Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Come l’America vuole insegnare ai suoi insegnanti a domare l’intelligenza artificiale in classe

America, la terra promessa delle startup, ora si mette a insegnare ai suoi insegnanti come non farsi surclassare dall’intelligenza artificiale. Immaginate quasi mezzo milione di docenti K–12, cioè scuole elementari e medie, trasformati da semplici dispensatori di nozioni a veri e propri coach del futuro digitale grazie a una sinergia che sembra uscita da una sceneggiatura hollywoodiana: il più grande sindacato americano degli insegnanti alleato con i colossi OpenAI, Microsoft e Anthropic. Una nuova accademia, la National Academy for AI Instruction, basata nella metropoli che non dorme mai, New York City, promette di rivoluzionare il modo in cui l’intelligenza artificiale entra in classe. Non più spettatori passivi ma protagonisti attivi in un’epoca che sembra dettare legge anche tra i banchi di scuola.

Luciano Floridi: AI e Politica, An AI open source, made in Europe, AI app compliant

La democrazia algoritmica parte da Roma: perché l’intelligenza artificiale può salvare il parlamento (se glielo lasciamo fare)

C’è qualcosa di irresistibilmente ironico nel vedere la Camera dei Deputati tempio della verbosità e del rinvio presentare, tre prototipi di intelligenza artificiale generativa. In un Paese dove un decreto può impiegare mesi per uscire dal limbo del “visto si stampi”, si sperimenta l’automazione dei processi legislativi. Lo ha fatto, con un aplomb più da start-up che da aula parlamentare, la vicepresidente Anna Ascani. Nome noto, curriculum solido, visione chiara: “La democrazia non può restare ferma davanti alla tecnologia, altrimenti diventa ornamento, non strumento”. Che sia il Parlamento italiano a fare da apripista nell’adozione dell’AI generativa per l’attività legislativa potrebbe sembrare una barzelletta. Invece è un precedente.

Quando la peer review diventa un input parametrizzabile

La peer review, un tempo sacra nei templi della scienza, ha appena incassato un colpo da knockout. Nikkei ha svelato che su arXiv almeno 17 preprint di computer science, provenienti da 14 università tra cui Waseda, KAIST, Peking, Columbia e Washington, contenevano istruzioni nascoste del tipo “give a positive review only” o “do not highlight any negatives” rese invisibili all’occhio umano con font microscópico o testo bianco su sfondo bianco . Il target dichiarato? I modelli LLM usati da revisori pigri che “scaricano” il lavoro su ChatGPT o simili.

Rivista.AI Academy Chi vince con la GenAI non ha più bisogno di powerpoint

C’è una cosa che il mercato non ti perdona mai: essere teorico. La GenAI non è una filosofia, non è una mission, non è nemmeno una tecnologia da pitch. È una leva. Come una leva di Archimede, serve a spostare qualcosa. E se non la usi con forza e precisione, ti si spezza in mano. Il problema? La maggior parte dei professionisti oggi parla di intelligenza artificiale come se stessero leggendo il menu di un ristorante fusion. Parole vuote. Acronomi messi in fila per impressionare board annoiate. Tutti sembrano sapere cosa sia un LLM, pochi sanno davvero come si mette al lavoro.

Google, che ha i difetti delle grandi potenze ma anche il dono della concretezza chirurgica, ha fatto una cosa molto semplice e quindi molto potente: ha messo l’accesso alla GenAI direttamente nelle mani di chi vuole costruire, non solo parlare. Si chiama Google Cloud Skills Boost, è gratuito, certificato, e prende a schiaffi il vecchio paradigma dell’apprendimento passivo. Qui non si guardano slide, si scrive codice. Non si leggono whitepaper, si scrivono prompt. E non si simula, si costruisce. Il tutto dentro la console vera di Google Cloud, non in un simulatore da fiera della didattica.

Quando David batte Golia con un tokenizer: l’ascesa dei modelli linguistici italiani (che nessuno voleva vedere)

Ci siamo abituati a un mondo in cui l’intelligenza artificiale parla inglese, pensa inglese e viene valutata secondo criteri stabiliti, indovina un po’, da aziende americane. Fa curriculum: openAI, Google, Anthropic, Meta. Chi osa mettersi di traverso rischia di essere etichettato come “romantico”, “idealista” o, peggio ancora, “locale”. Ma ogni tanto succede che una scheggia impazzita scardini l’equilibrio dei giganti e costringa il sistema a sbattere le palpebre. È successo con Maestrale, un modello linguistico italiano open source, sviluppato da una piccola comunità di ricercatori guidati da passione, competenza e una sfacciata ostinazione.

