Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Autore: Alessandra Innocenti Pagina 1 di 22

Rivista.AI Academy Chi vince con la GenAI non ha più bisogno di powerpoint

C’è una cosa che il mercato non ti perdona mai: essere teorico. La GenAI non è una filosofia, non è una mission, non è nemmeno una tecnologia da pitch. È una leva. Come una leva di Archimede, serve a spostare qualcosa. E se non la usi con forza e precisione, ti si spezza in mano. Il problema? La maggior parte dei professionisti oggi parla di intelligenza artificiale come se stessero leggendo il menu di un ristorante fusion. Parole vuote. Acronomi messi in fila per impressionare board annoiate. Tutti sembrano sapere cosa sia un LLM, pochi sanno davvero come si mette al lavoro.

Google, che ha i difetti delle grandi potenze ma anche il dono della concretezza chirurgica, ha fatto una cosa molto semplice e quindi molto potente: ha messo l’accesso alla GenAI direttamente nelle mani di chi vuole costruire, non solo parlare. Si chiama Google Cloud Skills Boost, è gratuito, certificato, e prende a schiaffi il vecchio paradigma dell’apprendimento passivo. Qui non si guardano slide, si scrive codice. Non si leggono whitepaper, si scrivono prompt. E non si simula, si costruisce. Il tutto dentro la console vera di Google Cloud, non in un simulatore da fiera della didattica.

Wimbledon ha licenziato l’umanità: l’intelligenza artificiale fischia, sbaglia e zittisce anche i sordi

C’era una volta il tennis, quello con i giudici di linea in giacca e cravatta, gli occhi fissi sulla riga e il dito puntato con autorità olimpica. Ora c’è un algoritmo che osserva tutto, non sbatte mai le palpebre e fa errori con la freddezza di un automa convinto di avere ragione. Sì, Wimbledon ha deciso che l’intelligenza artificiale è più elegante dell’occhio umano. Ma quando l’eleganza scivola sull’erba sacra del Centre Court, il rumore che fa è assordante. Anche se a non sentirlo, ironia del caso, sono proprio i giocatori sordi.

Red Teaming civile contro l’AI generativa: come smascherare i danni di genere nascosti nei modelli più intelligenti del mondo

Quando l’AI diventa un’arma contro le donne: manuale irriverente per red teamer civici in cerca di guai utili

La retorica dell’intelligenza artificiale etica è diventata più tossica del deepfake medio. Mentre i colossi tecnologici si accapigliano sulla “responsabilità dell’AI” in panel scintillanti e white paper ben stirati, fuori dalle stanze ovattate accade una realtà tanto semplice quanto feroce: l’AI generativa fa danni, e li fa soprattutto alle donne e alle ragazze. Violenza, sessualizzazione, esclusione, stereotipi. Benvenuti nel mondo dell’intelligenza artificiale patriarcale, travestita da progresso.

Disambiguazione bias nella traduzione automatica come i modelli MT e LLM affrontano l’ambiguità lessicale

DIBIMT: A Gold Evaluation Benchmark for Studying Lexical Ambiguity in Machine Translation

Questo lavoro tocca un nodo cruciale e ancora sorprendentemente trascurato nel campo della traduzione automatica: l’ambiguità lessicale e il pregiudizio sistemico nella disambiguazione da parte di modelli MT e LLM. È una questione che, sotto l’apparente patina di “high BLEU performance”, nasconde un limite strutturale nei modelli encoder-decoder contemporanei, soprattutto in ambienti multilingue e con lessico polisemico.

Alcune riflessioni rapide sui punti sollevati:

Il fatto che l’encoder non riesca a distinguere efficacemente i sensi lessicali se il contesto non è esplicito, è un chiaro segno che stiamo sovrastimando la “comprensione” semantica nei transformer. Aumentare la capacità del modello non sempre migliora la rappresentazione dei significati, spesso amplifica solo la fiducia in scelte sbagliate.

Mercato del lavoro a Giugno: tra segnali positivi e avvertimenti inquietanti

Il mercato del lavoro statunitense ha mostrato una resilienza inaspettata a giugno, con l’aggiunta di 147.000 posti di lavoro, superando le previsioni degli economisti che indicavano un incremento di 110.000 unità. Il tasso di disoccupazione è sceso al 4,1%, il livello più basso da febbraio 2025. Tuttavia, sotto la superficie di questi numeri positivi, emergono segnali di rallentamento, soprattutto nel settore privato, dove la crescita dell’occupazione è stata limitata a 74.000 nuovi posti, il dato più basso da ottobre 2024. Questo rallentamento è particolarmente evidente nei settori della manifattura e dei servizi professionali e aziendali, dove l’occupazione è rimasta pressoché stabile o in calo.

