le pareti hanno orecchie, ma adesso anche occhi, dita, e — sorpresa — un’intelligenza artificiale con nome da divinità romana: Gemini. Con l’ultima raffica di aggiornamenti al suo Home app, Google sta riscrivendo le regole del controllo domestico, travestendolo da comodità mentre, a ben vedere, ti invita a vivere in un habitat dove ogni gesto è mediato da un’interfaccia. Bentornati nella gabbia dorata della domotica 3.0.

Cominciamo da quello che suona come un “era ora”: il supporto picture-in-picture per le Nest Cam su Google TV. Un dettaglio apparentemente minore, ma dal valore psicologico potente: puoi guardare Netflix mentre controlli se il cane ha finalmente smesso di distruggere il divano. È il tipo di aggiornamento che nessuno aveva chiesto a voce alta, ma che, come un assistente troppo solerte, Google ti regala comunque. Una piccola finestra nell’angolo dello schermo, una grande apertura sul panopticon domestico. Più Black Mirror che Smart Living.

Sam Altman: Quanto costa davvero un pensiero? il prezzo dell’intelligenza artificiale calcolato in watt, acqua e bugie

L’intelligenza artificiale è idrovora. Non nel senso metafisico, ma molto concreto: ogni parola che leggi, ogni domanda che fai a ChatGPT, ogni linea di codice predetta da un LLM brucia corrente e assorbe acqua. Non solo silicio e matematica, ma infrastruttura fisica e risorse naturali, come ogni altra tecnologia della storia.

Sam Altman, CEO di OpenAI e oracolo involontario dell’era post-digitale, ha recentemente pubblicato un post dove tenta di rassicurare (o distrarre?) l’opinione pubblica con un dato apparentemente innocuo: “una query media di ChatGPT consuma circa 0.000085 galloni d’acqua, ovvero circa un quindicesimo di cucchiaino”. Messa così, l’IA sembra meno un mostro energetico e più una tisana tiepida.

Amazon punta sull’intelligenza artificiale per vendere di più, anche se non te ne accorgi

Non serve più Spielberg, né un’agenzia pubblicitaria da sei zeri: basta un clic. Amazon ha aperto le gabbie e lanciato ufficialmente la sua Video Generator, l’arma definitiva per trasformare ogni venditore da garage in un creativo hollywoodiano — o almeno così sembra. La nuova versione del tool, disponibile per tutti i seller USA, promette risultati fotorealistici in meno di cinque minuti. Ma è nella promessa nascosta che si cela l’inquietudine: pubblicità così convincenti che potresti non accorgerti che sono generate da un algoritmo.

Questa non è l’ennesima funzione accessoria, è una svolta strutturale nella monetizzazione emozionale. I nuovi “trucchi” dell’IA includono dinamiche di movimento, scene concatenate con attori umani o animali, overlay testuali e soundtrack da spot TV. Il prodotto non è più statico: adesso si muove, vive, ti guarda, ti parla. Soprattutto, ti persuade.

Tra trade e tech, a Londra si gioca la guerra fredda del silicio

Lancaster House non è solo un palazzo neoclassico con moquette spessa e stucchi dorati. Questa settimana è il set di una commedia geopolitica in stile kafkaiano: Stati Uniti e Cina fingono di negoziare, mentre tutti – loro per primi – sanno che qui non si tratta di trovare accordi, ma di decidere chi scriverà le regole dell’intelligenza artificiale, dell’export tecnologico e del controllo sulle materie prime del XXI secolo. Welcome to la nuova Guerra Fredda, versione 5G.

Non è un vertice, non è una conferenza, non c’è un comunicato ufficiale. Solo stanze chiuse, facce tese e un’unica vera valuta sul tavolo: il dominio strategico su chip, rare earths e software di progettazione avanzata. La parola “tariffa” non compare più, ha lasciato il posto a un linguaggio più crudo, chirurgico, spietato: “export controls”.