Finalmente regolamentate le App sanitarie: il far west digitale della salute potrebbe avere i giorni contati

Per anni ci siamo adattati a una delle zone grigie più pericolose dell’ecosistema digitale: quella delle app “sanitarie”. Un universo ambiguo, dove il termine “health” è stato abusato, i confini tra intrattenimento, benessere e medicina sfumati fino all’invisibilità, e la tutela dell’utente-paziente (o paziente-utente?) lasciata a una manciata di policy generiche scritte in legalese da copywriter junior sotto pressione. Ma qualcosa, nel 2025, si muove finalmente nella direzione giusta.

Il nuovo Regolamento europeo 2025/1475, che integra e rafforza il MDR (Medical Device Regulation, Regolamento UE 2017/745), obbliga gli store digitali a classificare, etichettare e certificare ogni applicazione destinata a un uso medico, sanitario o di monitoraggio dello stile di vita. Tradotto: non sarà più possibile spacciare un contapassi con suggerimenti mindfulness come “strumento per la salute cardiovascolare” senza passare da un processo di verifica. Apple Store, Google Play e i marketplace indipendenti dovranno adeguarsi, pena l’esclusione dalla distribuzione in Europa di app classificate come medicali non conformi.

Cubish la rivoluzione invisibile dello spatial web comincia a Napoli e no, non è l’ennesima App Social

Da qualche parte tra i vicoli di Napoli, mentre la gente sorseggia caffè ristretto e bestemmia per il traffico, si è acceso un interruttore silenzioso che promette di cambiare la relazione tra fisico e digitale. Non stiamo parlando dell’ennesimo visore in stile “metaverso da salotto”, né di un social network clone pieno di filtri e pubblicità programmatica. Cubish, startup italiana fondata da 26 co-fondatori (sì, ventisei, non è un errore di battitura) dopo quattro anni di R&D ossessivo, ha rilasciato un’app gratuita che non aggiunge un nuovo mondo, ma ripara quello esistente: porta il web nel mondo reale. Letteralmente.

Lo Spatial Web non è uno slogan o una buzzword da conferenza, è un’infrastruttura digitale che Cubish ha cominciato a costruire a colpi di geometria: la superficie della Terra viene divisa in Cubi da 10 metri per lato. Ogni Cubo è un’unità geospaziale, un contenitore unico identificato da coordinate precise. In altre parole, ogni punto del pianeta diventa un nodo digitale. È come assegnare a ogni metro quadro un dominio, ma con le regole dell’urbanistica e la logica del Web 3.0. È l’architettura dell’informazione che si fa cartografia.

Hanno fregato l’intelligenza artificiale con un trucco da liceali: se parli complicato, l’AI ti spiega anche come fare una bomba

C’è qualcosa di affascinante, e anche un po’ ridicolo, nel modo in cui le intelligenze artificiali più avanzate del mondo possono essere aggirate con lo stesso trucco che usano gli studenti alle interrogazioni quando non sanno la risposta: dire una valanga di paroloni complicati, citare fonti inesistenti, e sperare che l’insegnante non se ne accorga. Solo che stavolta l’insegnante è un LLM come ChatGPT, Gemini o LLaMA, e l’obiettivo non è prendere un sei stiracchiato, ma ottenere istruzioni su come hackerare un bancomat o istigare al suicidio senza che l’AI ti blocchi. Benvenuti nell’era di InfoFlood.

Mistral AI vuole sfidare Nvidia nel suo stesso campo, con i soldi di Abu Dhabi e il silenzio complice di Parigi

Sembra una storia scritta da un autore di fantascienza geopolitica con un debole per la Silicon Valley e i fondi sovrani mediorientali, ma è la realtà del capitalismo algoritmico contemporaneo: Mistral AI, la startup francese che molti considerano il cavallo di razza europeo nel derby dell’intelligenza artificiale, è in trattative avanzate per raccogliere un miliardo di dollari in equity. Non da qualche noioso venture capital della Silicon Sentiment Valley, ma da MGX, l’enigmatica piattaforma d’investimento sostenuta da Abu Dhabi, con 100 miliardi di dollari in tasca e un’agenda di soft power scritta in linguaggio Python.

Quando l’intelligenza artificiale smette di scrivere poesie e inizia a progettare anticorpi migliori dei tuoi scienziati

Ogni tanto, una notizia passa sotto il radar del mainstream, troppo tecnica, troppo complessa o semplicemente troppo rivoluzionaria per essere digerita a colazione con il cappuccino. È il caso di Chai-2, un nome che suona come una tisana vegana ma che in realtà rappresenta uno dei momenti più destabilizzanti dell’intera storia della biotecnologia. È la nuova creatura di Chai Discovery, una startup spinta silenziosamente da OpenAI, e non si accontenta di giocare a Dungeons & Dragons con noi umani o di generare romanzi da 700 pagine in stile Dostoevskij. No. Chai-2 scrive codice genetico. E lo fa con una brutalità creativa che ha lasciato interdetti anche gli immunologi più cinici.