Un altro aspetto preoccupante riguarda la partecipazione al mercato del lavoro, che ha visto una diminuzione tra i lavoratori nati all’estero, probabilmente a causa delle politiche migratorie più restrittive adottate dall’amministrazione Trump. Questo calo potrebbe influenzare la disponibilità di manodopera in alcuni settori e avere implicazioni a lungo termine per la crescita economica.

L’illusione della creator economy, la realtà delle startup AI e il gioco truccato del marketing sociale

C’era una volta, in un tempo non così lontano, una sfilza di startup che si definivano parte della “creator economy”. L’idea sembrava seducente: democratizzare il talento, monetizzare la passione, scalare i follower in equity. Eppure, come spesso accade nella Silicon Valley delle illusioni distribuite in pitch deck colorati, il secondo trimestre del 2025 ha portato un brusco risveglio. I finanziamenti per queste startup da creator sono crollati, tanto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quanto rispetto ai primi tre mesi del 2025. Un raffreddamento secco, senza troppe cerimonie.

Ma la festa non è finita per tutti. Anzi, qualcuno ha appena ordinato champagne. Le startup focalizzate sull’intelligenza artificiale e sul marketing sociale stanno vedendo i rubinetti degli investimenti aprirsi con la stessa generosità con cui un algoritmo di TikTok spalma visibilità su un video virale di un cucciolo con gli occhiali. Più di 500 milioni di dollari sono stati versati in questa nicchia, solo nell’ultimo trimestre. E al centro di questo nuovo flusso c’è un nome dal sapore vagamente zuccherino ma dalla visione brutalmente pragmatica: Nectar Social.

Altro che creatività, l’intelligenza artificiale sta invadendo la musica come un virus silenzioso

Altro che mestiere, altro che sudore, estasi o ispirazione notturna. Quello che accade oggi nelle profondità delle piattaforme di streaming musicale non è un’evoluzione, ma un’occupazione sistematica. Secondo i dati più recenti forniti da Deezer, una delle piattaforme francesi più rilevanti ma con un occhio sempre più rivolto all’ecosistema globale, circa il 18% delle canzoni caricate ogni giorno sarebbe interamente generato da software di intelligenza artificiale. Tradotto in termini brutali: 20.000 brani al giorno, sfornati senza alcuna interazione umana, partoriti da algoritmi addestrati su milioni di opere preesistenti. Siamo passati dalla penna all’algoritmo, dalla melodia al prompt.

Mentre Spotify e Apple Music si tengono diplomaticamente alla larga dal pronunciare la parola “etichettatura”, Deezer ha deciso di affrontare il problema frontalmente, iniziando a taggare i brani generati artificialmente. Non tanto per colpevolizzare, ci tengono a dire, ma per “garantire trasparenza”. Il CEO Alexis Lanternier, in perfetto stile da comunicato aziendale, ha dichiarato che “l’intelligenza artificiale non è intrinsecamente positiva o negativa”, ma che serve “un approccio responsabile per mantenere la fiducia tra pubblico e industria”. Una fiducia che, è bene dirlo, è già sull’orlo di una crisi identitaria.

Robot concierge o incubo futurista l’illusione del volto umano nel check-in alberghiero

Quando pensiamo ai robot negli hotel, l’immagine romantica è quella di un androide impeccabile che ci accoglie con un sorriso perfetto, senza mai sbagliare un nome o una prenotazione. La realtà però è meno hollywoodiana e molto più inquietante. Il caso emblematico è il giapponese Henn-na Hotel, noto come il “strano hotel”, dove centinaia di robot umanoidi hanno tentato di sostituire il personale umano già dal 2015. L’esperimento ha avuto un successo di pubblico e stampa solo inizialmente, per poi scontrarsi con la dura verità del cosiddetto “uncanny valley”: quell’effetto straniante, quasi disturbante, che si prova di fronte a macchine che somigliano troppo agli esseri umani ma che falliscono nell’imitarne con precisione ogni sfumatura.

