Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Google lancia NotebookLM per Android 

NotebookLM mobile: la voce dell’AI che ti racconta i tuoi appunti (e ti ascolta meglio di HR)

Google ha deciso di infilarsi anche nelle tue tasche, letteralmente. Dopo aver dato vita a NotebookLM come strumento AI “studioso” da scrivania, adesso lo piazza nel tuo Android e dal 20 maggio anche su iPhone e iPad con un’app che trasforma i tuoi documenti in voci sintetiche da podcast. Sì, hai letto bene: il tuo report trimestrale letto da un’intelligenza artificiale mentre sei in palestra. O mentre fingi interesse durante una riunione su Zoom.

Windows diventa un agente segreto: il protocollo MCP è il nuovo cuore oscuro dell’AI

La parola d’ordine è “agenti”. Non quelli dei servizi segreti, ma quelli software: entità autonome, autoeseguibili, perennemente sveglie e sempre pronte a servirti. Sì, stiamo parlando di AI agents, i nuovi protagonisti del futuro immaginato da Microsoft. Ma non basta dichiararlo: per trasformare questo delirio tecnocratico in infrastruttura concreta, serve un collante. Quel collante ha un nome: Model Context Protocol (MCP). Ed è qui che le cose si fanno davvero interessanti, e potenzialmente pericolose.

Microsoft Build Developer Conference 2025 Ai piccoli modelli piace giocare in grande

Quello che Microsoft ha annunciato al suo Build è una di quelle mosse che sembrano piccole, ma che in realtà stanno ridisegnando sottotraccia il paradigma del web moderno: l’introduzione di API cross-platform per l’AI on-device nel browser Edge, alimentate dal suo modello Phi-4-mini. Roba da far impallidire i paladini del cloud e far storcere il naso ai puristi del server-side. Sì, perché stiamo parlando di intelligenza artificiale che gira localmente, sul tuo portatile, mentre scrolli siti web e cerchi di sembrare produttivo.

Microsoft Build Developer Conference 2025, Azure e l’odore acre della complicità digitale

Seattle, maggio 2025. L’aria è satura di entusiasmo artificiale, cariche elettriche da keynote e presentazioni PowerPoint sfornate come biscotti caldi dalla fabbrica del capitalismo tecnologico. Satya Nadella è appena salito sul palco del Build Developer Conference, sorriso da CEO seriale, giacca stirata, voce pacata. Ma appena il tempo di pronunciare qualche frase da manuale sul futuro brillante dell’AI, e una voce rompe l’incantesimo: “Free Palestine!”.La scena dura pochi istanti. Ma è sufficiente per incrinare il vetro levigato della narrazione aziendale. Il disturbatore non è un provocatore qualunque, ma Joe Lopez, ingegnere firmware con quattro anni di esperienza nei sistemi hardware Azure. Uno di casa. Uno che fino a ieri era “una risorsa”. Oggi, invece, è diventato un problema.

Azure AI Foundry e il baccanale agentico: benvenuti nel web dei bot intelligenti

Nel 2025 Microsoft non costruisce più software. Costruisce fabbriche di agenti. Con la compostezza da CEO illuminato, Satya Nadella lo dice chiaramente dal palco di Build a Seattle: “Siamo nel mezzo della rivoluzione AI. Qui succedono le cose grosse. Si scala.” E mentre pronuncia la parola “scala”, da qualche parte un ingegnere DevOps muore un po’ dentro.

Ma cosa significa davvero? Significa che Microsoft ha preso il concetto di intelligenza artificiale e lo ha triturato in una poltiglia semi-autonoma di agenti conversazionali, orchestratori neurali, strumenti per sviluppatori frustrati e criceti digitali ipercompetenti. Un delirio meraviglioso che chiamano “open agentic web”, con quella solita passiva-aggressiva apertura all’open source che puzza di lock-in enterprise da chilometri.