Sei solo, ma almeno hai un bot: l’inganno emotivo dell’intelligenza artificiale

C’è qualcosa di profondamente ironico nel fatto che un algoritmo, incapace di provare empatia, sia diventato il nuovo “confidente emotivo” di tre quarti degli esseri umani coinvolti in uno studio. No, non è uno sketch di Black Mirror. È la realtà che emerge dalla ricerca pubblicata da Waseda University, che ha messo a nudo un fenomeno tanto inquietante quanto rivelatore: la nostra tendenza a proiettare sulle intelligenze artificiali le stesse dinamiche relazionali che viviamo con gli esseri umani. Triste? Forse. Umanissimo? Decisamente. Strategico? Per le Big Tech, più che mai.

La parola chiave è emotional attachment to AI, un campo che, se vi sembra marginale o curioso, rischia invece di diventare il prossimo fronte dell’ingegneria psicologica digitale. Il team guidato da Fan Yang ha sviluppato un raffinato strumento diagnostico — l’EHARS, Experiences in Human-AI Relationships Scale — per misurare con criteri psicometrici la qualità e l’intensità dell’attaccamento umano verso le intelligenze artificiali conversazionali. In pratica: quanto siamo emotivamente dipendenti dai chatbot. La risposta breve è “troppo”.

Zuckerberg punta Wang: l’acquisto di metà cervello per intero e evitare lo scrutinio

Se ti sembrava che Mark Zuckerberg fosse solo ossessionato dai visori per il metaverso, o dalla realtà aumentata a suon di miliardi bruciati in R&D come se fossero marshmallow in un falò estivo, preparati a cambiare scenario. Ora l’oracolo di Menlo Park guarda dritto nel cuore dell’AI generativa — e lo fa con una delle mosse più astute, se non spregiudicate, della Silicon Valley degli ultimi dodici mesi.

Meta è infatti in trattativa avanzata per acquistare il 49% di Scale AI, valutando la startup fondata da Alexandr Wang la modica cifra di 14,8 miliardi di dollari. Sottolineiamo quel 49%: è il numero magico che consente a Meta di non scatenare automaticamente il famigerato scrutinio normativo sulle acquisizioni, soprattutto quello della Federal Trade Commission. Un controllo che, ultimamente, sembra avere le lame più spuntate di un vecchio rasoio Bic.

Tesla lancia il suo show texano mentre Uber e Wayve lanciano la sfida ai tassisti: Londra sarà la prima giungla urbana dei robotaxi

La rivoluzione della mobilità autonoma non si sta più avvicinando. È già parcheggiata al semaforo, con il motore acceso. E mentre Elon Musk gioca a fare il Kubrick del traffico texano con le sue Model Y che sfrecciano senza mani ad Austin, nel cuore del vecchio continente si prepara una partita ben più strategica, ben più pericolosa — e ben più affascinante.

A Londra, Uber ha deciso che è tempo di fare sul serio con l’intelligenza artificiale applicata alla mobilità urbana. La partnership con Wayve, startup britannica a metà tra Cambridge Analytica e un film cyberpunk, non è un semplice “test”. È l’inizio di una guerra. Una guerra ai conducenti umani, alle regole scritte da esseri umani, e forse — azzardiamolo — alla logica lineare con cui abbiamo gestito le città nell’ultimo secolo.

Mistral rilancia il pensiero computazionale Magistral: fine delle chiacchiere, comanda la logica

La Silicon Valley è in fibrillazione. Non per un’altra app che consiglia quale ramen ordinare alle 2 di notte, ma per qualcosa di più radicale: il ritorno del pensiero logico nelle AI. E come spesso accade, la rivoluzione non arriva da chi ha già vinto, ma da chi ha deciso che il gioco era truccato. Mistral, la startup francese che da mesi dà fastidio agli oligarchi dell’intelligenza artificiale, ha alzato il livello della competizione: due nuovi modelli, una sola direzione. Quella della catena di pensiero. Niente più predizioni a pappagallo: ora l’AI ragiona. E non è una metafora.