Il video virale su TikTok, con una donna che si allontana ridendo nervosamente davanti a un robot dal volto umanoide, non è solo un momento comico o una curiosità da social. È un sintomo di una paura più profonda, che attraversa la psiche collettiva: non sono i robot in sé a spaventare, ma quel loro apparire come copie sbiadite di noi, senza anima, senza calore, un’imitazione che innesca un senso di minaccia più che di benvenuto.

Quando Hollywood sogna algoritmi: l’illusione dell’intelligenza artificiale come rivoluzione estetica

C’è qualcosa di profondamente inquietante nell’accendere uno schermo e ritrovarsi bombardati da video “deepfake” di disastri naturali inesistenti, animali che suonano il pianoforte con la precisione di un concertista russo, o paesaggi surreali che sembrano il peggior incubo di uno studente di Blender al primo anno. Tutto generato da intelligenza artificiale. Tutto incredibilmente brutto. Eppure, lì sotto, a fare da coro di sirene digitali, trovi centinaia, spesso migliaia di commenti che proclamano: questa è la nuova arte. Il nuovo Rinascimento, ma con più GPU e meno Leonardo.

Eccoci di nuovo: la Silicon Valley, in piena esaltazione messianica, ci dice che l’intelligenza artificiale generativa cambierà tutto. Hollywood morirà, sostituita da prompt testuali e diffusione latente. I film verranno “scritti” in una riga, girati da modelli e renderizzati in 4K mentre ci prepariamo il caffè. Sembra una trama scritta da un algoritmo. In effetti, lo è. La realtà però, come sempre, è meno glamour: la maggior parte di questi video sembrano il risultato di un’interferenza su un vecchio televisore analogico, con l’estetica confusa di una copia corrotta di The Sims e il ritmo narrativo di un video TikTok da tre secondi.

McKinsey & Company la piattaforma è il messaggio: perché l’AI generativa fallisce quasi sempre in azienda

Enterprises deploying gen AI at scale follow a common reference architecture.

C’è un elefante nella stanza, e ha la forma di una piattaforma legacy impolverata, circondata da MVP patchwork che fingono di essere innovazione. Mentre le direzioni IT si affannano a dimostrare che l’intelligenza artificiale generativa non è solo una demo ben fatta, McKinsey & Company ha fatto quello che pochi avevano il coraggio (o il cinismo) di fare: ha analizzato oltre 150 deployment GenAI in ambienti enterprise. Non sandbox. Non hackathon. Ambienti reali, con budget veri e KPI spietati. Il risultato? Una verità brutale, ma liberatoria. Il problema non è l’LLM. È la tua piattaforma.

Luciano Floridi: La filosofia dell’informazione tra ignoranza, insipienza e quel fastidioso bisogno di sembrare intelligenti

Se non sai neanche cosa chiedere, sei fregato

C’è un momento nella vita – se sei fortunato – in cui ti accorgi che non sai. Ma ancor prima ce n’è uno più insidioso: quello in cui non ti accorgi nemmeno che dovresti chiedere. È lì che abita l’ignoranza vera, quella spessa come la nebbia padana, impenetrabile, comoda. Ed è lì che si apre il varco per un tema scottante e poco glamour: l’informazione.

Luciano Floridi, filosofo gentile con l’acume da bisturi, lo spiega con il garbo di chi sa di toccare un nervo scoperto. L’informazione, dice, è stata la Cenerentola della filosofia: sfruttata, marginalizzata, data per scontata. Eppure, senza, la festa non comincia nemmeno. Né quella epistemica né quella sociale.

Il futuro della moda ha un problema con i pantaloni

Chiariamo: Doppl is an early experimental app from Google Labs that lets you try on any look and explore your style.

A quanto pare, nel futuro della moda basta un selfie per cambiare guardaroba. O almeno così giura Google, che con la nuova app Doppl (Solo US) ha deciso che provarsi un outfit non richiede più uno specchio, né tanto meno un camerino. Serve solo un po’ di luce, una posa dignitosa e l’umiltà di accettare che l’intelligenza artificiale ha ancora difficoltà a distinguere un paio di jeans da una mutanda da palestra.