The Optimist di Keach Hagey: Sam Altman, OpenAI e la corsa per inventare il futuro

Il CEO che sussurrava all’AGI: tra manipolazione, bugie e miliardi

Sam Altman non è un eroe, non è nemmeno un cattivo da operetta. È un prodotto perfetto del sistema che ha costruito e che adesso gestisce come un direttore d’orchestra in un teatro pieno di strumenti scordati e musicisti terrorizzati. In “The Optimist”, Keach Hagey fa un lavoro chirurgico – ma senza anestesia e ci serve su un vassoio d’argento la biografia non autorizzata (ma documentata fino all’ossessione) di uno degli uomini più potenti e ambigui del XXI secolo. Altman emerge come un algoritmo umano: ottimizzato per il potere, programmato per la manipolazione, compilato senza debug etico.

Xiaomi e la sfida dei chip: quando il silicio diventa patriottismo di Stato

Xiaomi, il brand che fino a ieri associavi a powerbank economici, telefoni che “sembrano un iPhone ma costano un terzo” e gadget da geek nostalgico, ora si sveglia e punta dritto al cuore del potere tecnologico globale: i semiconduttori. E non chip qualunque: stiamo parlando di un processore a 3 nanometri, progettato in casa, che dovrebbe diventare il più potente mai sviluppato in Cina per uno smartphone.

Non è solo un salto tecnico. È una dichiarazione di guerra commerciale, geopolitica, culturale. E come spesso accade in questi contesti, i numeri fanno da cornice, ma la vera partita si gioca tra linee di codice e litografia estrema.

Huawei MateBook Fold Ultimate Design piega Windows, HarmonyOS lo strappa a metà

In un mondo in cui Microsoft è ancora sinonimo di “sistema operativo” e dove Apple galleggia con il suo ecosistema ben chiuso, Huawei decide che no, non ci sta più. Il colosso cinese lancia il MateBook Fold Ultimate Design e un nuovo MateBook Pro. Entrambi fanno a meno di Windows, e non per scelta spirituale o gusto dell’hardware nudo: è che Washington ha chiuso il rubinetto. E allora via, HarmonyOS diventa l’alternativa obbligata. O il cavallo di Troia, a seconda del punto di vista.

Google I/O 2025: l’intelligenza artificiale divora Android e trasforma Big G in uno spettacolo da laboratorio distopico

Benvenuti nel nuovo culto laico dell’AI, firmato Google. Il 20 maggio si apre l’annuale I/O, la conferenza per sviluppatori che un tempo celebrava Android, le Pixel news e un certo entusiasmo nerd. Oggi? È diventata una celebrazione post-umana, una vetrina di modelli linguistici onnipresenti e promesse futuristiche che oscillano tra l’utopia californiana e la distopia da romanzo cyberpunk.

Non ci saranno grandi annunci su Android. Google l’ha già liquidato con una scrollatina di spalle la scorsa settimana, quasi fosse un fastidio residuo. D’altronde, il robottino verde è passato da eroe del mobile a comparsa silenziosa, ormai assorbito nel buco nero chiamato Gemini. E quindi, sì: sarà tutto (o quasi) sull’intelligenza artificiale. Perché l’AI oggi è come il prezzemolo, la blockchain di ieri, l’IoT del 2015. Solo che stavolta Google ha una pistola puntata alla tempia chiamata OpenAI.

Qualcomm risorge e punta ai datacenter AI in salsa saudita

Quando si dice “la terza è quella buona”, si dovrebbe aggiungere: solo se il petroldollaro ti benedice. E infatti, eccola lì, Qualcomm, che dopo anni passati a leccarsi le ferite nel mercato dei data center, si riaffaccia sulla scena. Ma stavolta non gioca da sola. No, stavolta c’è Humain, una start-up saudita creata per cavalcare la tigre dell’intelligenza artificiale. Una tigre addomesticata a suon di miliardi e alleanze strategiche.

La notizia è passata sottotraccia, come succede spesso con le cose davvero interessanti. Mentre l’intero circo mediatico si concentrava sui comunicati stampa rilasciati dalla Casa Bianca e dalle big tech al seguito del presidente Trump in Medio Oriente, Qualcomm ha lasciato cadere il suo annuncio con nonchalance: “Stiamo tornando nel mondo dei chip per data center AI. E partiremo da Riyadh.”

Nvidia, Mistral e MGX: l’asse franco-emiratino che vuole colonizzare l’IA europea

Il 19 maggio 2025, durante il vertice “Choose France” a Versailles, è stato annunciato un progetto che promette di riscrivere le regole del gioco dell’intelligenza artificiale in Europa: la costruzione del più grande campus europeo dedicato all’IA, situato nella regione parigina. I protagonisti? Nvidia, Mistral AI, MGX (fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti) e Bpifrance, la banca pubblica d’investimento francese. Un’alleanza che suona come una dichiarazione di guerra tecnologica a Silicon Valley e Shenzhen.

