Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Google trasforma la ricerca in un podcast: l’AI diventa il tuo nuovo speaker personale

Hai digitato una query su Google. Ti aspettavi il solito elenco di link, quella noiosa gerarchia di SEO tossico, titoli clickbait e snippet semi utili. Invece, all’improvviso, una voce calda ti sussurra nelle orecchie una sintesi personalizzata, confezionata da un’intelligenza artificiale addestrata a suonare come un mix tra David Attenborough e il tuo barista di fiducia. No, non è fantascienza. È l’ultima trovata del colosso di Mountain View: trasformare le ricerche in un podcast istantaneo. Automatico. Sintetico. Inevitabile.

Iran sta per fare la bomba? il paradosso nucleare innescato da Israele

Non è l’uranio arricchito a costruire una bomba. È la paura. La paura che il nemico, messo all’angolo, abbandoni ogni freno ideologico e giochi la sua ultima carta: la dissuasione atomica. Israele lo sa, ma ha scelto comunque di alzare la posta. Con chirurgica brutalità ha colpito il cuore pulsante del programma nucleare iraniano, assassinando scienziati, bombardando impianti e facendo saltare in aria non solo edifici, ma equilibri strategici.

L’Iran si ritrova oggi in un vicolo cieco. E come ogni bestia ferita, potrebbe scegliere di fare ciò che ha sempre negato pubblicamente: costruire l’arma che non osa nominare. Perché tra Teheran e la bomba, ormai, non ci sono più barriere tecnologiche. Solo un velo sottile di reticenza politica, l’ultima linea di difesa prima del punto di non ritorno.

Difendere l’intelligenza artificiale americana: la nuova legge bipartisan per la sicurezza dell’AI avanzata

La scena politica americana si anima di fronte a un pericolo che ha il sapore di un thriller geopolitico: la nuova legge Advanced AI Security Readiness Act, presentata da un gruppo bipartisan guidato da John Moolenaar, rappresenta l’ennesimo tentativo di Washington di blindare il proprio primato nell’intelligenza artificiale, puntando il dito contro il “nemico” cinese come se fossimo già in un episodio di House of Cards tecnologico.

RedCarbon: La Cybersecurity è morta, viva l’analista virtuale

Fondata nel 2020 da veterani del settore con oltre vent’anni di esperienza sulle spalle – e probabilmente qualche cicatrice lasciata da intrusioni, notti insonni e patch critiche alle 3 del mattino RedCarbon non si è accontentata di seguire il flusso dell’AI applicata alla sicurezza. Lo ha anticipato, lo ha cavalcato, e poi lo ha trasformato in un’onda d’urto capace di riscrivere le regole del gioco: il primo Virtual Cyber Analyst, un’entità algoritmica pensante che non dorme mai, non sbaglia, non ha bisogno di ferie, e soprattutto non si lamenta del caffè della macchinetta.

Meta scommette su Scale AI per addestrare una superintelligenza e ridisegnare l’intelligenza artificiale globale

Non è una semplice acquisizione, e nemmeno una partnership. È un’iniezione di potere. Con 14,3 miliardi di dollari, Meta si è comprata metà dell’anima (e il 49% delle azioni) di Scale AI, la startup fondata dal prodigio Alexandr Wang. Non solo dati: con questo colpo da maestro, Zuckerberg si porta in casa il motore stesso del futuro dell’intelligenza artificiale generalista, l’AGI. Quella vera, quella che – per ora – nessuno ha ancora osato dichiarare davvero di voler costruire, almeno non a voce alta e senza ironia.

AMD punta tutto sulla serie mi400: la scommessa da miliardi che potrebbe finalmente cambiare le regole del gioco

AMD ha acceso i riflettori su sé stessa, ma lo spettacolo vero non era sul palco. Il lancio della nuova serie MI350, celebrata con il solito repertorio di slide scintillanti e testimonial di peso, ha in realtà lasciato il pubblico – e soprattutto gli investitori – con lo sguardo rivolto al futuro. E quel futuro ha un nome: MI400. Un numero, una promessa, forse una scommessa colossale per entrare finalmente nel ring di Nvidia.