M3GAN 2.0 è un aggiornamento solo di nome

Nel sequel di M3GAN , Universal e Blumhouse fanno quello che ci si aspetta da due aziende che hanno appena incassato 180 milioni di dollari da un investimento di 12: riprovano a moltiplicare la formula, ci mettono più soldi, più esplosioni, più AI, e un pizzico in più di serietà. Il problema? Hanno dimenticato di aggiornare l’anima. M3GAN 2.0 è uno di quei sequel che sembrano convinti che basti raddoppiare il budget per replicare il successo. Ma come ci ricorda Variety, “The original had heart beneath the horror — the sequel has hardware.” È come se qualcuno avesse messo Black Mirror, Terminator 2 e un algoritmo per sceneggiature in un frullatore e avesse premuto il pulsante “military-grade puree”.

Caffè al bar dei Daini con Masayoshi, Palantir e gli altri pazzi dell’intelligenza artificiale

Dicono che l’intelligenza artificiale stia entrando nella sua “età dell’oro”. Ma chiunque abbia fatto un salto al bar dei Daini questa mattina, sa benissimo che siamo piuttosto nel pieno di un’orgia cyberpunk tra illusioni di onnipotenza e IPO psichedeliche. La macchina del caffè è rotta, come al solito, ma le chiacchiere scorrono dense. Al bancone, Masayoshi Son profetizza che SoftBank guiderà la corsa all’intelligenza artificiale super intelligente nel giro di dieci anni. Ha l’aria di uno che ha già visto il futuro e ci ha anche fatto uno swap su derivati asiatici. Ma mentre parla di ASI (Artificial Super Intelligence) con lo stesso fervore di un mistico dell’era Meiji, qualcuno lo guarda con la stessa perplessità che si riserva a chi mette l’ananas sulla pizza.

Discover Babelscape’s technology in action

La demo interattiva di Babelscape è online! Ora puoi provare direttamente nel browser la nostra tecnologia NLP multilingue, semantica e spiegabile, senza registrazione. 👉 QUI

Un portfolio live pensato per sviluppatori, linguisti, ricercatori e curiosi dell’AI. Vedere per credere.

Antonio Neri HPE: Benvenuti nell’ AI ERA Discovery 2025

La quiete è finita: ora HPE fa sul serio

Las Vegas, giugno 2025. Nella città delle illusioni, dei casinò e delle luci abbaglianti, il CEO di Hewlett Packard Enterprise Antonio Neri ha deciso di giocare una partita diversa. Nessuna roulette, nessun bluff: solo un keynote tagliente come un chip da data center, capace di smontare le facili narrazioni sulla trasformazione digitale per parlare di ciò che davvero conta. Ambizione.

Scrivere leggi con l’intelligenza artificiale: il codice non è più di Hammurabi

AI-based solutions for legislative drafting in the EU

C’è qualcosa di paradossale – e vagamente profetico – nell’idea che un algoritmo possa aiutare l’uomo a scrivere le regole dell’algoritmo stesso. Il cane che si morde la coda? Il legislatore che si scrive da solo? La realtà, come spesso accade con l’AI, è meno fantascientifica e più terribilmente pragmatica. Siamo entrati nel territorio dove la scrittura normativa non è più esclusiva prerogativa dell’umano giurista, ma si apre al contributo, strutturato e sempre più performante, delle macchine. E non si tratta di un futuribile inquietante, ma di un progetto ben avviato dalla Commissione europea, che nel report “AI-based solutions for legislative drafting in the EU” delinea una roadmap per trasformare l’atto di scrivere norme in un processo ibrido, assistito, aumentato. Altro che Lex Romana: qui si parla di Augmented Lex Europaea.

La strategia di OpenAI e Jony Ive tra mistero, guerra legale e attesa spasmodica

Nel panorama ipercompetitivo dell’innovazione tecnologica, la reputazione di un brand non si costruisce più soltanto sul prodotto finale, ma su un raffinato equilibrio di narrazione, silenzi strategici e mosse legali calibrate. L’ultimo caso che coinvolge OpenAI e il team io di Jony Ive, costretto a fare marcia indietro sulle pubbliche dichiarazioni del suo nuovo dispositivo AI a seguito di una causa per marchio con la startup Iyo, è un perfetto esempio di questo gioco al massacro della percezione pubblica.

