Il mondo applaude, scommette, si sorprende: un Papa americano. E pure matematico. Ma ciò che davvero dovrebbe far tremare i polsi ai guru della Silicon Valley non è la bandiera a stelle e strisce issata sopra San Pietro. È la parola intelligenza artificiale, pronunciata con tono grave e impastato d’allerta nella sua prima omelia da regnante della Chiesa.
Categoria: The Divine Algorithm
Di seguito è riportato un altro estratto, pubblicato dal
Catholic News Service.
La scena sembra scritta da uno sceneggiatore con una predilezione per i paradossi storici: un uomo vestito di bianco, in una delle istituzioni più antiche e conservatrici al mondo, pronuncia una frase che suona come una dichiarazione programmatica di una start-up della Silicon Valley: “ho scelto il nome Leone XIV in riferimento all’intelligenza artificiale e alla nuova rivoluzione industriale”. E invece no, è tutto reale. È successo davvero in Vaticano, nel cuore di un’istituzione millenaria che si ritrova ora a fare i conti con l’algoritmo.

Mentre la bara di Papa Francesco è ancora calda solo nei dibattiti metafisici, la Chiesa cattolica si trova davanti a un bivio di quelli che fanno tremare anche i confessionali più solidi del Vaticano. I cardinali stanno per chiudersi a chiave nella Sistina come in un reality show liturgico per decidere chi sarà il prossimo a indossare la bianca divisa del CEO spirituale di 1,4 miliardi di fedeli. Ma il vero interrogativo che agita sacrestie, think tank teologici e blog conservatori è uno: continuerà sulla strada aperta dal gesuita argentino o arriverà un “revisionista dottrinario” che cancellerà col turibolo anni di riformismo apparente?

Siamo nel mezzo di un vuoto di potere sacro, una bizzarra sospensione dell’ordine che solo la Chiesa Cattolica può rendere così solenne, ritualizzata e intrisa di fumo – bianco o nero che sia. Dopo la morte di Papa Francesco a sorpresa il Lunedì di Pasqua, è ufficialmente iniziato l’interregnum, termine elegante, colto e latineggiante per definire quello che in fondo è un vuoto di comando. Letteralmente, “tra due regni”: un tempo di mezzo dove il trono è vuoto e tutti aspettano un nuovo re. O, in questo caso, un nuovo papa.

Donald Trump è tornato a far parlare di sé e stavolta con un’aura papale. Martedì, interrogato su chi vorrebbe vedere come prossimo pontefice, l’ex presidente ha risposto con la solita faccia tosta: «Mi piacerebbe essere papa. Sarebbe la mia prima scelta». Ma la boutade non è rimasta confinata al teatrino dei giornalisti. Sabato ha alzato il tiro, pubblicando un’immagine – evidentemente generata con l’intelligenza artificiale – che lo ritrae come sommo pontefice in pompa magna: bianco piviale, croce al collo e dito alzato in gesto benedicente o ammonitore, a seconda dell’interpretazione.

Nel piccolo e densamente sorvegliato regno della Santa Sede, il futuro del papato si gioca anche su un terreno molto meno spirituale: quello delle tecnologie di sorveglianza, contro-sorveglianza e guerra elettronica. E se da secoli il conclave è teatro di preghiere, voti segreti e fumate, oggi è anche un laboratorio avanzato di tecnocontrollo. Ma dietro il silenzio vaticano c’è un retroscena geopolitico molto più interessante: per difendersi dai droni, dalle AI di analisi video e dal rischio di leak digitali, il Vaticano si affida a due potenze rivali del mondo tecnologico. Cina e Israele. Ecco il punto.
Le tecnologie israeliane sono probabilmente le più sofisticate tra quelle adottate. Sistemi di RF jamming prodotti da aziende come NSO Group, Rafael e Elbit Systems sono stati segnalati da insider della sicurezza vaticana in collaborazione con contractor europei. Si tratta di soluzioni capaci non solo di bloccare i segnali GPS, WiFi e Bluetooth in zone selezionate, ma anche di identificare e neutralizzare dispositivi non autorizzati basati su radiofrequenza in tempo reale. In pratica, se un drone si avvicina anche solo per errore, viene disorientato e neutralizzato prima che possa inquadrare qualcosa. Stessa sorte per microcamere o microfoni piazzati da insider (e non illudiamoci: il rischio viene considerato reale anche tra i cardinali).