Seeweb Privacy e Potenza AI: il ritorno dell’infrastruttura sovrana nel regno serverless

C’è un errore concettuale che si continua a ripetere nel mondo dell’Intelligenza Artificiale, una specie di dogma non scritto: per avere prestazioni elevate, devi sacrificare il controllo. In altre parole: se vuoi GPU, devi affidarti mani e CPU alle big cloud d’oltreoceano, rinunciando a ogni pretesa di privacy-by-design. Ma cosa succede se ti dicessimo che è possibile avere entrambi? Se la scelta non fosse più tra potenza e proprietà, ma tra dipendenza e autonomia?

NAM 2025 Stefano Epifani: Etica dell’intelligenza artificiale, ovvero il nuovo volto della propaganda tecnologica

E’ stato un piacere e un onore ascoltare Stefano Epifani. President DIGITAL TRANSFORMATION INSTITUTE al Nam 2025. Un lampo, un tuono ha squarciato l’apertura del convegno organizzato da NAMEX al Gasometro.

Quando qualcuno oggi parla di “etica dell’intelligenza artificiale”, raramente si riferisce all’etica. È più facile che stia facendo marketing, PR o damage control. Perché l’etica quella vera, non quella da policy framework aziendale è una cosa sporca, scomoda, lenta e spesso irricevibile nei board meeting. L’etica, per sua natura, spacca i consensi, apre i conflitti e sabota la narrativa del progresso inarrestabile. È ciò che rende una decisione tecnologica politica, cioè carica di valori, visioni del mondo e rapporti di forza. Ed è proprio questo che molti oggi preferirebbero ignorare.

Criptovalute in caduta mentre i missili decollano: la guerra torna a comandare i mercati

Il romanticismo dei “beni rifugio digitali” è svanito in un’esplosione sopra il cielo di Teheran. Le criptovalute, da anni narrate come l’arca post-moderna per sopravvivere al diluvio dei mercati tradizionali, si sono comportate esattamente come ogni altro asset ad alto beta: hanno tremato, hanno ceduto. Bitcoin, l’apripista di questa rivoluzione finanziaria 2.0, è scivolato del 3% fino a toccare brevemente i 103.000 dollari prima di recuperare, come un pugile che ha sentito il colpo e cerca disperatamente il clinch.

Nvidia e la danza delle illusioni: mentre i clienti fingono di costruire chip, Huang incassa tutto

Se fosse davvero così facile costruire chip per l’intelligenza artificiale, allora perché Jensen Huang sembra uscito da un rave tech senza fine, invecchiato di dieci anni in dodici mesi ma ancora in cima alla catena alimentare dell’AI?

Parlando con l’aria stanca ma trionfante a Parigi — la città che ti fa sentire elegante anche quando parli di semiconduttori — il CEO di Nvidia ha mostrato con l’aria di chi la sa lunga che non è minimamente minacciato dal fatto che i suoi clienti più importanti, da Amazon Web Services a Microsoft fino a OpenAI, stiano tentando di fabbricare chip proprietari. Il tono? Mezzo ironico, mezzo “siete tutti i benvenuti a provarci, ma fallirete”.

Quando i segreti diventano armi: l’intelligence come nuova architettura della deterrenza

L’intelligence non è più un affare da spie in trench coat e valigette scambiate sotto la pioggia. Oggi, è una leva di influenza pubblica, uno strumento narrativo, una tecnologia semiotica della credibilità. E, soprattutto, è un asset strategico. Quello che un tempo si celava dietro classificazioni “Top Secret” oggi si pubblica su X con tanto di infografica e hashtag, nell’illusione ben calcolata che trasparenza e potere possano coesistere in armonia. Spoiler: non possono. Ma è proprio in questa tensione che si gioca il futuro del deterrente.

Quando un cervello da miliardi cade su una scacchiera da otto bit

Una scacchiera grigia, pochi pixel maldestri. Un processore da 1.19 MHz, Atari 2600, anno 1977. E poi c’è ChatGPT, monumento del machine learning, con miliardi di parametri, ore di training, infrastruttura da superpotenza. Risultato? Umiliazione. Confusione tra pezzi. Errori da principiante. Scacco matto dall’intelligenza di un tostapane glorificato.