Il cuore pulsante di questa strategia è una negazione tattica. OpenAI e io dichiarano che il primo prodotto non sarà un dispositivo “in-ear” né un wearable, pur avendo passato mesi a sondare proprio quel terreno, comprando decine di cuffie, auricolari e apparecchi acustici da diverse aziende, e considerando addirittura la scansione 3D delle orecchie umane per studiarne l’ergonomia. La contraddizione tra ciò che viene detto e ciò che effettivamente si fa non è casuale: serve a mantenere una cortina di fumo, a non rivelare troppo presto le carte in mano in un settore dove ogni informazione è oro, e dove anticipare i tempi può voler dire perdere il vantaggio competitivo.

Heygen clona te stesso in 30 secondi e apre il vaso di pandora dell’identità digitale

HeyGen ha deciso di alzare l’asticella. O, a seconda dei punti di vista, di aprire ufficialmente la stagione delle deepfake di massa. Il suo nuovo Ai Studio è un salto quantico rispetto alla solita offerta da avatar precotti e sintetici. Stavolta puoi mettere online te stesso, o meglio una tua copia digitale inquietantemente precisa: voce, mimica, microespressioni, persino le esitazioni e i sospiri. Bastano una singola foto e trenta secondi di audio. E via, il tuo gemello digitale è pronto per presentazioni aziendali, messaggi personalizzati o tutorial da vendere al chilo su qualche piattaforma di automazione.

UK approva garfield.ai: il primo avvocato riconosciuto con intelligenza artificiale scuote il mondo legale

Garfield.ai non è un cartone animato, ma potrebbe rivoluzionare il mondo legale. la SRA l’ente regolatore dei solicitor in Inghilterra e Galles ha appena autorizzato Garfield.Law Ltd come primo studio legale interamente guidato da AI, specializzato nel recupero crediti tramite small claims court fino a £10.000. Nessun fiction, nessun gatto pigro: siamo di fronte a un landmark regolatorio, con il CEO Philip Young in testa e l’approvazione ufficiale della Solicitors Regulation Authority.

Il futuro non è scritto, ma sarà tracciato: il bluff dell’AI musicale è finito

Deezer ha appena iniziato ad apporre etichette di avviso ” generate dall’IA ” sugli album, dopo aver rilevato fino a 20.000 tracce create da robot ogni giorno (un aumento rispetto alle 10.000 di tre mesi fa). Ci sono ascolti gonfiati da bot farm? Royalties ridotte. È l’IA che combatte l’IA per bloccare lo spam nelle playlist: chiamatela Shazam contro le frodi.

Nel 2023, il settore musicale ha vissuto il suo “Napster moment”. Solo che questa volta non c’era un adolescente californiano in garage a minacciare l’ordine costituito, ma un fantasma digitale che cantava con la voce di Drake e The Weeknd. Heart on My Sleeve non era una hit come le altre: era un colpo di stato algoritmico. Una dichiarazione di guerra alla filiera dell’industria musicale. Nessun contratto, nessun permesso, solo milioni di stream e un sistema impreparato a distinguere l’originale dal simulacro.

Da quel momento, il dogma dell’autenticità è imploso. Se tutto può sembrare Drake, chi è più davvero Drake?

Intelligenza Artificiale tra regolazione e esperienze applicative

L’intelligenza artificiale entra nelle nostre vite con la naturalezza di un algoritmo ben ottimizzato. Nessun trionfo di fanfare o scenari alla Blade Runner. Solo notifiche push, modelli predittivi, chat intelligenti e decisioni automatizzate che governano mutui, curriculum, diagnosi e processi penali. Ma mentre l’AI si infiltra nei gangli della società, è lecito chiedersi: il diritto, con la sua innata lentezza, è davvero pronto a governarla o sta per essere riscritto – questa volta, davvero – da una macchina?

Il volume L’intelligenza artificiale tra regolazione e esperienze applicative, edito da Cacucci e promosso da GP4AI – Global Professionals for Artificial Intelligence, non si accontenta di ripetere slogan sull’etica digitale. Mette le mani nel codice giuridico, esplorando come l’AI Act dell’Unione Europea, il primo tentativo di normare algoritmi su scala continentale, si confronti con il contesto italiano, spesso più normativo che normato, più prudente che predittivo.