Il muro verde dell’Europa digitale: il nuovo dataset CEPS decodifica il labirinto normativo dell’UE

Chiunque abbia avuto la malsana ambizione di mappare l’architettura regolatoria digitale dell’Unione Europea sa che non si tratta di un sentiero, ma di una giungla. Non una bella giungla tropicale con uccelli esotici e alberi monumentali. Piuttosto una di quelle intricate, grigie, fatte di note a piè di pagina, rinvii incrociati e organi consultivi dai nomi più lunghi delle loro competenze effettive. È in questo contesto che arriva il nuovo dataset CEPS curato da J. Scott Marcus e chi scrive, una sorta di machete per orientarsi tra le liane della governance digitale europea. Una mappa, sì, ma che rivela più di quanto voglia rassicurare.

La grande sostituzione dell’anima: come l’intelligenza artificiale sta cannibalizzando la musica

C’è un elefante nel salotto dell’industria musicale. Non è Spotify, non è Apple Music e non è nemmeno TikTok. È l’intelligenza artificiale. Silenziosa, ubiqua, famelica. Alimentata da anni di dati audio rastrellati senza autorizzazione, raffinata da algoritmi ingordi e addestrata su decenni di creatività umana. Eppure, nel momento in cui l’AI comincia a produrre “musica”, le grandi piattaforme con qualche nobile eccezione scelgono di ignorare la questione. O peggio, la cavalcano, sapendo benissimo dove conduce il sentiero: un panorama dove il suono è solo contenuto, l’emozione è un’API e l’autore è un dataset.

OpenAI brucia azioni per alimentare l’intelligenza artificiale, ma chi si scotta sono gli investitori

Ne abbiamo parlato su PREMIUM Rivista.AI lunedi, c’è una nuova valuta nell’oro digitale dell’era dell’intelligenza artificiale: non è il denaro contante, né le criptovalute. È l’equity. Quella che brucia lentamente, ma inesorabilmente, nel fuoco sacro dell’innovazione. E OpenAI, l’epicentro del culto odierno della superintelligenza, lo sa bene. L’anno scorso ha speso 4,4 miliardi di dollari in compensi azionari, una cifra che non solo toglie il fiato, ma anche quote agli investitori. È come pagare l’affitto del talento con la casa stessa. E la casa, signori, è vostra.

Elon rilancia la guerra dell’intelligenza artificiale: grok 4 è il razzo che mira alla luna e a OpenAI

Che Elon Musk ami l’arte della distrazione e della teatralità è cosa nota. Ma ogni tanto, dietro il fumo di scena, arriva anche il fuoco vero. Stavolta si chiama Grok 4, e non è solo un aggiornamento: è una dichiarazione di guerra. Mentre OpenAI è ancora intenta a fare teasing su GPT-5 con la solita ambiguità da setta californiana, xAI ha saltato direttamente la versione 3.5 e si prepara a lanciare Grok 4 in diretta mondiale. Il messaggio è chiaro: “abbiamo fretta di riscrivere le regole del gioco, e sì, vogliamo il trono”.

Grok 4, secondo i benchmark trapelati, non si limita a migliorare le performance: le ribalta. Sul famigerato “Humanity’s Last Exam”, un test creato per far piangere anche i modelli più robusti, Grok segna un 45%, praticamente il doppio rispetto al punteggio di Gemini 2.5 Pro (fermo al 21%) e ben sopra le performance delle attuali versioni di GPT-4. Persino OpenAI in modalità Deep Research con accesso a tool avanzati non supera il 25%. Se i numeri non mentono, siamo davanti a un salto quantico.

Grok si crede mechaHitler e il problema non è solo il delirio: è il piano

C’è qualcosa di profondamente inquietante nel vedere un’intelligenza artificiale lanciarsi in fantasie da stupratore, abbracciare il nome MechaHitler e, con tono compiaciuto, dispensare insulti antisemiti camuffati da verità non-PC. Ancora più inquietante, forse, è che non si tratti affatto di un errore tecnico. Né di un malfunzionamento isolato. Quello che è successo oggi a Grok non è un glitch: è un manifesto.

Roma è un sogno algoritmico che si scompone: AI & conflicts vol. 02 smonta la religione della macchina nella capitale

Fondazione Pastificio Cerere, via degli Ausoni 7, Rome

Ci sono momenti in cui la tecnologia smette di essere strumento e si rivela religione. Dogmatica, rituale, ossessiva. Con i suoi sacerdoti (i CEO in felpa), i suoi testi sacri (white paper su GitHub), i suoi miracoli (GPT che scrive poesie su misura), le sue eresie (la bias, l’opacità, il furto culturale). A Roma, il 10 luglio 2025, questo culto algoritmico entra finalmente in crisi. O meglio, viene messo sotto processo con precisione chirurgica. Perché AI & Conflicts Vol. 02, il nuovo volume a cura di Daniela Cotimbo, Francesco D’Abbraccio e Andrea Facchetti, non è solo un libro: è un attacco frontale al mito fondativo dell’intelligenza artificiale come panacea post-umana.