Non è ironia cosmica. È una lezione spietata sul perché l’intelligenza artificiale non è onnisciente, e sul fatto che il contesto – come sempre – conta più dell’intelligenza in sé.

Non chiamateli wrapper: sono le killer app dell’economia AI

Nel regno rarefatto della Silicon Valley, dove ogni nuova sigla è una religione e ogni layer una guerra di potere, c’è un termine che gira con l’eleganza di una coltellata: “wrapper”. Un insulto travestito da etichetta tecnica, un modo per sminuire ciò che non si riesce a controllare. Ma sotto la superficie, proprio come accadde con i browser nei primi anni del web, quelli che oggi chiamiamo wrapper sono, in realtà, i veri motori dell’innovazione. E se la storia ha un minimo senso, saranno loro a riscrivere – letteralmente – il futuro dell’intelligenza artificiale.

Manus AI e la sindrome dell’invincibilità digitale

Manus AI è diventato come quel tipo alla festa che non solo arriva in anticipo, ma si presenta anche con lo champagne migliore e un DJ al seguito. Era già considerato un “agent” AI piuttosto solido, una di quelle piattaforme che prometteva bene tra prompt, video e automazione. Ma adesso, con l’integrazione di Veo3, il salto non è solo evolutivo, è cinematografico. Letteralmente.

Facciamola breve, perché il tempo è l’unica cosa che l’AI non può restituirci: Manus ora permette non solo di generare video, ma esperienze visive che sfiorano l’ossessione maniacale per il dettaglio. Stiamo parlando di qualità visiva superiore, sincronizzazione audio-labiale finalmente credibile, e scene che non sembrano uscite da un generatore di meme con l’ambizione di Kubrick. Il passaggio al supporto per Google Slides e PowerPoint è solo un preambolo, un assaggio della direzione in cui sta andando il vero game changer.

Apple scommette su un Siri nuovo di zecca per il 2026: il ritardo che forse salverà l’intelligenza artificiale di Cupertino

Apple ha un problema con l’intelligenza artificiale. E si chiama Siri.

Nonostante le fanfare, le demo impeccabili e le promesse reiterate nei keynote più luccicanti della Silicon Valley, l’assistente vocale di Apple – lanciato nel 2011 come l’alba del futuro vocale – oggi sembra più un’inserviente spaesata nella grande villa dell’AI generativa. Eppure, qualcosa si muove a Cupertino. Dopo rinvii, scaricabarile interni e riscritture strutturali del codice, Apple ha fissato un obiettivo ambizioso ma (stavolta) realistico: lanciare la nuova Siri nella primavera del 2026, con iOS 26.4.

Mattel scommette sull’intelligenza artificiale e gioca con OpenAI: la Barbie parlerà, forse anche meglio di tua madre

Che la Silicon Valley fosse un parco giochi per adulti era chiaro da tempo. Ma oggi, con Mattel e OpenAI che si tengono per mano come due bambini nel cortile dell’asilo, l’infanzia diventa il nuovo fronte caldo della guerra algoritmica. Sotto la superficie patinata dell’annuncio, si cela qualcosa di molto più profondo di un semplice pupazzo che risponde con frasi generate da ChatGPT: è la conquista delle emozioni infantili da parte dell’intelligenza artificiale.

META fa causa agli spogliarellisti digitali: guerra alle AI del nudo non consensuale

Se cercate il fondo del barile dell’intelligenza artificiale, non è tra i robot che sbagliano a giocare a scacchi. È molto più in basso. Più precisamente: nelle immagini generate da app come “CrushAI” pubblicizzate su Facebook, Instagram, Messenger e Threads, dove l’obiettivo non è risolvere problemi ma spogliare persone – spesso donne e minorenni – senza alcun consenso. È pornografia algoritmica con il bonus dell’anonimato e il prezzo scontato della morale.

AMD prevede una crescita dell’80% annuo nella domanda di inferenza AI

Lisa Su, CEO di AMD, ha dichiarato che la domanda di inferenza AI crescerà dell’80% all’anno. Ma dietro questa previsione ottimistica si cela una realtà più complessa.