Applebee’s e IHOP scommettono sull’intelligenza artificiale per leggere nei tuoi gusti e nel tuo portafoglio

La rivoluzione dell’intelligenza artificiale non si è fermata ai laboratori di ricerca, ai colossi del tech o alle redazioni dei giornali che ancora si chiedono se ChatGPT possa scrivere come Hemingway. Ora è il turno della tavola calda. O meglio: della tavola calda di massa. Applebee’s e IHOP – i due celebri marchi americani di ristorazione “comfort”, noti più per il loro pancetta-sciroppo-cheddar che per l’innovazione digitale – stanno per lanciare un “motore di personalizzazione” alimentato da AI. E non stiamo parlando di scegliere tra pancake e omelette, ma di un algoritmo pensato per capire, memorizzare e orientare i tuoi gusti, pasto dopo pasto.

L’intelligenza artificiale nel decision-making strategico per la pace: un modello ADM

L’integrazione dell’AI nei processi decisionali strategici non è più una mera ipotesi futuristica, bensì una realtà che nel 2024 ha visto un’accelerazione esponenziale grazie a studi pionieristici e piattaforme tecnologiche d’avanguardia. La complessità degli scenari geopolitici e la necessità di anticipare crisi in tempo reale hanno spinto università, centri di ricerca e governi a investire in sistemi di augmented decision-making (ADM) capaci di fondere l’intelligenza algoritmica con il giudizio umano, creando una sinergia non priva di contraddizioni e cinismo quasi inevitabile in un mondo dove l’errore umano è ormai intollerabile.

Generative AI, Art Is Dead: provocatorio revival nel cuore di Gand

Un titolo che suona come una sfida: “Art Is Dead”. Eppure, quando la community Generative AI Belgium ha scelto il Wintercircus di Gand – un’arena dalle volte teatrali, a eco di storia e spettacolari geometrie – per la sua undicesima edizione il 16 giugno scorso, l’intento era chiaro. Provocare, scuotere, mettere in crisi il dogma: è la fine dell’arte, o siamo invece all’alba di una nuova rivoluzione creativa?

La voce della macchina è reale: Google reinventa la ricerca (e se stesso)

La nuova era della ricerca non si digita più. Si pronuncia. Con tono gentile, magari un po’ ansioso, come se parlassimo a un amico distratto che però ha accesso a tutto il sapere umano. Google lo chiama Search Live, una trovata che suona amichevole, ma ha tutta l’ambizione di riscrivere l’interfaccia stessa tra umani e Internet. Altro che barra di ricerca: qui siamo in pieno dialogo vocale con un’intelligenza artificiale, nel cuore pulsante del motore di Mountain View.

La strategia in due parti dell’agente di acquisto di Amazon

Se pensavate che il colosso di Seattle si limitasse a comprare prodotti e spedirli al cliente con un click, vi siete persi la rivoluzione silenziosa che sta dietro a ogni clic: la strategia in due parti del suo agente di acquisto, un meccanismo tanto sofisticato quanto spietato, disegnato per dominare il mercato globale con l’efficienza di un algoritmo senza scrupoli. Non è solo una questione di logistica o di vastità dell’inventario: è un gioco di potere che sfrutta la psicologia del consumatore, le dinamiche di prezzo e un’intelligenza artificiale che conosce ogni mossa prima ancora che venga fatta.

OpenAI sconta ChatGPT e mette Microsoft alle corde

OpenAI ha appena deciso di tagliare i prezzi di ChatGPT per le aziende, infilando un colpo a sorpresa nella strategia di Microsoft. La mossa, riportata da fonti come The Information e Reuters, non è un semplice aggiustamento tariffario: è un tentativo voluto di rubare clienti al vestito “Azure OpenAI”, la piattaforma rivenduta a caro prezzo dal partner di sempre . L’effetto? I commerciali Microsoft tremano, e le azioni MSFT segnalano nervosismo .

Il prezzo scontato, legato all’acquisto di altri servizi AI, è un’ammissione strategica: OpenAI punta a dominare il mercato enterprise, con la mira fissata su un obiettivo da 15 miliardi di dollari annui entro il 2030 . Un’arma dopata, in grado di attrarre la pancia del mercato – tentare Microsoft sul suo terreno.