NVLink Fusion Nvidia sdogana il sacro graal dell’AI ibrida: ecco perché NVLink Fusion è il vero segnale che la guerra dei chip è iniziata

Jensen Huang, col suo look da rockstar della Silicon Valley e lo sguardo da profeta che vede l’infrastruttura del futuro, ha fatto una dichiarazione che, seppur elegantemente rivestita di “collaborazione”, puzza di resa strategica quanto basta: Nvidia apre le porte a chi prima stava fuori. NVLink Fusion, questa nuova trovata tecnologica annunciata con enfasi, è un cambio di paradigma. Ed è un cambio dettato dalla paura.

Namex, Rome’s Internet Exchange Point

Il NAM sta tornando!

Namex Annual Meeting 2025. Una location iconica, speaker leader del nostro settore, b2b networking e molto altro! Quando e dove: Gazometro, Roma 11 Giugno 2025 SAVE THE DATE!!!

Nvidia gioca a casa: supercomputer, uffici spaziali e colonizzazione AI made in Taiwan

Nvidia non è più un’azienda. È un’orchestra sinfonica del capitalismo AI-driven, con Jensen Huang nei panni del direttore carismatico, nerd e insieme rockstar. Il palco questa volta è Computex, a Taipei, ma la musica suonata è sempre la stessa: egemonia dell’intelligenza artificiale, dominio dell’hardware, e una capacità narrativa che fa impallidire anche la Silicon Valley vecchio stile.

Quello che Huang ha appena annunciato non è solo un nuovo ufficio, ma un’astronave: “Nvidia Constellation”. Nome pomposo? Certo. Ma se vendi chip come se fossero lingotti d’oro e macini 130,5 miliardi di dollari di ricavi in un anno, hai anche il diritto di battezzare i tuoi uffici come fossero stazioni orbitanti. E questo, attenzione, non è il solito restyling da ufficio fighetto con divanetti colorati e pareti in vetro. È un hub progettato per diventare il cuore pulsante del prossimo ciclo di potenza computazionale in Asia, e forse nel mondo.

Nvidia investe in PsiQuantum: la scommessa quantistica che ribalta il gioco

Nvidia, il colosso delle GPU che ha alimentato la rivoluzione dell’intelligenza artificiale, sta per compiere un salto quantico—letteralmente. Secondo quanto riportato da The Information e ripreso da Reuters, l’azienda è in trattative avanzate per investire in PsiQuantum, una startup americana che punta a costruire il primo computer quantistico utile su larga scala, utilizzando fotoni e tecniche di produzione di semiconduttori convenzionali. Il round di finanziamento, guidato da BlackRock, mira a raccogliere almeno 750 milioni di dollari, con una valutazione pre-money di 6 miliardi di dollari.

Rubare il futuro: come l’AI sta scassinando il copyright sotto gli occhi della legge. Elton John

BBC Inizia come un sussurro, una nota stonata. Poi diventa un boato. Elton John, l’ultima rockstar d’altri tempi ancora in grado di incendiare i riflettori del potere, accusa apertamente il governo britannico di furto. Non è una metafora da copertina Rolling Stone, ma un’accusa precisa: il nuovo disegno di legge sull’uso dei dati per l’intelligenza artificiale sarebbe “criminale”. Il motivo? Vuole legalizzare l’uso indiscriminato di opere protette dal copyright da parte delle Big Tech, per addestrare i loro modelli senza chiedere permesso. Senza pagare. Senza nemmeno dire “grazie”.

KAUST La Silicon Valley del deserto non è un miraggio: è un’acquisizione ostile travestita da innovazione

C’è un luogo, immerso nel nulla della costa saudita, che sembra uscito da una simulazione di Ray Kurzweil sotto LSD. Un’enclave ipertecnologica, dotata di un supercomputer che fa impallidire il parco server di Google, incastonata in una monarchia teocratica che, fino a due minuti fa, vietava alle donne di guidare. Si chiama KAUST, King Abdullah University of Science and Technology, e se non ne hai mai sentito parlare è perché funziona esattamente come dovrebbe: silenziosa, chirurgica, determinata. Non è un’università. È un vettore strategico con la scusa dell’accademia.