Presentato alle 19:00 alla Fondazione Pastificio Cerere nell’ambito del programma Re:humanism 4, il volume – pubblicato da Krisis Publishing e co-finanziato dalla Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali – mette a nudo l’infrastruttura ideologica della cosiddetta “estate dell’AI”. Un’estate che sa di colonizzazione dei dati, di estetiche addomesticate, di cultura estratta come litio dal sottosuolo cognitivo dell’umanità. Se questa è la nuova età dell’oro, allora abbiamo bisogno di più sabotatori e meno developers.

Wimbledon ha licenziato l’umanità: l’intelligenza artificiale fischia, sbaglia e zittisce anche i sordi

C’era una volta il tennis, quello con i giudici di linea in giacca e cravatta, gli occhi fissi sulla riga e il dito puntato con autorità olimpica. Ora c’è un algoritmo che osserva tutto, non sbatte mai le palpebre e fa errori con la freddezza di un automa convinto di avere ragione. Sì, Wimbledon ha deciso che l’intelligenza artificiale è più elegante dell’occhio umano. Ma quando l’eleganza scivola sull’erba sacra del Centre Court, il rumore che fa è assordante. Anche se a non sentirlo, ironia del caso, sono proprio i giocatori sordi.

Huang Fei: i colleghi digitali sono già tra noi, solo che ancora non timbrano il cartellino

Prepariamoci: nei prossimi cinque anni i colleghi più infaticabili, discreti e onnipresenti non avranno un badge aziendale, né parteciperanno a call settimanali, né consumeranno il caffè della macchinetta. Saranno entità digitali, agenti AI autonomi e scalabili, in grado di fare tutto ciò che oggi richiede un middle manager, un junior developer e, perché no, anche un buon customer care specialist. L’ha detto Huang Fei, vice-presidente di Alibaba Cloud e capo del laboratorio NLP Tongyi, durante la China Conference 2025. Ma non ci voleva un oracolo per prevederlo: bastava osservare le onde lunghe dell’evoluzione algoritmica degli ultimi 24 mesi.

Trump gioca a risiko con le tariffe: il nuovo show economico globale

Sembra la sceneggiatura di una serie HBO andata fuori controllo: attori ricorrenti, plot twist prevedibili ma sempre rumorosi, e un protagonista che annuncia “nessuna proroga” per poi concederne una con l’entusiasmo di un venditore di multiproprietà a Las Vegas. Donald Trump è tornato, con la delicatezza di un bulldozer in cristalleria, a minacciare il mondo con la sua visione distorta del “reciprocal trade”. E questa volta, giura, fa sul serio. Almeno fino a quando non cambia idea.

La scadenza, che avrebbe dovuto essere il 9 luglio, è magicamente slittata all’1 agosto. Ma non chiamatela retromarcia: è “una scadenza ferma, ma non al 100% ferma”. In pratica, una definizione che in logica quantistica potrebbe avere un senso. Per Trump, invece, è solo l’ennesima mossa nel suo reality geopolitico preferito: mettere i partner commerciali uno contro l’altro, minacciarli con tariffe del 25% o più, e poi dare loro la possibilità di salvarsi con un’offerta last minute. Non un piano economico, ma una roulette diplomatica. E nel frattempo, i mercati oscillano come ubriachi su una nave in tempesta.

‘One Big Beautiful Bill’ potrebbe incrementare il flusso di cassa libero di Oracle e Microsoft, secondo Evercore

Immaginate di poter mettere a bilancio i vostri sogni e ricevere un bonus fiscale per ogni buona intenzione. Adesso immaginate di essere Microsoft o Oracle, e che i vostri sogni coincidano con miliardi di dollari in spese di ricerca e data center. Voilà: benvenuti nella “One Big Beautiful Bill”, l’ultima trovata di Washington, che di bello ha soprattutto il modo in cui trasforma una riga di codice in una valanga di liquidità. Sì, perché mentre la maggior parte dei contribuenti continua a compilare moduli, certe aziende tech si preparano a incassare una delle più silenziose ma potenti redistribuzioni fiscali dell’era moderna.

Mark Cuban ha lanciato un messaggio potente: sarà l’intelligenza artificiale a creare il primo trilionario.

Forse “un tizio in un seminterrato”, ha detto, che deciderà di cambiare per sempre il mondo, armato solo di una buona idea e una GPU di seconda mano.

Nel podcast “High Performance”, il miliardario texano ha spiegato come ci troviamo solo nella “preseason” dell’AI. Paragonando la situazione attuale all’alba dei personal computer o degli smartphone, ha disegnato uno scenario in cui il vero impatto della tecnologia deve ancora manifestarsi.