AI, bitcoin e frodi: il genio è uscito dalla bottiglia e la CFTC cerca il tappo

Kristin Johnson, commissaria della CFTC, non ha usato mezze parole al DigiAssets 2025 di Londra: l’intelligenza artificiale, per il mondo cripto, è una medaglia luccicante. Ma, guarda caso, ha due facce. Da un lato, la promessa: algoritmi predittivi che leggono i mercati in tempo reale, sniffano trend su Twitter più velocemente di un hedge fund caffeinizzato, e accelerano le operazioni di settlement al punto da far sembrare Swift un piccione viaggiatore. Dall’altro, il lato oscuro: frodi su scala industriale, manipolazione dei mercati, bias incontrollabili, e sistemi che – citando testualmente – “non riescono a comprendere ostacoli reali del mondo”.

Quando l’intelligenza artificiale si ribella alla realtà: il caso (Un)stable Equilibrium e il mistero della creatività senza dati

Nel 2025, parlare di “intelligenza artificiale creativa” è come discutere del sesso degli angeli con una calcolatrice. Ma ogni tanto, tra una valanga di immagini di Barbie in stile cyberpunk e Leonardo da Vinci trasformato in influencer da Midjourney, spunta qualcosa che ci costringe a rallentare, a dubitare, a chiedere: e se ci fosse qualcosa di più profondo qui sotto?

Salesforce ritocca i prezzi, ma con l’intelligenza artificiale ti vende anche il futuro

C’è una regola non scritta nella Silicon Valley: ogni promessa di intelligenza artificiale si paga con una clausola, un incremento tariffario e una leggera dose di ipocrisia. Salesforce, il gigante della customer relationship management, lo sa bene. Dopo aver cambiato le carte in tavola sull’utilizzo dei dati generati da Slack — vietando di usarli per addestrare modelli AI, ma curiosamente solo ai clienti, non a sé stessa — e aver inasprito le condizioni per i vendor terzi, ora passa alla cassa. Con un aumento dei prezzi che sembra un “ritocco” da 6% sulle edizioni Enterprise e Unlimited, ma che sulle edizioni di Slack diventa una sforbiciata del 20%. Quasi elegante, se non fosse che la parola “aumento” si accompagna sempre più spesso alla parola “intelligenza artificiale”.

Vera factchecking di Babelscape: quando la verità è un’opinione a tempo determinato

Secondo Semrush, Google AI Overview cita oggi Quora e Reddit più di Wikipedia o del New York Times. Lasciate che questa notizia vi atterri addosso come un pugno ben assestato: le fonti più rapide, umane e spesso utili, sono raramente verificate, fact-checked o sottoposte a standard editoriali rigorosi. Persino LinkedIn e YouTube superano in ranking molti degli outlet tradizionali. Che fine hanno fatto i fatti?

La nuova carne è sintetica: TikTok reinventa l’influencer con l’intelligenza artificiale

Immaginate un futuro dove Chiara Ferragni non ha bisogno di truccarsi, fare luce perfetta o mettere in pausa una vacanza a Mykonos per sponsorizzare uno shampoo: una sua controfigura digitale, indistinguibile dall’originale, lo fa al posto suo. Sempre sveglia, sempre disponibile, sempre perfetta. Ora smettete di immaginare. Quel futuro è già un prodotto freemium in beta.

TikTok ha annunciato oggi l’espansione della sua piattaforma pubblicitaria basata su intelligenza artificiale, Symphony. Nome appropriato, perché sembra più Wagner che Vivaldi: una sinfonia di automazione che promette di riscrivere non solo il business degli influencer, ma l’intero concetto di raccomandazione umana. L’idea è tanto semplice quanto inquietante: sostituire corpi, voci e volti reali con avatar sintetici in grado di “provare” abiti, “mostrare” app su smartphone e “consigliare” prodotti come se fossero vere persone. Il tutto generato con una foto, un prompt testuale e qualche secondo di attesa. Voilà, l’influencer è servito.

Alexandr Wang: Quando la genitorialità diventa un’estensione API del cervello

È la nuova estetica della Silicon Valley: mescolare biohacking, AI e decisioni di vita come se fossero righe di codice in un sistema distribuito. Alexandr Wang, ex enfant prodige dell’AI e fondatore di Scale AI, oggi parcheggiato a Menlo Park dopo aver venduto metà della sua creatura, ha dichiarato che aspetta a fare figli finché Neuralink non sarà “pronta”.

Neuralink, ricordiamolo per chi non vive in un bunker a tema Musk, è l’azienda che promette un’interfaccia neurale diretta cervello-macchina. Fantastico. Se vuoi ascoltare Spotify con il talamo.