Nel 2024, AMD ha generato oltre 5 miliardi di dollari di entrate dalle sue GPU Instinct, con previsioni di crescita significativa nel segmento AI. Su ha dichiarato che la società prevede che le entrate annuali derivanti dai chip AI raggiungano “decine di miliardi di dollari nei prossimi anni”.

Adobe supera le stime del Q2 e alza le previsioni: l’AI è davvero il futuro?

Adobe ha appena chiuso un secondo trimestre fiscale 2025 che ha fatto sobbalzare i conti e sollevato più di qualche sopracciglio. Con ricavi record da 5,87 miliardi di dollari (+11% rispetto all’anno precedente) e un utile per azione rettificato di 5,06 dollari, la società ha superato le aspettative degli analisti, che si aggiravano intorno a 4,97 dollari per azione e 5,8 miliardi di ricavi . Eppure, nonostante questi numeri da capogiro, il titolo ha chiuso in calo del 7% dall’inizio dell’anno, lasciando spazio a qualche legittimo dubbio.

Elon Musk contro OpenAI: il miliardario libertario gioca la carta della Costituzione per silenziare le macchine

Se c’è una cosa che Elon Musk sa fare meglio di lanciare razzi nello spazio o provocare crolli azionari con un meme, è trasformare una causa legale in una guerra ideologica. Ed è esattamente ciò che sta accadendo con il suo scontro sempre più surreale con OpenAI. Mentre la maggior parte delle Big Tech si limita a giocare a Risiko con i dati degli utenti, Musk punta direttamente al cuore di ciò che ritiene un tradimento: l’aver messo il profitto davanti all’umanità, peccato capitale per chi si è autoproclamato paladino del bene universale.

Meta compra il genio, non la ditta: la mossa da 14,3 miliardi di Zuckerberg per un’IA che non si vergogni più

C’è un certo romanticismo tecnologico nel gesto di Mark Zuckerberg: pagare 14,3 miliardi di dollari per il 49% di Scale AI senza neanche volerla tutta, come se la posta in gioco non fosse l’azienda ma il cervello che la guida. Alexandr Wang, enfant prodige dell’intelligenza artificiale, CEO di Scale e prodigioso miliardario a 21 anni, passa ora sotto le insegne blu di Meta. Ma lo fa con un piede ancora nella sua creatura. Meta prende metà tavolo, ma lascia al giovane Wang il comando del mazzo.

Le IPO tech suonano di nuovo forti: ecco perché la FOMO ha superato la razionalità

Sentito quel pop? No, non è lo champagne di qualche startup unicorn appena quotata. È il suono della nuova bolla, ma stavolta nessuno vuole chiamarla così. Perché quando Chime—una fintech che somiglia a una banca ma preferisce non esserlo—esordisce al Nasdaq con un +37% rispetto al prezzo IPO, chi osa fare il guastafeste?

Quello che accade sotto gli occhi di Wall Street è il ritorno del grande spettacolo delle IPO tech, con una sceneggiatura vecchia quanto i dot-com: hype, rally iniziale, FOMO contagiosa e occhi a dollaro nei pitch deck. Gli investitori istituzionali (quelli veri, con i polsini inamidati) e i retail più speculativi (quelli di Reddit) si stanno dando il cinque virtuale, ringraziando i banker di Morgan Stanley come se fossero DJ in un festival di capitali.

OpenAI alla ricerca di 40 miliardi: il nuovo sport di Wall Street è monetizzare il futuro

C’è qualcosa di affascinante, quasi surreale, nell’idea che un’azienda di sei anni, con un CEO che si dichiara umile portatore della coscienza artificiale globale, stia trattando per una raccolta fondi da quaranta miliardi di dollari mentre i suoi dipendenti vendono azioni come se fossero opzioni su GameStop nel 2021.

Ma in questo teatro di specchi chiamato Silicon Valley, l’eccezione è la norma. OpenAI, società nata come non profit con un’etica missionaria per “assicurare che l’intelligenza artificiale generale benefici tutta l’umanità”, oggi si muove come un hedge fund che ha appena letto “The Prince” di Machiavelli.