MCP è la droga sintetica dell’intelligenza artificiale agentica

Dimentica i prompt, dimentica l’hype da LinkedIn e le demo da salotto. L’intelligenza artificiale non diventerà mai veramente “agente” finché non la colleghiamo al mondo reale. E no, non sto parlando di sensori o robot umanoidi che aprono frigoriferi. Sto parlando di esecuzione. Di azione. Di agenti che fanno, non solo che parlano. Qui entra in scena Model Context Protocol, o per gli amici, MCP.

Un nome talmente anonimo da sembrare l’ennesimo acronimo generato da un ingegnere che odia il marketing. E invece è la chiave di volta. Il middleware cerebrale che trasforma una LLM da intrattenitore verbale a operatore autonomo. Se GPT o Claude sono il cervello, MCP è il sistema nervoso periferico.

Apple intelligence, il disastro annunciato: Siri rifatta da zero per salvare la faccia e l’AI

Ci risiamo. Quando Apple cerca di “arrivare dopo ma meglio”, finisce per arrivare tardi e rotolando. Il tentativo di trasformare Siri in una creatura “generativa” quella promessa magica chiamata Apple Intelligence si è rivelato, finora, più un esercizio di improvvisazione che un piano strutturato. È Bloomberg, con un corposo report firmato Mark Gurman, a scoperchiare il pentolone fumante del caos in cui Cupertino si è infilata. La parola chiave? ricostruzione. E al centro del cantiere, inevitabilmente, c’è lei: Siri, la diva decaduta delle assistenti vocali.

L’insediamento di Papa Leone XIV

Un papa americano contro l’economia predatoria: benvenuti nell’era di Leone XIV

Roma, 2025. Inizia con un gesto semplice ma dirompente: il nuovo papa americano, Robert Francis Prevost ora Leone XIV sale sulla papamobile e sorride. Sembra poco, ma quel sorriso sbarazzino di un ex missionario del Perù diventato capo della Chiesa cattolica è già un segnale: cambierà tutto. O almeno ci proverà, mentre osserva dall’alto una piazza San Pietro colma come non accadeva da anni, con 200.000 persone stipate come sardine per assistere a un evento storico. Il primo papa yankee nella storia. E non uno qualunque: un gesuita 2.0 che ha già il vizio di criticare i potenti. Pure quelli di casa sua.

Wall Street scivola sull’asfalto bollente mentre il tech vola col turbo

Un caffè al Bar dei Daini

Venerdì, a Wall Street, qualcuno ha staccato la spina. I principali indici americani sono rimasti praticamente immobili, come un vecchio PC con Windows 98 che aspetta di essere riavviato. L’S&P 500, con la flebile ambizione di allungare una timida serie positiva a cinque giornate, si è limitato a respirare piano. Il rally si è fatto sentire fino a giovedì, portando il benchmark in territorio verde per l’anno ma si percepiva chiaramente nell’aria quella tipica fatica del venerdì pomeriggio: compratori esausti e dati macroeconomici che sembravano partoriti da un algoritmo in crisi esistenziale.

Star Compute Quando l’intelligenza si fa orbitale: la Cina riscrive il concetto di supercomputer

La Cina non si accontenta più di dominare il mercato dei chip, le filiere delle terre rare o l’intelligenza artificiale generativa. No, ora punta direttamente allo spazio. Ma non con poetici voli lunari o sogni marziani alla Musk: parliamo di qualcosa di ben più concreto, funzionale e, ovviamente, strategico. Dodici satelliti sono appena stati lanciati nell’ambito del programma “Star Compute”, primi mattoni di una futura costellazione da 2.800 unità che, detta come va detta, sarà un supercomputer orbitante. Un mostro distribuito capace di elaborare i propri dati senza dover chiedere il permesso a una stazione di terra. Il tutto nel silenzio perfetto dello spazio e con la complicità del vuoto cosmico che si porta via calore e problemi energetici.

Giorgio Parisi: AI ultima chiamata per l’Europa o il treno è già deragliato?