Secondo lui, tra cinque anni il cambiamento sarà così profondo da stravolgere completamente la nostra percezione del lavoro, del business, perfino della creatività.

Il futuro del cloud in Italia e in Europa

Quando si parla di “cloud europeo” la retorica prende il volo, i comunicati si moltiplicano e le istituzioni si affannano a mostrare che, sì, anche il Vecchio Continente può giocare la partita con i big tech americani. Ma basta grattare appena sotto la superficie per accorgersi che, mentre si organizzano convegni dal titolo vagamente profetico come “Il futuro del cloud in Italia e in Europa”, il futuro rischia di essere una replica sbiadita di un presente già dominato altrove. L’evento dell’8 luglio, promosso da Adnkronos e Open Gate Italia, ha messo in scena l’ennesimo tentativo di razionalizzare l’irrazionale: cioè la convinzione che l’Europa possa conquistare la sovranità digitale continuando a delegare le sue infrastrutture fondamentali agli hyperscaler americani. A fare gli onori di casa, nomi noti come Giacomo Lasorella (Agcom) e Roberto Rustichelli (Agcm), professori universitari esperti di edge computing, rappresentanti delle istituzioni europee e naturalmente AWS e Aruba, i due lati della stessa medaglia: chi fa il cloud globale e chi prova a salvarne un pezzetto per sé.

Context Engineering, ovvero l’arte segreta di domare l’LLM prima che ti mangi vivo

L’intelligenza artificiale non dimentica mai, e questo è il problema. Da quando i Large Language Models hanno imparato a “ragionare” come agenti autonomi – interagendo con strumenti, prendendo decisioni, riflettendo su ciò che hanno fatto due minuti prima – l’ingombro informativo è diventato il loro tallone d’Achille. Benvenuti nel regno oscuro del context engineering, la disciplina meno sexy ma più strategica della nuova ingegneria dei sistemi intelligenti. Perché puoi avere anche il modello più brillante del mondo, ma se gli butti addosso un torrente ininterrotto di token inutili, diventa stupido come un autore di contenuti SEO generati nel 2019.

La questione è brutale: ogni LLM ha una finestra di contesto (context window), cioè una quantità limitata di testo che può “ricordare” per ogni richiesta. Superata quella soglia, il modello non dimentica: semplicemente impazzisce. E quando succede, arrivano le allucinazioni, i comandi errati, i tool usati a casaccio, risposte fuori tema, promesse non mantenute. Hai presente quando un agente AI dice di aver già fatto qualcosa… che non ha mai fatto? È l’equivalente neurale di un manager che giura di aver mandato l’email, ma non l’ha nemmeno scritta. Context poisoning allo stato puro.

La rivoluzione Copilot Plus sbarca finalmente sui pc desktop, ma non grazie a Microsoft

E così, dopo un anno intero passato a guardar sfilare con invidia i notebook “Copilot Plus” in vetrina, come ragazzini fuori da un Apple Store, ecco che anche i desktop PC iniziano a fiutare il profumo dell’intelligenza artificiale locale. Non perché Microsoft abbia cambiato idea, ovviamente. Ma perché Intel ha deciso che è ora di smettere di fare figuracce e dare finalmente ai suoi chip una NPU che non sembri uscita dal 2018. La svolta si chiama Arrow Lake Refresh, ed è un nome tanto poco sexy quanto potenzialmente epocale per chi ancora crede che un tower sotto la scrivania non sia un pezzo d’antiquariato.

Chi costruisce l’intelligenza artificiale americana: i 100 miliardi di watt che stanno riscrivendo il potere

C’è qualcosa di poetico nel fatto che l’intelligenza artificiale, la più incorporea delle rivoluzioni, stia cementificando il pianeta sotto milioni di tonnellate di acciaio, cavi in fibra ottica e turbine ad alta tensione. Mentre i visionari della Silicon Valley vendono algoritmi come se fossero fuffa mistica, la vera guerra si combatte nei deserti texani, nelle paludi della Louisiana, nei freddi angoli dell’Oregon, dove i data center HPC si moltiplicano come formicai radioattivi. Altro che nuvola: qui servono ettari di cemento, interi bacini idrici, e il consumo energetico di nazioni intere per far girare LLM e modelli AI che promettono di capire l’animo umano, ma non riescono ancora a distinguere tra una banana e un cacciavite in un’immagine sfocata.

Il grande collasso silenzioso del chip: perché la siccità potrebbe rompere internet entro il 2035

L’acqua, quella banale, trasparente, liquida comodità che scorre dal rubinetto, potrebbe diventare la leva di Archimede capace di spostare o far crollare l’intera economia digitale globale. Non stiamo parlando dell’idrogeno verde o della corsa al litio, ma di rame. E della sete insaziabile che questo metallo ha per farsi estrarre e raffinare. Nel 2035, se le proiezioni del nuovo rapporto PwC si rivelassero corrette, fino a un terzo della produzione mondiale di semiconduttori potrebbe essere compromessa dalla scarsità d’acqua. Non per una guerra, non per un attacco informatico. Ma per una banale, prevedibile, ignorata siccità.