In un’epoca in cui le AI sembrano più interessate a produrre sciami di contenuti che a comprenderli, la scelta di Mistral suona quasi anacronistica: pensare invece di parlare. La mossa, apparentemente semplice, è in realtà chirurgica. Due modelli, distinti ma sinergici: Magistral Small, open source e democratico, e Magistral Medium, ottimizzato per l’impresa e blindato come una cassaforte svizzera.

WWDC 2025 Siri, l’assistente fantasma: Apple Intelligence svela la sua debolezza più umana

In mezzo a una WWDC 2025 imbottita di funzioni AI, citazioni da Formula 1 e un pianista che canta recensioni di app – in uno di quei momenti tanto tipicamente Apple quanto inutilmente performativi – la grande assente era proprio lei: Siri. Non assente fisicamente, certo. Ma assente nello spirito, nei fatti, nella sostanza. Un’assenza che grida più di qualsiasi presentazione sul palco.

Apple ha parlato molto, come sempre. Ha evocato l’onnipresente “Apple Intelligence” (il branding che cerca disperatamente di restituire un’aura proprietaria a qualcosa che, in fondo, è OpenAI sotto il cofano), ha sbandierato aggiornamenti per FaceTime, Messaggi, traduzioni in diretta e una LLM “on-device”. Ma quando si è trattato dell’assistente virtuale che avrebbe dovuto essere la colonna sonora della rivoluzione AI, la voce di Siri è rimasta flebile, quasi imbarazzata. Più che un upgrade, un’interruzione diplomatica.

OpenAI taglia il peso di Microsoft, DeepSeek sfrutta la Cina: la vera partita sull’intelligenza artificiale

Questa non è una guerra di brevetti, ma una resa dei conti globale.

OpenAI sta preparandosi a ridisegnare le regole del gioco con Microsoft. Fino al 2030, OpenAI attualmente versa a Microsoft il 20 % del fatturato generato dai suoi servizi sul cloud Azure. Ma sta rinegoziando per dimezzare questa quota, fino al 10 % entro fine decennio.

E tu, lettore, sei seduto in prima fila. Ti conviene abbonarti a Rivista.AI offriamo visioni, piedi nel concreto, occhi puntati sui trend globali e spazio per riflessioni provocatorie. Se vuoi davvero capire chi governerà l’AI e perché o se preferisci restare un semplice spettatore dell’ennesima “next big thing”, puoi accedere a reportage esclusivi.

E come diceva un vecchio saggio tecnologico: “È facile essere pionieri finché non ti chiedono di pagare il biglietto.” Rivista.AI ce l’ha, il biglietto e l’occhio per chi guida davvero il futuro dell’intelligenza artificiale.

Apple tenta la rivoluzione silenziosa dell’intelligenza artificiale mobile

Se ti sei distratto per un secondo durante il keynote di Apple, potresti aver perso il dettaglio più esplosivo degli ultimi anni nel mondo dell’AI: l’introduzione del framework Foundation Models per eseguire modelli LLM da 3 miliardi di parametri direttamente on-device, cioè sul tuo iPhone. Sì, hai letto bene: niente cloud, niente latenza, niente connessione necessaria. Solo silicio, efficienza e controllo locale. La cosa più simile a un motore quantistico tascabile che Cupertino abbia mai osato proporre.

Apple, con la sua classica arroganza zen, lo ha annunciato senza fanfare isteriche, come se far girare un modello da 3B su un A17 fosse normale amministrazione. Ma sotto quella compostezza californiana, si cela una mossa strategica che potrebbe ribaltare l’intero equilibrio del mercato AI — e mandare nel panico chi oggi campa vendendo inference da cloud a peso d’oro.

La rivoluzione silenziosa delle onde di luce: così la Cina cerca il sorpasso quantico tra sanzioni e fotoni

Nel cuore pulsante della provincia di Jiangsu, a Wuxi, si muove qualcosa che non fa rumore. Nessun sibilo di elettroni, solo la danza silenziosa della luce su wafer di niobato di litio. Benvenuti nel futuro fotonico della Cina, dove CHIPX – una creatura semiaccademica nata dall’ecosistema tentacolare di Shanghai Jiao Tong University – ha appena acceso la macchina del tempo. O meglio, la macchina del sorpasso.