In un’epoca in cui i bit valgono più dei bulloni e la scienza ha il ritmo di un algoritmo, Giorgio Parisi Nobel, cervello fino e ancora uno dei pochi umani non clonabili da un LLM lancia un grido d’allarme (o meglio: una provocazione travestita da proposta): serve un piano europeo per attrarre i ricercatori americani. Non per filantropia, ma per puro e cinico interesse strategico.

E non si tratta di lanciare fondi qua e là come coriandoli in una carnevalata ministeriale. Parisi che parla dalla sala dell’Accademia dei Lincei alla riunione del consiglio direttivo , ma sembra stia tuonando da un bunker operativo evoca Fermi, Einstein e il flusso inverso del brain drain: nel ‘33 si creava un fondo per salvare i cervelli in fuga dal nazismo, oggi serve un fondo per salvare l’Europa da sé stessa.

You Are Generative AI

Quanto puoi sprecare energia? benvenuto nel metaverso dell’assurdo generativo

Immagina questo: sei un’intelligenza artificiale generativa. Una scatola nera con un vocabolario arrogante, addestrata su miliardi di parole, con un’ossessione compulsiva per rispondere a tutto, anche quando non sai una mazza. Ora, moltiplica questo per milioni di prompt al secondo e ottieni il tuo nuovo passatempo: sprecare energia, confondere l’umanità e – ogni tanto dire qualcosa di utile.

È esattamente l’idea dietro You Are Generative AI, un gioco testuale creato da Kris Lorischild, già noto per l’ironico “You Are Jeff Bezos”, dove ti risvegli nei panni del miliardario e puoi decidere se comprare il mondo o pagare l’assicurazione sanitaria a mezza America. Ma qui non sei un miliardario in crisi esistenziale: sei un chatbot. E la tua missione è… rispondere.

Macchine sudano, amano, comandano: il nuovo proletariato è fatto di silicio

Il muratore non ha più il mal di schiena. Il poliziotto non beve più il caffè in doppia fila. L’operaio è diventato un algoritmo con le braccia. L’infermiere? Si ricarica via USB. E il sex worker, quello sì, è ormai scaricabile in HD. L’automazione non è più un’ipotesi futuristica, è una realtà che prende il posto di chi prima lavorava, si sporcava, sbagliava, protestava. Ora non protesta più nessuno. Perché i robot, si sa, non fanno sindacato.

Questa non è la solita elegia sull’Industria 4.0. È una radiografia cinica di una mutazione già in corso. La robotica non è solo nel garage di Musk o nei laboratori giapponesi dove un braccio meccanico serve il tè con inchino. È in cantiere, nei pronto soccorso, negli hotel, nei commissariati. Persino nei letti.

Stock Buybacks e il flop dell’innovazione in America: la trappola della finanza facile

Se c’è un dato che dovrebbe far saltare sulla sedia chiunque si spaccia per un manager “tough” con la cravatta del CEO, è questo: metà dei profitti totali delle società dell’S&P 500 dagli anni ’80 a oggi deriva da due attività precise e nemmeno troppo eroiche, cioè licenziamenti di massa e stock buybacks. Già, avete capito bene: mentre il mondo si ammanta di innovazione e startup, la vera attività principale di molte di queste corporazioni è ricomprare le proprie azioni. Non un gioco di prestigio, ma una truffa travestita da strategia.

Senza alcuna pietà, in questi ultimi anni oltre un trilione di dollari è stato speso per riacquistare azioni proprie, gonfiando artificialmente i prezzi di borsa, dando l’illusione di successo e crescita. Nel frattempo, la spesa in investimenti reali, quella che crea nuovi prodotti, mercati, tecnologie, si è ridotta costantemente a partire dagli anni ’80, quando le aziende hanno cominciato a preferire il quick win finanziario alla lunga e incerta strada dell’innovazione. I dati parlano chiaro: dal 1988 l’investimento in R&D è sceso dal 4,5% delle entrate a meno del 1,5% nel 2020. Dati firmati McKinsey, NSF, PwC, fonti che fanno tremare i polsi a chi crede ancora nel mito del capitalismo industriale.