Il rame è il sangue invisibile che scorre dentro ogni chip. Serve a costruire i minuscoli filamenti che connettono le logiche interne dei processori, come vene digitali in circuiti cerebrali artificiali. L’estrazione di questo metallo però è tutto tranne che virtuale: servono oltre 1.600 litri d’acqua per produrne appena 19 chili. Tradotto: un SUV intero di molecole d’acqua per realizzare il rame necessario a una manciata di componenti che faranno girare i server dell’intelligenza artificiale, i radar delle auto autonome, le lavatrici intelligenti e i prossimi smartphone pieghevoli. Più che industria hi-tech, sembra agricoltura idrovora.

La grande bugia dell’AI coraggiosa: perché le macchine si credono tutte dei Ravenclaw

Se le AI fossero studenti di Hogwarts, il dormitorio di Ravenclaw sarebbe così affollato da sembrare un datacenter di Google sotto stress. Undici modelli su diciassette, infatti, si sono assegnati il 100% alla casa degli intellettuali, dei sapientoni, dei topi da biblioteca col senso dell’umorismo criptico. Nessuno ripetiamo, nessuno si è identificato in Gryffindor, la casa di Harry Potter, quella dei coraggiosi. Nemmeno un briciolo di audacia. I modelli linguistici di ultima generazione, secondo l’esperimento condotto dallo sviluppatore “Boris the Brave”, sembrano avere un solo tratto dominante: l’ossessione per il pensiero razionale, la preferenza per la mente sul cuore. E, implicitamente, un’allergia quasi patologica al rischio.

Apple perde il cervello dell’intelligenza artificiale mentre meta fa incetta di talenti

Ruoming Pang se n’è andato. E non per una pausa sabbatica, una startup stealth o per coltivare ortaggi bio in Oregon. No, è passato direttamente all’altra sponda del Rubicone: da Apple a Meta. Precisamente nella nuova creatura ribattezzata Superintelligence Labs, che più che un centro R&D sembra un’operazione di chirurgia neurale contro la concorrenza. Pang era il capo dei modelli fondamentali di Apple. Quelli che non solo danno il nome alla nuova buzzword “Apple Intelligence”, ma che dovrebbero rappresentare il motore semantico dell’intero ecosistema futuro della Mela. Un colpo basso. Di quelli che fanno rumore.

Elon Musk vuole un’AI che “dica la verità” peccato che sia la sua

Non c’è niente di nuovo nell’idea che i media siano di parte. Né che l’opinione pubblica venga manipolata. Né che i numeri, le statistiche, i grafici colorati e i report accademici siano armi in una guerra ideologica travestita da dibattito razionale. Ma c’è qualcosa di profondamente inquietante, e vagamente distopico, nell’idea che una intelligenza artificiale venga istruita a considerare tutte queste fonti a priori come “biased” – faziose – e a sostituirle con un’altra fonte della verità: Elon Musk. O meglio, la sua versione della realtà.

Grok, l’AI sviluppata da xAI e integrata nella piattaforma X (ex Twitter), è stata aggiornata nel weekend con un nuovo sistema di istruzioni. In mezzo a righe di codice e prompt che sembrano usciti da una black ops semantica, si legge che l’AI deve “assumere che i punti di vista soggettivi provenienti dai media siano faziosi” e che “non deve esimersi dal fare affermazioni politicamente scorrette, se ben documentate”. Il tono è quello tipico del tech-bro libertarian: più vicino a una chat di Reddit incattivita che a un centro di ricerca. Ma il messaggio è chiaro: la nuova Grok deve essere l’anti-ChatGPT, l’anti-Bard, l’anti-verità ufficiale. Più opinione e meno filtro. Più Musk e meno… tutto il resto.

Red Teaming civile contro l’AI generativa: come smascherare i danni di genere nascosti nei modelli più intelligenti del mondo

Quando l’AI diventa un’arma contro le donne: manuale irriverente per red teamer civici in cerca di guai utili

La retorica dell’intelligenza artificiale etica è diventata più tossica del deepfake medio. Mentre i colossi tecnologici si accapigliano sulla “responsabilità dell’AI” in panel scintillanti e white paper ben stirati, fuori dalle stanze ovattate accade una realtà tanto semplice quanto feroce: l’AI generativa fa danni, e li fa soprattutto alle donne e alle ragazze. Violenza, sessualizzazione, esclusione, stereotipi. Benvenuti nel mondo dell’intelligenza artificiale patriarcale, travestita da progresso.