Quando si parla di conclave, la parola d’ordine è una sola: imprevedibilità. Altro che algoritmi, analisi geopolitiche o scommesse digitali. Dentro la Cappella Sistina valgono altre leggi, fatte di alleanze improvvise, di “soffi” misteriosi e, soprattutto, di un bisogno disperato di trovare il compromesso giusto. Perché, diciamolo senza ipocrisie clericali, raramente il Papa eletto è il primo nome scritto sulla lista di chi comanda. Più spesso, è quello che mette d’accordo chi si odia di meno.
Ecco perché, accanto ai favoriti Tagle e Parolin, si sta facendo strada una serie di outsider che, secondo diversi analisti e voci di sacrestia, potrebbero emergere come sorpresa di questo Conclave del 2025.

La morte di Papa Francesco ha scosso il mondo, e ora, come da tradizione, il Collegio dei Cardinali si prepara a quel rito tanto sacro quanto spietatamente politico: il Conclave. L’evento che, nei prossimi decenni, potrebbe plasmare il volto della Chiesa Cattolica come pochi altri. Mentre i fedeli recitano rosari e invocano lo Spirito Santo per ispirare i cardinali, dietro le quinte si muovono interessi geopolitici, calcoli di opportunità e, sorprendentemente, anche le previsioni delle intelligenze artificiali più sofisticate del pianeta.
In un esperimento che definire “divino” sarebbe eccessivo ma “illuminante” forse no, tredici modelli di intelligenza artificiale avanzata sono stati messi alla prova per rispondere a una domanda semplice quanto temeraria: chi sarà il prossimo Papa? E ancora: chi sarebbe il miglior Papa possibile per traghettare la Chiesa nel prossimo futuro?

Se pensavate che l’atmosfera di un funerale papale fosse immune dai giochi di potere, vi sbagliavate di grosso. A San Pietro, sabato, nel silenzio imponente della basilica, Donald Trump e Volodymyr Zelensky si sono incontrati brevemente ma intensamente, tra gli sguardi severi dei santi e il peso di un conflitto che non accenna a spegnersi. Non un tête-à-tête qualunque, ma il primo incontro diretto dopo l’accesissimo scontro alla Casa Bianca, quella pièce teatrale che aveva lasciato intendere quanto poco zucchero ci fosse rimasto nei rapporti bilaterali.
Zelensky ha parlato di “un cessate il fuoco incondizionato”, come chi chiede una tregua mentre l’altra parte sta già caricato il fucile. “Speriamo in risultati”, ha detto con quell’ottimismo forzato da leader di un Paese in fiamme. I media ucraini si sono affrettati a diffondere foto di Trump e Zelensky seduti faccia a faccia, entrambi protesi in avanti, in quell’atteggiamento che conosciamo bene: il corpo che dice “ti ascolto” e la mente che urla “quanto manca alla fine di questa farsa?”. Sullo sfondo, come a ricordare l’ineluttabilità di tutto, la bara semplice di legno di Papa Francesco.

Papa Francesco è riuscito, persino da morto, a realizzare il suo sogno più grande: mettere insieme l’umanità tutta, dai migranti disperati ai capi di Stato più cinici, davanti a una bara di legno semplice e una parola incisa: Franciscus. Altro che cerimonia sobria. Sabato a San Pietro è andata in scena una rappresentazione globale che ha mischiato spiritualità, diplomazia, ambizione e ipocrisia, in un groviglio che solo il Vaticano sa orchestrare con tanta arte antica.
Circa 250.000 fedeli hanno invaso Piazza San Pietro mentre le autorità contavano almeno altre 200.000 anime riversate lungo via della Conciliazione, in uno dei raduni più oceanici della storia recente. Il feretro, posato su un vecchio papamobile modificato, ha percorso i 4 km che separano il cuore della cristianità dalla Basilica di Santa Maria Maggiore, accolto da applausi, lacrime e cori di “Papa Francesco” scanditi in decine di lingue. In quel pezzo di strada, il mondo intero sembrava finalmente d’accordo su qualcosa: la gratitudine verso un uomo che aveva fatto della periferia la sua casa.

Il 21 aprile 2025, alle 07:35 CEST, Jorge Mario Bergoglio ha cessato di vivere nella Domus Sanctae Marthae, vittima di un ictus seguito da un collasso cardiocircolatorio irreversibile; alle complicazioni si aggiungevano pregressi episodi di polmonite bilaterale, ipertensione e diabete di tipo II, come attestato dal certificato medico ufficiale rilasciato dal dottor Andrea Arcangeli.
Poche ore dopo, il cardinale camerlengo Kevin Farrell ha dato lettura dell’annuncio al mondo intero, sigillando l’inizio di una veglia pubblica senza precedenti.
Già il 23 aprile la Basilica di San Pietro ha aperto le porte alla camera ardente: una semplice cassa di legno, modello “rinuncia ai fasti”, ha accolto lunghissime file di fedeli, non meno di 20.000 persone tra pellegrini, curiosi e cronisti, disposti in coda sotto il solleone primaverile per rendere omaggio all’ultimo interprete di un papato sempre in bilico tra spirito di servizio e tattiche mediatiche.
L’eco politica non si è fatta attendere: mentre il pontefice giaceva in stato, Donald Trump autorizzava bandiere a mezz’asta negli uffici federali statunitensi e pregustava la passerella romana del 26 aprile.


