C’è una domanda che attraversa tutte le epoche e che oggi, nell’era dell’intelligenza artificiale, pesa come un interrogatorio esistenziale:
“Cosa fai nella vita?”
Una domanda che sembra innocua, ma che rivela la più grande ipnosi del nostro tempo. Non chiede chi sei, né cosa ami, ma come monetizzi il tuo tempo. È la domanda che ci ha addestrati a misurare la nostra esistenza in termini di produttività, non di presenza. Che ci giudica per il ruolo sociale e professionale che rappresentiamo.
Per secoli abbiamo confuso l’essere con il produrre, fino a credere che l’uomo valga solo in proporzione alla sua capacità di generare utilità. Ora che la macchina impara a fare tutto – scrivere, creare, analizzare, progettare – la domanda si ribalta: che cosa resta dell’umano, quando tutto ciò che fa e che lo definisce può essere replicato da un algoritmo?