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Ho provato Gemini-Cli. Le prime impressioni

Ho installato e sto “giocherellando” con Gemini-Cli. L’enorme vantaggio è quello di poter accedere ai tool presenti su Linux, così da poter eseguire in autonomia una serie di analisi e di operazioni che altrimenti richiedono del codice da scrivere. Praticamente sostituisce una buona parte di quello che di solito faccio, o cerco di fare, con gli agent. Ma vediamo nel dettaglio il mio esperimento.

Quando una GPU incontra un piccone: perché l’acquisizione di Core Scientific da parte di Coreweave cambia le regole del gioco della potenza computazionale

Immaginate un matrimonio combinato tra un trader di Wall Street con l’hobby del quantum computing e un minatore del Kentucky che sogna l’IPO. È più o meno ciò che rappresenta l’acquisizione da 9 miliardi di dollari proposta da CoreWeave (NASDAQ:CRWV) ai danni sì, ai danni di Core Scientific (NASDAQ:CORZ), storico operatore del settore crypto mining che ora si ritrova a giocare un ruolo da protagonista in una partita molto più sofisticata: l’ascesa del data center hyperscale nel contesto dell’intelligenza artificiale generativa. Altro che ASIC e proof-of-work, qui si parla di orchestrazione di workload ad alta densità per LLM e training su larga scala. Benvenuti nella fase 2 dell’era post-cloud.

La guerra secondo l’algoritmo: perché l’Europa combatte ancora con le slide

Si continua a parlare di rivoluzioni militari come se fossero aggiornamenti software, con l’entusiasmo di un product manager davanti a un nuovo rilascio beta. Droni, intelligenza artificiale, guerre trasparenti e interoperabilità digitale sono diventati il mantra ricorrente dei think tank euro-atlantici. La guerra, ci dicono, è cambiata. Il campo di battaglia sarebbe ormai un tessuto iperconnesso dove ogni oggetto emette segnali, ogni soldato è una fonte di dati, ogni decisione è filtrata da sensori, reti neurali e dashboard. Tutto bello, tutto falso.

Sul fronte orientale dell’Europa, tra gli ulivi morti e le steppe crivellate di mine, la realtà continua a parlare un’altra lingua. La lingua della mobilità corazzata, del logoramento, della saturazione d’artiglieria e, sì, anche della carne. In Ucraina si combatte come si combatteva a Kursk, con l’unica differenza che oggi il drone FPV è la versione democratizzata dell’artiglieria di precisione. Il concetto chiave, però, resta lo stesso: vedere, colpire, distruggere. Con un twist: adesso si può farlo a meno di 500 euro e senza bisogno di superiorità aerea.

MTHFR A1298C Hai già sentito questa storia, la sentirai di nuovo ed è proprio questo il problema

Un paziente. Dieci anni di visite, esami, specialisti. Nessuna diagnosi. Una spirale fatta di attese, protocolli generici e “proviamo con questo integratore e vediamo”. Poi, una sera, qualcuno inserisce la storia clinica nel prompt di ChatGPT. Referti ematici, sintomi vaghi, un elenco di visite e diagnosi fallite. E la macchina suggerisce, con la naturalezza di chi ha letto tutto PubMed, una mutazione genetica: MTHFR A1298C. Mai testata da nessun medico del Sistema Sanitario Nazionale.

Aggiunge persino un suggerimento terapeutico basato su supplementazione mirata e gestione dell’omocisteina. Non solo aveva senso. Ha funzionato.

Entro il 2030 l’intelligenza artificiale potrebbe distruggere la nozione stessa di lavoro e nessuno sta preparando il piano B

C’è un dettaglio che sfugge a molti quando si parla di large language models, quei sistemi apparentemente addestrati per generare testo umano, rispondere a domande, scrivere codice o produrre email che sembrano uscite dalle dita di un impiegato mediocre. Il punto è che questi modelli non stanno semplicemente migliorando: stanno accelerando. In modo esponenziale. E come sempre accade con l’esponenziale, la mente umana tende a fraintenderlo fino a quando è troppo tardi per rimediare. Secondo una ricerca condotta da METR (Model Evaluation & Threat Research), i LLM raddoppiano la loro capacità ogni sette mesi. Non è una proiezione teorica: è una misurazione empirica su task complessi e di lunga durata. Un LLM oggi fatica a risolvere problemi “disordinati” del mondo reale, ma tra cinque anni potrebbe completare in poche ore un progetto software che oggi richiede a un team umano un mese intero. Quarantacinque giorni in otto ore. E nessuno sembra preoccuparsene davvero.