L’intelligenza artificiale, nonostante il suo crescente potere nel fare previsioni su una vasta gamma di eventi, si è trovata in difficoltà mercoledì nel cercare di prevedere il risultato di un processo che, per sua natura, è notoriamente segreto e imprevedibile: l’elezione di un nuovo Papa da parte dei cardinali cattolici. La morte del Papa Francesco, avvenuta il 21 aprile, ha dato il via al periodo di lutto per la Chiesa cattolica e, al contempo, all’inizio della corsa per la sua successione. Un gioco di indovinelli in cui si sono cimentati non solo gli insider del Vaticano, ma anche bookmaker e analisti di tutto il mondo, cercando di svelare il mistero di chi potrebbe essere il prossimo Pontefice.

Il giornale francese Agence France-Presse ha deciso di coinvolgere quattro chatbot di intelligenza artificiale, tra cui il celebre ChatGPT di OpenAI e Grok, il sistema sviluppato da Elon Musk, per chiedere loro un parere su chi fossero i papabili più probabili. I risultati sono stati contrastanti, con alcune somiglianze che hanno però fatto emergere una curiosa verità: prevedere l’elezione di un Papa tramite AI è, nella maggior parte dei casi, un esercizio tanto ambizioso quanto fallimentare.

“Un velo di tristezza ci pervade per la morte del caro papa Francesco, ma dal mondo sale un inno di ringraziamento a Dio per il dono di questo successore di Pietro, che ci ha guidati a riscoprire una Chiesa impegnata nel Vangelo della gioia e della misericordia, in cammino tra le strade del mondo e attenta al grido dell’umanità”. Accogliendo l’invito del Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, le Chiese in Italia pregano per Papa Francesco, morto lunedì 21 aprile alle 7.35.
Nel raffinato teatro dell’elezione papale, la massima più sussurrata nei corridoi vaticani è anche la più crudele: “Chi entra papa in conclave ne esce cardinale.” Il conclave non è un talk show spirituale, non è un talent ecclesiale. È, almeno in teoria, l’ultimo baluardo di un potere che si pretende sacro, ispirato direttamente dallo Spirito Santo. In pratica? È un ibrido di diplomazia, tradizione, lobbying clericale e un pizzico di marketing morale.
Il funerale di Papa Francesco, morto a 88 anni, non solo chiude un’epoca quella di un pontefice che ha tentato di riformare la Chiesa a colpi di misericordia, piedi sporchi e periferie ma apre la porta alla più spietata partita a scacchi spirituale del pianeta. Chi siederà sul trono di Pietro? Nonostante la narrazione da santuario, c’è già la fila, e il campo è ben affollato. Rivista.AI lo ha chiesto a Divine Algorythm.

Non è un semplice incontro, ma un vero e proprio scontro culturale celato dietro il velo del protocollo. JD Vance, senatore dell’Ohio, fervente sostenitore di Donald Trump e figura simbolo del conservatorismo high-tech con radici nell’America rurale, sbarca a Roma proprio nel giorno del Venerdì Santo. Non per una visita spirituale, ma per un colloquio con Papa Francesco, il pontefice gesuita che ha fatto dell’accoglienza, della misericordia e di un’ecologia integrale il cuore del suo messaggio. Due visioni opposte. Due ethos inconciliabili. Due strade che guardano a futuri diametralmente opposti.
Rivista.AI aveva già fiutato l’odore della polvere da sparo culturale quando, prima ancora che fosse eletto, analizzava l’ascesa di Vance come sintomo dell’intelligenza artificiale populista. Un uomo che si è fatto da sé, partendo da un’America bianca abbandonata, ripulita e poi reinterpretata nel bestseller Hillbilly Elegy, oggi brandisce la fede come un’arma politica. La sua visione etica? Gerarchia, ordine, valori “tradizionali” restituiti con la grazia di un algoritmo impazzito. Niente inclusività, poco perdono, tanta nostalgia per un passato che non tornerà.

Nel mondo odierno, dove le informazioni scorrono a un ritmo travolgente, gestire e organizzare i dati in modo efficace è una sfida comune. La dispersione tra segnalibri, tweet salvati e contenuti web accumulati crea uno spazio digitale ingombrante, riducendo produttività e chiarezza mentale. A peggiorare il problema, trovare rapidamente ciò che serve sembra un’impresa titanica.