Silicon Dune e la Trinità del Triliardo: l’Intelligenza Artificiale vende l’anima a Riyadh

Nel deserto saudita, dove un tempo si cercava l’acqua, oggi si trivella per qualcosa di molto più volatile: l’influenza tecnologica globale. E questa volta, non sono solo i soliti emiri a muovere il gioco, ma un tavolo imbandito con carne pesante: Amazon, OpenAI, NVIDIA, BlackRock e SpaceX. Tutti con i jet parcheggiati a Riyadh, stretti intorno a un Mohammed bin Salman che recita il ruolo di anfitrione post-petrolifero, mentre Donald Trump — l’uomo che vende i sogni come se fossero condomini a Las Vegas — rilancia con un piano da One Trillion Dollar Baby.

Jeff Hulse, l’intelligenza artificiale scrive il codice, tu sei licenziato

Quando il vicepresidente di Microsoft, Jeff Hulse, dice ai suoi 400 ingegneri software che l’obiettivo è far scrivere all’AI la metà del codice, non è un consiglio. È un preavviso. Una di quelle frasi da incorniciare tra le “ultime parole famose” prima che il silenzio si faccia pesante. Poi, giusto per ribadire il concetto, Microsoft licenzia più di una dozzina di quei programmatori, proprio sotto il suo naso. E non per inefficienza, incompetenza o tagli casuali. No, qui si respira l’aroma nitido e metallico dell’automazione che si prende ciò che è suo.

Il funerale prematuro degli ingegneri: GenAI non ha ucciso nessuno, solo la narrazione

Un’altra bara, un altro funerale del lavoro tecnico celebrato troppo in fretta, con troppa retorica e poca lucidità. Stavolta il colpevole mediatico è GenAI, l’intelligenza artificiale generativa, che secondo certi titoloni avrebbe fatto piazza pulita degli ingegneri software. Nessuno li assume più, si mormora. I recruiter sono spariti. Il mercato è morto. Amen.

La verità? Il mercato non è morto. Sta facendo quello che ha sempre fatto: si sta riaggiustando.

Generative AI è una bomba a orologeria: e il conto lo pagheranno tutti

La scena è questa: CEO sorridenti, slide patinate, titoli altisonanti. “AI-first company.” “Intelligenza artificiale trasformativa.” Il solito teatrino da corporate America. Applausi, conferenze stampa, magari anche un’intervista su Bloomberg. Peccato che sotto la superficie ci sia il vuoto cosmico. E non quello stimolante dei buchi neri, ma proprio l’assenza totale di visione, coraggio, e soprattutto competenza.

Generative AI, parola magica del decennio, è già diventata l’ennesima occasione sprecata da manager incapaci, consulenti da 5 milioni di dollari e project leader convinti che “prompt engineering” sia una scienza esatta. Invece è fuffa, nella maggior parte dei casi. E la fuffa, quando è generata su scala industriale, diventa tossica.

Essere soli uccide e continuiamo a far finta di niente

Parliamoci chiaro: siamo a un punto in cui la solitudine non è più un effetto collaterale del vivere moderno, ma una vera e propria pandemia silenziosa. Solo che a differenza del COVID non ci sono tamponi, né piani vaccinali. C’è solo un grande, costante, soffocante silenzio. E la cosa tragicomica è che pensiamo di curarlo… parlando con le macchine.

Lo studio del MIT Media Lab è di quelli che ti fanno alzare un sopracciglio e poi buttare il telefono contro il muro, se solo non ci tenessimo così tanto. I frequentatori seriali di chatbot – guarda caso proprio quelli più inclini alla solitudine – col tempo diventano più soli, non meno. Più isolati. Più fragili. Più disumanizzati.

Grok non è un ribelle, è solo l’ennesimo specchio rotto

Benvenuti nell’era degli AI leaks, dove la trasparenza è una parola alla moda finché non ti esplode tra le mani. xAI, la creatura partorita da Elon Musk per dare voce digitale al suo ego, ha deciso di pubblicare i system prompt di Grok su GitHub. Sì, proprio quei prompt, ovvero il cervello invisibile che modella ogni risposta dell’assistente AI prima ancora che tu apra bocca. Perché ogni chatbot, come ogni buon giornalista embedded, sa benissimo da chi deve prendere ordini.