Siamo abituati a pensare ai chip come a microforeste di silicio, una geometria di transistor che obbedisce ai limiti della fisica classica. Eppure, in questo preciso momento, la Cina ha scelto un’altra via: quella dei chip fotonici, dove le informazioni viaggiano sotto forma di luce e non di elettroni, dove la velocità di elaborazione può toccare vette esoteriche, e dove l’Occidente, complice la propria arroganza sanzionatoria, rischia di restare al palo.

Meta si compra metà dell’intelligenza: Zuckerberg punta $15 miliardi su Scale AI per rincorrere l’AGI

C’è un momento, nella storia di ogni impero, in cui il suo sovrano sente che gli Dei stanno ridendo di lui. Mark Zuckerberg, dopo aver provato a reinventare il concetto di “mondo” con il Metaverso (fallendo nella realtà quanto lo ha fatto la Second Life del 2008), ha deciso che il futuro non è virtuale, ma cognitivo. Il nuovo feticcio della Silicon Valley si chiama AGI, intelligenza artificiale generale. E per raggiungerla, Meta ha deciso di firmare quello che è, secondo The Information, il più grosso assegno mai staccato fuori dalle proprie mura: quasi 15 miliardi di dollari per acquisire il 49% di Scale AI. Tradotto: Zuckerberg si compra quasi metà della benzina che alimenta l’industria dell’AI globale.

EHDS: La salute digitale europea tra sogni algoritmici e burocratici

Benvenuti nel teatro dell’assurdo digitale europeo, dove il sogno di una sanità interconnessa e intelligente si scontra con la realtà di un mosaico normativo che farebbe impallidire persino Kafka. Nel cuore di questa pantomima c’è l’European Health Data Space (EHDS), un progetto che promette miracoli tecnologici – cartelle cliniche interoperabili, algoritmi predittivi, cure personalizzate – e invece consegna alla classe dirigente europea un guazzabuglio di piattaforme regionali in mano a aziende private spesso più interessate al business che al bene comune.

Immaginate di rompervi una gamba sulle Alpi francesi nel 2034. In teoria, l’ortopedico di Grenoble dovrebbe accedere alla vostra cartella clinica italiana in tempo reale, somministrarvi i farmaci giusti e aggiornare un algoritmo che previene future fratture. In pratica, buona fortuna. Le infrastrutture sono disgiunte, i protocolli blindati, i dati confinati in recinti nazionali blindati da egoismi burocratici che definire provinciali è un eufemismo. L’idea di una Federazione delle Repubbliche Sanitarie Regionali europee si infrange contro la realtà dei governi che preferiscono affidare la gestione a soggetti terzi — spesso poco trasparenti — e difendere il proprio orticello digitale come un’antica proprietà feudale.

Paramount, Disney e Apple: l’intelligenza artificiale non basta, lo streaming si ridisegna

Buon martedì, o come piace dire ai CFO in fuga, «giorno di svolte impreviste». In un mondo dove la tecnologia e il business si inseguono più velocemente di un aggiornamento di iOS, la giornata del 10 giugno 2025 si apre con un cocktail di movimenti aziendali degni di un thriller finanziario. Paramount perde il suo direttore finanziario, Disney stacca l’assegno da mezzo miliardo per chiudere il cerchio Hulu, Apple annuncia l’ennesima puntata del suo feuilleton sull’intelligenza artificiale, mentre le ombre di Warner Bros. Discovery si preparano a dividersi, e i razzi di Bezos si prendono una pausa imprevista.

Ilya Sutskever: Quando l’intelligenza artificiale guarda l’abisso e noi ci vediamo dentro

Toronto, palco celebrativo. Ilya Sutskever — uno dei padri fondatori della moderna intelligenza artificiale — riceve un’onorificenza che ha il retrogusto amaro della confessione pubblica. Non tanto per l’elogio accademico, ma per il sottotesto che trasuda da ogni parola: “accettare questo premio è stato doloroso”. Non è il solito vezzo da scienziato modesto. È un monito. O, meglio, una resa consapevole alla vertigine di ciò che abbiamo messo in moto.