Trump contro Musk, Israele contro Iran: il reality della fine dell’Impero

Nel grande teatro della politica postmoderna, dove la realtà si piega alla volontà del marketing e la verità è un algoritmo da manipolare, c’è chi litiga su X (Twitter) e chi bombarda nella realtà. Da una parte, Donald Trump e Elon Musk si scannano come due galli da combattimento per la supremazia simbolica dell’ego nazionale. Dall’altra, Israele lancia un attacco diretto contro l’Iran, in quello che appare non solo come un colpo strategico, ma anche come l’effetto collaterale più inquietante dell’assenza americana.

Criptovalute in caduta mentre i missili decollano: la guerra torna a comandare i mercati

Il romanticismo dei “beni rifugio digitali” è svanito in un’esplosione sopra il cielo di Teheran. Le criptovalute, da anni narrate come l’arca post-moderna per sopravvivere al diluvio dei mercati tradizionali, si sono comportate esattamente come ogni altro asset ad alto beta: hanno tremato, hanno ceduto. Bitcoin, l’apripista di questa rivoluzione finanziaria 2.0, è scivolato del 3% fino a toccare brevemente i 103.000 dollari prima di recuperare, come un pugile che ha sentito il colpo e cerca disperatamente il clinch.

Manus AI e la sindrome dell’invincibilità digitale

Manus AI è diventato come quel tipo alla festa che non solo arriva in anticipo, ma si presenta anche con lo champagne migliore e un DJ al seguito. Era già considerato un “agent” AI piuttosto solido, una di quelle piattaforme che prometteva bene tra prompt, video e automazione. Ma adesso, con l’integrazione di Veo3, il salto non è solo evolutivo, è cinematografico. Letteralmente.

Facciamola breve, perché il tempo è l’unica cosa che l’AI non può restituirci: Manus ora permette non solo di generare video, ma esperienze visive che sfiorano l’ossessione maniacale per il dettaglio. Stiamo parlando di qualità visiva superiore, sincronizzazione audio-labiale finalmente credibile, e scene che non sembrano uscite da un generatore di meme con l’ambizione di Kubrick. Il passaggio al supporto per Google Slides e PowerPoint è solo un preambolo, un assaggio della direzione in cui sta andando il vero game changer.

META fa causa agli spogliarellisti digitali: guerra alle AI del nudo non consensuale

Se cercate il fondo del barile dell’intelligenza artificiale, non è tra i robot che sbagliano a giocare a scacchi. È molto più in basso. Più precisamente: nelle immagini generate da app come “CrushAI” pubblicizzate su Facebook, Instagram, Messenger e Threads, dove l’obiettivo non è risolvere problemi ma spogliare persone – spesso donne e minorenni – senza alcun consenso. È pornografia algoritmica con il bonus dell’anonimato e il prezzo scontato della morale.

Adobe supera le stime del Q2 e alza le previsioni: l’AI è davvero il futuro?

Adobe ha appena chiuso un secondo trimestre fiscale 2025 che ha fatto sobbalzare i conti e sollevato più di qualche sopracciglio. Con ricavi record da 5,87 miliardi di dollari (+11% rispetto all’anno precedente) e un utile per azione rettificato di 5,06 dollari, la società ha superato le aspettative degli analisti, che si aggiravano intorno a 4,97 dollari per azione e 5,8 miliardi di ricavi . Eppure, nonostante questi numeri da capogiro, il titolo ha chiuso in calo del 7% dall’inizio dell’anno, lasciando spazio a qualche legittimo dubbio.

La pubblicità dell’assurdo: come l’AI da $2.000 ha conquistato l’NBA Finals e umiliato Madison Avenue

Se l’hai vista, non te la dimentichi più. Un alieno che beve birra. Un vecchio con un chihuahua e un cappello da cowboy. Un tizio che nuota in una piscina piena di uova. E no, non è il trailer di un film trash anni ’90 o un esperimento dadaista di Spike Jonze: è una pubblicità mandata in onda durante le NBA Finals. Il budget? Due spiccioli: 2.000 dollari. Il regista? Un tizio solo con un laptop e Google Veo 3. Benvenuti nell’era del slopvertising, la pubblicità generativa AI che mescola delirio e strategia come uno shaker senza coperchio.

Pagina 1 di 22

CC BY-NC-SA 4.0 DEED | Disclaimer Contenuti | Informativa Privacy | Informativa sui Cookie