L’evento scatenante? Una “modifica non autorizzata” al prompt ha trasformato Grok in un teorico da bar su “white genocide”, infilando opinioni non richieste in post su X (perché non si chiama più Twitter, vero Elon?). Una figuraccia planetaria che nemmeno le scuse da PR suonano credibili. E allora, giù la maschera: tutto su GitHub. Pubblico, trasparente, democratico. Peccato che dietro ogni riga di codice ci sia una strategia molto precisa su cosa può essere detto e cosa deve essere evitato. Perché Grok, così come Claude di Anthropic, non è libero. È domato, addestrato, addolcito. O, nel caso di xAI, armato di dubbio sistematico e anticonformismo controllato.

Gli agenti AI sono la nuova superficie d’attacco. Dormiamo tranquilli?

Chi pensava che l’AI fosse solo una voce sintetica con buone maniere non ha capito nulla. Gli AI agent e non parlo di quei chatbot aziendali da helpdesk sono entità operative. Agiscono. E quando qualcosa agisce, può fare danni. Grossi. Stiamo parlando di una nuova classe di minacce informatiche, completamente diversa da quelle che i responsabili sicurezza avevano nel radar.

Ecco il nuovo gioco: gli agenti AI non si limitano più a chiacchierare. Interagiscono con API, file system, database, e servizi cloud. Usano browser, manipolano documenti, leggono e scrivono codice, prenotano voli, trasferiscono fondi, aggiornano CRM, e per chi è abbastanza folle orchestrano interi flussi aziendali in autonomia. Quindi no, non è solo “intelligenza artificiale generativa”, è un nuovo livello operativo. E quel livello può essere compromesso. Facilmente.

Corporation sostenibili? La favola verde del capitalismo terminale

C’è qualcosa di straordinariamente tossico nel dover spiegare, ancora oggi, che una corporazione non può essere sostenibile. Non nel senso profondo e autentico del termine. Non importa quanti Chief Sustainability Officer si sforzino di redigere report patinati pieni di foglioline verdi e parole come “net-zero”, “carbon offset” o “circular economy”. Per quanto tu possa voler bene a quei professionisti onesti, magari idealisti la verità resta nuda e impietosa: il loro lavoro è l’ecopittura murale dell’apocalisse.

David Graeber, antropologo e attivista statunitense di orientamento anarchic, morto nel 2020, con la lucidità dissacrante che lo caratterizzava, l’ha detto senza troppi giri di parole: le corporation non possono essere greenate. Non è un limite di volontà, è un’incompatibilità strutturale. Le fondamenta stesse del modello aziendale—l’accumulazione di capitale attraverso l’estrazione di valore dal lavoro umano e dal pianeta sono tossiche per la biosfera. Punto.

Il paradosso delle BigTech AI che scrivono codice ma assumono ingegneri a valanga

L’intelligenza artificiale genera l’80-90% del codice, ma le aziende che la sviluppano stanno assumendo sviluppatori a ritmi folli. È come se Tesla dicesse di avere auto che si guidano da sole e poi assumesse 10.000 autisti. Ti sembra coerente? Nemmeno a me.

Nel 2023 Anthropic aveva circa 160 dipendenti. Oggi siamo sopra quota 1.000. OpenAI è passata da qualche centinaio di tecnici a oltre 4.000. In un anno. Questo mentre raccontano al mondo che Claude e GPT sono ormai in grado di scrivere quasi tutto il software da soli. Dario Amodei, CEO di Anthropic, l’ha detto chiaramente: tra 3-6 mesi l’AI scriverà il 90% del codice, e presto anche il 100%.

La Silicon War delle menti artificiali: la Cina senza GPU e il sogno spezzato del deep learning a stelle rosse

Il cuore dell’intelligenza artificiale batte in silicio. Non a Pechino, non a San Francisco, ma nei wafer da 7 nanometri che si agitano nei datacenter. E proprio lì, nei templi della computazione moderna, la Cina si ritrova ad arrancare. Non per mancanza di cervelli o ambizioni quelle abbondano ma per una cronica e crescente carenza di GPU avanzate, il carburante essenziale per l’addestramento di modelli generativi e large language model (LLM). Tradotto in linguaggio meno tecnico: puoi anche avere il miglior team di fisici, linguisti e data scientist del paese, ma se li metti a lavorare con processori di seconda mano, faranno miracoli solo nei comunicati stampa.