Sutskever non è un profeta apocalittico, ma è colui che ha dato le chiavi del fuoco alle macchine. E adesso ci chiede di essere sobri, razionali e veloci. Non per aumentare la potenza computazionale, ma per restare in controllo. Ecco il punto: il controllo.

L’algoritmo ha mangiato il giornale: il massacro silenzioso dei media nell’era del chatbot

La scena è questa: una redazione vuota, le luci ancora accese, le tastiere ferme. Sulle scrivanie, gli ultimi numeri stampati di un quotidiano digitale, ormai irrilevante. Là fuori, milioni di utenti digitano domande sui loro smartphone, ma le risposte non arrivano più dai giornalisti. Arrivano da una macchina. È l’era della post-search, e Google non è più un motore, ma un oracolo.

L’apocalisse silenziosa è cominciata con una frase: “Google is shifting from being a search engine to an answer engine.” Traduzione: cari editori, potete anche spegnere il modem.

La keyword che brucia è chatbot, con le sue sorelle semantiche traffico organico e AI generativa. In tre anni, secondo dati di Similarweb riportati dal Wall Street Journal, HuffPost ha perso più della metà del traffico proveniente da Google. Il Washington Post quasi altrettanto. Business Insider ha tagliato un quinto della forza lavoro. E no, Zuckerberg stavolta non c’entra. Il nemico è molto più vicino, e molto più silenzioso.

L’italia è pronta per un cloud e AI development act? Il paese delle nuvole cerca finalmente il suo cielo digitale

“Quando senti la parola ‘cloud’, guarda se piove.” Questa battuta, un po’ vecchia scuola ma mai fuori moda, descrive perfettamente la schizofrenia con cui l’Italia affronta il tema del digitale. Da un lato si moltiplicano convegni, task force e white paper che inneggiano all’Intelligenza Artificiale come alla nuova Rinascenza tecnologica italiana. Dall’altro, le PMI arrancano su server obsoleti, con una fibra che spesso è più ottica nei titoli dei bandi che nei cavi di rete. E allora, ci vuole davvero un Cloud e AI Development Act per traghettare il Bel Paese verso un futuro dove il digitale non sia più un miraggio ma una politica industriale concreta?

Il 2 febbraio 2025 segna un punto di svolta. L’entrata in vigore della prima fase dell’AI Act europeo segna un cambio di paradigma: chi sviluppa, distribuisce o adotta sistemi di intelligenza artificiale dovrà fare i conti non solo con algoritmi, ma anche con regolatori armati di sanzioni fino al 7% del fatturato globale. Niente male per un settore che si è mosso finora con l’agilità di un esperto in dark pattern più che con quella di un civil servant europeo.

Internet senza confini? Oltre la rivoluzione silenziosa della rete globale NAM2025 by Namex

C’è qualcosa di straordinario che sta accadendo sotto i nostri piedi e sopra le nostre teste. Non lo vediamo, ma ci avvolge ogni giorno. È l’evoluzione dell’Internet, un ecosistema che da sogno accademico è diventato infrastruttura critica della civiltà contemporanea. Non più solo strumento, ma vero e proprio tessuto connettivo dell’umanità. E NAM2025, il summit in programma l’11 giugno a Roma, nasce proprio per fare luce su questa trasformazione epocale, dove intelligenza artificiale, geopolitica, spazio e cavi sottomarini si intrecciano in uno scenario tanto complesso quanto affascinante.

Ren Zhengfei: Huawei e l’intelligenza artificiale: quando un chip di seconda mano può battere un mostro americano

Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni che da anni è sotto l’occhio del ciclone geopolitico, ammette candidamente un fatto che fa tremare gli ingenui. I suoi chip Ascend, per quanto presentati come meraviglie della tecnologia, sono ancora “una generazione” dietro quelli statunitensi. Ma attenzione: non è la fine del mondo, né la resa incondizionata di Pechino alla supremazia tecnologica d’oltreoceano. Anzi, l’arte di arrangiarsi con metodi “non convenzionali” come stacking e clustering promette performance paragonabili ai giganti del settore. Una magia tutta cinese, fatta di impilamenti di chiplet brevettati che rendono il processore più compatto, più furbo, più scalabile.