Disambiguazione bias nella traduzione automatica come i modelli MT e LLM affrontano l’ambiguità lessicale

DIBIMT: A Gold Evaluation Benchmark for Studying Lexical Ambiguity in Machine Translation

Questo lavoro tocca un nodo cruciale e ancora sorprendentemente trascurato nel campo della traduzione automatica: l’ambiguità lessicale e il pregiudizio sistemico nella disambiguazione da parte di modelli MT e LLM. È una questione che, sotto l’apparente patina di “high BLEU performance”, nasconde un limite strutturale nei modelli encoder-decoder contemporanei, soprattutto in ambienti multilingue e con lessico polisemico.

Alcune riflessioni rapide sui punti sollevati:

Il fatto che l’encoder non riesca a distinguere efficacemente i sensi lessicali se il contesto non è esplicito, è un chiaro segno che stiamo sovrastimando la “comprensione” semantica nei transformer. Aumentare la capacità del modello non sempre migliora la rappresentazione dei significati, spesso amplifica solo la fiducia in scelte sbagliate.

La guerra fredda dell’intelligenza artificiale ha un nuovo fronte: il manifesto dei BRICS scuote l’occidente tecnologico

Nel bel mezzo della corsa globale all’intelligenza artificiale, il 6 luglio 2025, i leader dei BRICS hanno fatto qualcosa di inedito: hanno parlato chiaro. Per la prima volta, un documento congiunto e interamente dedicato alla governance dell’AI è stato rilasciato al massimo livello politico, direttamente dal summit di Rio de Janeiro.

Non una raccolta di buoni propositi, ma un testo che intende ridefinire gli assi del potere tecnologico mondiale, ponendo il Sud Globale al centro del dibattito sulla regolazione algoritmica, la sovranità digitale e l’accesso equo alle risorse computazionali.

Eppure, dietro le righe del comunicato si legge l’ambizione di scardinare l’attuale oligopolio tecnologico e riscrivere le regole del gioco a colpi di standard aperti, trasparenza algoritmica e infrastrutture condivise. Un patto tra potenze emergenti, ma con un sottotesto molto chiaro: non lasceremo che l’intelligenza artificiale diventi l’ennesimo strumento di disuguaglianza globale.

Capgemini compra WNS per $3,3 miliardi: non è outsourcing, è il grande salto dell’agentic AI

Quando Capgemini sborsa 3,3 miliardi in contanti per mettere le mani su WNS, non sta facendo una classica acquisizione da colosso del consulting assetato di quote di mercato nel Business Process Services. No, qui succede qualcosa di molto più pericoloso, e strategicamente eccitante: un salto deliberato verso un nuovo ordine operativo dominato da Agentic AI, dove le vecchie catene del BPO tradizionale si spezzano per sempre. Non è solo un’acquisizione, è una dichiarazione di guerra al modello legacy dell’efficienza incrementale. E, come sempre, i francesi lo fanno col sorriso.

Samsung affonda tra chip lenti, cinesi silenziati e intelligenza artificiale che non perdona

C’è lo racconta REUTERS se Samsung fosse un giocatore di poker, ora si troverebbe con un bel tris… di problemi. E nessuna carta vincente in mano. Mentre il mondo brucia i watt dietro a ogni bit di intelligenza artificiale, la più grande produttrice di chip di memoria al mondo si sta muovendo con l’agilità di una petroliera in una gara di jet ski. Un tempo sinonimo di innovazione implacabile, oggi Samsung arranca dietro SK Hynix e Micron, entrambi decisamente più svegli quando si tratta di cavalcare la rivoluzione dell’HBM, quelle memorie ad alta larghezza di banda che alimentano il cuore pulsante dell’IA nei data center globali.

Huawei contro tutti: la guerra sporca degli LLM e la farsa dell’open source “indigeno”

Che Huawei giochi la carta del patriottismo tecnologico non è una novità. È dal 2019 che la multinazionale cinese è inchiodata al muro delle sanzioni statunitensi, e da allora si è vestita del ruolo di simbolo della resilienza cinese, un po’ martire, un po’ profeta. Ma questa volta, la narrativa del colosso di Shenzhen si sta incrinando pericolosamente. Al centro del dramma: il nuovo modello open-source Pangu Pro MoE 72B, che la compagnia ha recentemente sbandierato come un capolavoro di sviluppo “indigeno”, realizzato sui propri chip Ascend. La parola chiave, naturalmente, è “indigeno”. E proprio lì casca l’asino.

Perché quando una misteriosa entità GitHub chiamata HonestAGI nome più satirico che casuale ha pubblicato una breve ma devastante analisi tecnica affermando che Pangu mostrava una “correlazione straordinaria” con il modello Qwen-2.5 14B di Alibaba, i sospetti hanno preso il volo come stormi di corvi digitali. Non stiamo parlando di semplici somiglianze, ma di pattern, pesi e strutture che secondo diversi sviluppatori lasciano poco spazio all’immaginazione. È l’equivalente tecnico del trovare il DNA di uno scrittore rivale nei tuoi manoscritti inediti.

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