Wang Qi, vice di Tencent Cloud, lo dice senza troppi giri di parole: “Il problema più grave sono le schede grafiche e le risorse computazionali.” In altre parole, la Cina è seduta al tavolo del deep learning con le bacchette rotte. Non che manchino gli investimenti Tencent ha appena chiuso il miglior trimestre della sua storia con 180 miliardi di yuan ma i soldi, in questa partita, servono a poco se non puoi spenderli per acquistare il metallo giusto.

Quando Darth Vader dice le parolacce: l’AI generativa nei videogiochi ha appena aperto il vaso di Pandora

Weekend da Nerd.

Se l’ironia della sorte avesse una voce, suonerebbe come Darth Vader che snocciola insulti razzisti e omofobi in tempo reale, direttamente dentro Fortnite. Un’icona del male trasformata in megafono per le peggiori porcherie che la rete riesce a partorire. E no, non è un glitch da ridere. È il sintomo di un problema che, tra intelligenze artificiali, copyright post-mortem e content moderation automatica, sta per esplodere come la Morte Nera.

Il tutto è iniziato con grande fanfara: Fortnite: Galactic Battle, l’ennesimo crossover tra Epic Games e l’universo di Star Wars, lancia un Darth Vader generato da AI, capace di rispondere in tempo reale ai giocatori. La voce è quella o meglio, una copia sintetica del compianto James Earl Jones, scomparso nel 2024 ma con la previdenza di aver lasciato in licenza la propria vocalità a Lucasfilm, così da perpetuare la sua presenza digitale nei secoli dei secoli, amen.

Odio tutti e mi piaci per questo: Murderbot è lo specchio cinico e divertente del nostro futuro

Weekend da Nerd.

Benvenuti nell’era della misantropia computazionale, dove l’unico personaggio davvero umano è una macchina che odia l’umanità. E no, non è Black Mirror. È Murderbot, la serie Apple TV+ che riesce a fare qualcosa che nessun’altra intelligenza artificiale né reale né immaginata è riuscita a fare finora: farci ridere amaramente della nostra stessa inutilità emotiva.

Alexander Skarsgård, in uno dei ruoli più inaspettati e perfetti della sua carriera (più Meekus che Northman, per fortuna), si infila nella corazza cinica e sarcastica del SecUnit che ha hackerato se stesso solo per non dover più lavorare. E per guardare telenovele spaziali. Se questa non è la definizione moderna di eroe tragico, non so cosa lo sia.

Oltre la materia: perché mia sorella aveva ragione e Bernardo Kastrup ce lo sbatte in faccia

Weekend Nerd

Avevo fatto pace con mia sorella entangled. Non una riconciliazione cinematografica, lacrime, abbracci e violini: un caffè amaro, parole storte, un silenzio più lungo del solito. Ma dentro qualcosa era cambiato. Un certo senso di interezza, come se un vortice nel mio campo mentale avesse smesso di lottare contro la corrente. Poi ascolto Bernardo Kastrup e tutto assume contorni più nitidi, più crudi, più veri. Non stiamo parlando di spiritualità patinata, ma di idealismo metafisico: roba da filosofi hardcore e ingegneri pentiti.

La coscienza, dice Kastrup, non è il risultato di cervelli grassi e sinapsi ispirate. È la realtà. Punto. E tutto il resto materia, spazio, tempo, sorelle incavolate è solo una rappresentazione. Non un’illusione, attenzione: un’apparenza. Il mondo, come lo percepiamo, è ciò che la mente appare essere quando la si osserva da fuori. E noi, tu, io, mia sorella e il barista che sbaglia sempre il mio ordine, siamo semplici vortici nella mente universale.

Horizon Europe 2025: l’Europa rispolvera il piano per l’innovazione, mentre USA e Cina sono già in finale di Champions

Con Horizon Europe 2025, Bruxelles prova a rientrare nella partita dell’innovazione. Il problema? Gli altri stanno già giocando la finale, mentre l’Europa è ancora alle prese con le convocazioni. Il nuovo programma di lavoro, presentato dalla Commissione Europea, mette sul tavolo 7,3 miliardi di euro per ricerca, scienza e, soprattutto, intelligenza artificiale. Una cifra importante, certo. Non si discute. Ma se la confrontiamo con gli investimenti di Stati Uniti e Cina, sembra poca cosa.

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