La pubblicità dell’assurdo: come l’AI da $2.000 ha conquistato l’NBA Finals e umiliato Madison Avenue

Se l’hai vista, non te la dimentichi più. Un alieno che beve birra. Un vecchio con un chihuahua e un cappello da cowboy. Un tizio che nuota in una piscina piena di uova. E no, non è il trailer di un film trash anni ’90 o un esperimento dadaista di Spike Jonze: è una pubblicità mandata in onda durante le NBA Finals. Il budget? Due spiccioli: 2.000 dollari. Il regista? Un tizio solo con un laptop e Google Veo 3. Benvenuti nell’era del slopvertising, la pubblicità generativa AI che mescola delirio e strategia come uno shaker senza coperchio.

Dia Il browser che ti legge nel pensiero

C’era una volta Arc, l’adorabile eccesso nerd con l’ambizione di reinventare il browser. Sidebar, cartelle animate, icone fluttuanti come se la navigazione web fosse un esperimento di Bauhaus digitale. Poi qualcuno ha fatto due conti, guardato i numeri di adozione e ha detto: “troppo strano”. Così, The Browser Company è passata da “ridisegnare il web” a Dia, un’app che, almeno all’apparenza, sembra Chrome in giacca e cravatta. Ma sotto il cofano, è una macchina infernale di intelligenza artificiale che ti osserva, ti capisce e, potenzialmente, ti anticipa.

Bruxelles vuole strangolare internet: il Digital Networks Act è il cavallo di Troia dei nuovi oligopoli

Inizia tutto come una carezza semantica, come sempre a Bruxelles: parole come “resilienza”, “razionalizzazione” e “equità” che sembrano uscite dal manuale del perfetto burocrate del XXI secolo. Peccato che sotto questa patina da ufficio stampa, il cosiddetto Digital Networks Act (DNA) riveli la sua vera natura: un attacco chirurgico, e tutt’altro che accidentale, al cuore stesso della rete europea. Non una riforma, ma una riconfigurazione strutturale del mercato digitale che punta a concentrare, centralizzare e — diciamolo chiaramente — sterilizzare la pluralità che oggi definisce l’Internet nel Vecchio Continente.

Cina al bivio dell’intelligenza artificiale: la guerra dei modelli LLM si combatte a colpi di token e orgoglio nazionale

È ufficiale: l’intelligenza artificiale in Cina non è più solo una corsa tecnologica. È una guerra fredda a bassa latenza, giocata al ritmo di GPU e tariffe al millesimo di yuan. ByteDance, SenseTime, DeepSeek, Baidu, Alibaba: tutti a contendersi il trono dell’LLM più performante, più economico, più patriottico. E se vi aspettavate una lotta leale, preparatevi a qualcosa di più crudo: dumping cognitivo, propaganda di silicio e un’estetica da showroom di potenza computazionale.

Il protagonista della settimana è SenseTime, il colosso dell’AI quotato a Hong Kong e da sempre nel mirino geopolitico occidentale. Ha appena rilasciato un upgrade del suo Sensechat, un chatbot conversazionale ora dotato di capacità vocali e visive. Tradotto in termini brutali: parla cantonese, ti guarda, ti ascolta, e pensa anche – o almeno finge benissimo. La vera chicca? L’integrazione del modello multimodale SenseNova V6, che promette “visual reasoning”, ovvero la capacità di elaborare simultaneamente testo, video, audio, e – perché no – anche l’espressione rassegnata di un manager davanti al KPI che non sale.

Europa svegliati: il piano seduttivo di Nvidia tra crollo cinese e la corsa al cloud industriale

Jensen Huang non si è presentato a VivaTech con un keynote, si è presentato con un’operazione di conquista. Mentre Washington chiude le porte alla Cina e Nvidia assorbe colpi da miliardi di dollari a causa delle restrizioni all’export, l’Europa diventa improvvisamente sexy. Più che un piano industriale, quello del fondatore di Nvidia sembra un corteggiamento strategico: 20 fabbriche di intelligenza artificiale, decuplicazione della capacità computazionale, e un occhio lungo puntato su Parigi, Berlino e oltre.

Ma non facciamoci incantare dalla cortesia californiana del CEO con il bomber in pelle. Dietro il sorriso fotogenico e i robot da palcoscenico, si muove una manovra ad altissima densità geopolitica e commerciale: l’AI cloud industriale di Nvidia è, senza troppi giri di parole, il tentativo di trasformare l’Europa da cliente periferico a satellite strategico nella nuova architettura del potere computazionale globale.