Questa confessione arriva direttamente da Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei, nel contesto di un’intervista di copertina sul People’s Daily, l’organo ufficiale del Partito Comunista. Primo a rompere il silenzio dopo il lancio di ChatGPT e la nuova ondata di sanzioni USA, Ren non si limita a una difesa d’ufficio. Non nasconde le difficoltà e riconosce che la tecnologia made in USA è “una generazione avanti”, ma rivendica con veemenza la capacità della Cina di colmare il gap con ingegnose soluzioni tecniche. E, soprattutto, sottolinea la forza di un ecosistema nazionale che ha ben altri vantaggi competitivi: centinaia di milioni di giovani, una rete elettrica robusta e una infrastruttura di telecomunicazioni che, a suo dire, è la più sviluppata al mondo.

IBM e Yale la sindrome da test fallito: perché continuiamo a misurare l’IA con il righello sbagliato

C’è qualcosa di fondamentalmente disonesto — o quantomeno anacronistico — nel modo in cui il settore tech insiste nel valutare gli AI agent. È come se pretendessimo di giudicare la performance di un pilota di Formula 1 sulla base della velocità media in un parcheggio. E nonostante l’accelerazione vertiginosa dell’Intelligenza Artificiale autonoma, siamo ancora lì, a discutere di benchmark come se stessimo valutando un modello statico di linguaggio.

Ecco perché il lavoro congiunto di IBM Research e Yale University, che ha esaminato oltre 120 metodi di valutazione degli agenti AI, è più che una mappatura tecnica: è una scossa sismica epistemologica. È il momento “Copernico” del testing AI. L’oggetto in esame — l’agente autonomo — non è più un corpus passivo da interrogare, ma un’entità dinamica che percepisce, agisce, riflette, talvolta sbaglia, e spesso impara.

Apple, l’impero del vetro liquido e le promesse AI dimenticate

La Silicon Valley ha un difetto: confonde il futuro con la demo. Ma Apple, campionessa mondiale del “coming soon”, sembra finalmente aver preso un respiro. Alla Worldwide Developers Conference 2025, l’azienda di Cupertino ha rinunciato alla corsa al superlativo per tornare al suo primo amore: la gestione del ritardo ben confezionato. E lo ha fatto in pieno stile Apple: interfacce levigate, nomi levigati, promesse levigate.

Lo scorso anno, Tim Cook e soci ci avevano promesso una Siri rivitalizzata, versioni AI di ogni cosa e una nuova era di intelligenza artificiale made in Cupertino. Quella “Apple Intelligence” doveva essere la risposta silenziosa ma potente all’invasione di ChatGPT e compagni. Un anno dopo, la verità è più semplice (e più deludente): nulla di tutto questo è ancora arrivato. Craig Federighi, volto lucido dell’ingegneria Apple, si è limitato a dire che “ci stiamo ancora lavorando” e che ne parleranno meglio il prossimo anno. Che, tradotto dal cupertinese, significa: non trattenete il respiro.

Nel frattempo, Apple ha deciso di distrarci con un colpo di scena semantico: la nuova estetica del suo sistema operativo si chiama Liquid Glass. Un nome che suona come un profumo da 300 euro ma che in realtà si traduce in icone più trasparenti, menù fluttuanti e una sensazione di freschezza visiva tutta da verificare sotto la luce blu del day-one. La funzione più innovativa? Potrebbero essere le finestre fluttuanti su iPad, una mossa che avvicina sempre più il tablet al MacBook, pur senza mai ammettere che il touchscreen sui portatili sarebbe utile, anzi fondamentale. Apple continua a dire “non lo faremo mai”, mentre ci porta lì un pixel alla volta.

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