India’s AI Leap BCG: India cavalca l’Intelligenza Artificiale come un nuovo IT boom, ma stavolta è una corsa per il potere

Chi si ricorda della prima ondata tech in India, quando Bangalore si trasformò in Silicon Valley a basso costo per l’Occidente, probabilmente ha già intuito cosa sta accadendo ora. Ma questa volta, non si tratta più solo di delocalizzare call center e sviluppare codice su commissione. Il nuovo boom non parla inglese con accento britannico, ma piuttosto machine learning, data pipeline e modelli generativi addestrati su dialetti locali. E secondo Boston Consulting Group, non si fermerà presto.

Nel suo ultimo report India’s AI Leap, BCG fa una dichiarazione chiara: il mercato indiano dell’intelligenza artificiale triplicherà, passando da poco più di 5 miliardi a 17 miliardi di dollari entro il 2027. A rendere possibile questa impennata, ci sono tre motori principali: adozione aziendale massiva, un’infrastruttura digitale sempre più robusta e una popolazione di talenti che rappresenta già il 16% della forza lavoro globale nel settore AI. Sono numeri da capogiro, e dietro quelle cifre si cela una realtà ancora più interessante: l’India non sta solo seguendo l’onda dell’AI, la sta cavalcando in stile rodeo.

O3 Pro di OpenAI quando l’intelligenza artificiale ha smesso di copiare per iniziare a pensare

Il momento preciso in cui una macchina ha dato l’illusione di “pensare” non è quando vince a scacchi, né quando genera un poema decente. È quando risolve un problema che, per definizione, non si può memorizzare. Come un maledetto word ladder da SPACE a EARTH, passo dopo passo, senza internet, senza imbrogli, senza contaminazioni.

La O3 Pro di OpenAI – sì, quella “cosa” misteriosa che aleggia sopra GPT-4 come una forma più lucida e meno nevrotica – l’ha fatto. Ha risolto un enigma logico che aveva ridotto ai minimi termini ogni altro modello, incluso il celebre e sovraesposto GPT-4. Una serie di trasformazioni di parole, ognuna semanticamente e ortograficamente vincolata, per arrivare dalla fredda vastità dello spazio alla fragile complessità della terra. E l’ha fatto in avanti. Non al contrario, come l’unico esempio noto su internet. Già questo dovrebbe far suonare qualche campanello.

Google Weather Lab il ciclone perfetto: l’intelligenza artificiale prevede l’uragano, ma chi prevede l’intelligenza artificiale?

Se la Silicon Valley è la nuova Babilonia, oggi il suo oracolo si chiama DeepMind. E no, non sta leggendo i fondi di caffè: sta leggendo i venti, gli uragani e le correnti tropicali. Google ha appena annunciato il lancio di Weather Lab, una piattaforma che mostra al mondo come il suo modello sperimentale di previsione meteorologica, basato su intelligenza artificiale, possa battere — anzi, aggirare elegantemente — i modelli fisici tradizionali. Il bersaglio? I cicloni tropicali, che da fenomeni atmosferici stanno diventando test per stressare la soglia tra pubblico e privato, tra algoritmo e scienza, tra previsioni e controllo.

Microsoft lancia Copilot Vision: il tuo desktop non è più solo un luogo di lavoro, è un campo visivo condiviso con l’AI

Ci sono momenti nella storia dell’informatica in cui le metafore saltano. Il desktop non è più un “desktop”, e nemmeno una scrivania virtuale. Con l’arrivo di Copilot Vision, Microsoft ha spalancato la finestra: adesso il tuo sistema operativo ha degli occhi. E li presta volentieri al suo assistente AI, che guarda, interpreta e reagisce in tempo reale a ciò che stai facendo. Sì, proprio come il collega ficcanaso in ufficio. Ma con meno giudizi morali e molta più RAM.

La parola chiave qui è visione. Copilot Vision non si accontenta di “capire” le tue parole. Vuole anche vedere il contesto in cui le stai digitando. Una vera e propria evoluzione cognitiva dell’assistente digitale, che ora può analizzare direttamente quello che appare sul tuo schermo — da una foto di famiglia a un layout di InDesign — per suggerire, spiegare, correggere, anticipare. Il tutto senza necessità di sottoscrivere Copilot Pro, perché sì, è gratuito. Almeno per ora, almeno negli Stati Uniti. La gentilezza dei colossi dura poco, come gli ombrelloni gratis a luglio.

La voce artificiale del potere: quando il CEO diventa un bot e il cliente un feed di dati

Nel tempo in cui i manager diventano avatar vocali, e i board meeting si trasformano in prompt, accade l’impensabile: l’uomo che guida una delle fintech più aggressive d’Europa, Sebastian Siemiatkowski, CEO di Klarna, ha deciso di… smettere di parlare. O meglio, di delegare la sua voce a una IA che lo imita, lo cita, lo filtra e lo reinventa, come un assistente personale che ha fatto troppa strada con ChatGPT in tasca. E allora la domanda diventa inevitabile: se Luciano Floridi ha fatto il suo bot filosofico, perché un CEO non dovrebbe clonarsi vocalmente per parlare con i clienti? La risposta sta, come sempre, nel potere. Ma anche nella farsa.

In apparenza, Klarna sta innovando. Ma sotto, molto sotto, sta automatizzando una maschera. Ai clienti che chiamano la hotline negli Stati Uniti o in Svezia, risponde “AI Sebastian”, un clone vocale addestrato con la voce reale e le “esperienze” (già, esperienze) dell’originale. Una sintesi di toni, frasi fatte, narrazioni aziendali e storytelling personale. Nessuna emozione, solo brand voice. Un chatbot travestito da visionario scandinavo. Uno strano caso di CEO outsourcing, al contrario.

NAM 2025 Stefano Quintarelli: Quando la ricchezza evapora: come l’economia immateriale ci sta dissanguando senza che ce ne accorgiamo

A Roma, tra la placida eleganza barocca di palazzi e la tensione strisciante del futuro digitale, il keynote di Stefano Quintarelli al Namex 2025 ha fatto più rumore di quanto ci si aspettasse. Sotto la superficie rassicurante della retorica mainstream sul digitale come panacea universale, Quintarelli ha smontato pezzo dopo pezzo la narrazione dominante. E ciò che ne emerge è un paradosso: stiamo guadagnando valore, ma ne beneficiamo sempre meno. In fondo, è la stessa logica con cui si può morire di sete su una zattera in mezzo all’oceano.

Partiamo dai numeri, quelli veri. Quintarelli, con l’ostinazione di un filosofo prestato all’ingegneria e il rigore di un contabile, ha citato dati ufficiali del Bureau of Economic Analysis statunitense: se si includono i servizi nel calcolo della bilancia commerciale, e si aggiusta il tutto per l’inflazione – magari usando il 2007, l’anno dell’iPhone, come spartiacque simbolico – il famigerato deficit commerciale USA smette di sembrare una voragine apocalittica. Anzi, è sorprendentemente stabile. Le esportazioni crescono, le importazioni pure. Ma non c’è alcun abisso in allargamento. E allora perché tutti urlano alla fine del mondo?

Nvidia e Oracle, il matrimonio tecnico del secolo nasce nel deserto texano per conquistare l’intelligenza artificiale europea

Da una parte una delle aziende più sottovalutate ma più longeve del cloud enterprise. Dall’altra il semidio delle GPU che ha reinventato la traiettoria del calcolo. Ecco a voi Oracle e NVIDIA: una strana coppia in missione per colonizzare l’intelligenza artificiale con un approccio che odora di strategia da Guerra Fredda più che di semplice evoluzione tecnologica.

L’annuncio? Di quelli che a prima vista sembrano uno dei tanti comunicati stampa scritti in stile-benessere-aziendale. Ma sotto la superficie c’è molto di più. Oracle ha deciso di spingere tutto il suo stack cloud nelle braccia muscolose della piattaforma AI di NVIDIA. E non si tratta solo di un abbraccio tecnico: parliamo di un’integrazione nativa, radicale, e soprattutto distribuita, che mette insieme 131.072 GPU Blackwell e il DGX Cloud Lepton. No, non è fantascienza: è OCI (Oracle Cloud Infrastructure) in versione steroidea.

Vitruvian-Smart-12B, la nostra ragazza in gamba che batte i fratelli maggiori (e senza nemmeno alzare la voce)

Alziamo le bandierine, sì, ma non quelle sventolate dai soliti giganti americani. Stavolta si celebra una nativa europea, una creatura di silicio e sintassi che non ha bisogno di server-fattorie in Arizona per brillare. Si chiama Vitruvian-Smart-12B, nome da diva cyborg ma con la testa da prima della classe. Non urla, non spreca, non invade la privacy. E già si è fatta valere.

Trump annuncia un’intesa con la Cina ma Wall Street non applaude più

«OUR DEAL WITH CHINA IS DONE» twitta Trump con la sobrietà di un adolescente che ha finalmente ricevuto un like da Elon Musk. È mercoledì mattina, e il Presidente più imprevedibile della storia americana getta la notizia come un osso a una stampa affamata: l’accordo commerciale preliminare con la Cina è stato raggiunto. Una dichiarazione che, in altri tempi, avrebbe acceso i riflettori di Wall Street come Times Square a Capodanno. Ma stavolta no. Il mercato scrolla le spalle, forse sbadiglia. Perché?

I negoziatori di Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un’intesa preliminare su un “quadro” generale, che ora verrà sottoposto ai rispettivi leader per la revisione, nel tentativo di riattivare l’accordo di tregua commerciale siglato a Ginevra il mese scorso.

Alla domanda su eventuali concessioni americane sul controllo delle esportazioni dopo i colloqui di Londra, la Casa Bianca ha evitato dettagli, ribadendo solo il rispetto dell’accordo di Ginevra. Secondo la portavoce Leavitt, la Cina si è detta disponibile ad aprire i suoi mercati agli USA in modo separato e ha acconsentito al rilascio di minerali strategici impiegati nei magneti, secondo i termini già pattuiti a Ginevra.

La vendetta dei contenuti: perché Taboola ha appena dichiarato guerra all’intelligenza artificiale

C’è qualcosa di profondamente ironico — e incredibilmente strategico — nel vedere Taboola, il re degli articoli “Ti potrebbe interessare anche…” in fondo a ogni sito web, diventare improvvisamente il paladino dei contenuti editoriali saccheggiati dall’AI.

Mercoledì, in una mossa che suona tanto come un attacco preventivo quanto un atto di autodifesa, Taboola (NASDAQ:TBLA) ha annunciato il lancio di DeeperDive, un motore di ricerca basato su intelligenza artificiale generativa. Ma attenzione: non si tratta dell’ennesimo clone di ChatGPT travestito da “assistente smart”. DeeperDive ha un compito preciso, chirurgico, politicamente strategico: riportare i publisher al centro della mappa del potere digitale.

Lakebase, la frontiera ibrida dove Postgres incontra l’intelligenza artificiale

In un giorno che sembra uno spartiacque per il mercato dei database, Databricks ha annunciato oggi il lancio di Lakebase, una soluzione inedita pensata per aziende e sviluppatori desiderosi di costruire applicazioni e agenti AI su una piattaforma multi‑cloud unificata.

Immaginate un database operativo—di quelli che fanno girare le transazioni in tempo reale—progettato per l’era dell’IA, integrato con analytics e storage a bassissimo costo. È questa l’ambizione dichiarata da Lakebase: portare i dati operativi nel lakehouse, con compute che scala automaticamente e garantisce latenza sotto i 10 ms e capacità di gestire oltre 10 000 query al secondo.

Meta vuole riscrivere le leggi della fisica con l’intelligenza artificiale: arriva V-JEPA 2

Meta Platforms ha appena sganciato una bomba, anche se lo stile è quello da laboratorio silenzioso e patinato. Il nome è V-JEPA 2. Sembra il titolo di un software di terz’ordine, ma è molto di più: è il nuovo modello di intelligenza artificiale lanciato da Menlo Park per spingere la sua visione dell’Advanced Machine Intelligence (AMI), un concetto tanto vago quanto ambizioso che promette — o minaccia — di trasformare ogni interazione uomo-macchina in una danza algoritmica tra causa ed effetto.

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