Si continua a parlare di rivoluzioni militari come se fossero aggiornamenti software, con l’entusiasmo di un product manager davanti a un nuovo rilascio beta. Droni, intelligenza artificiale, guerre trasparenti e interoperabilità digitale sono diventati il mantra ricorrente dei think tank euro-atlantici. La guerra, ci dicono, è cambiata. Il campo di battaglia sarebbe ormai un tessuto iperconnesso dove ogni oggetto emette segnali, ogni soldato è una fonte di dati, ogni decisione è filtrata da sensori, reti neurali e dashboard. Tutto bello, tutto falso.
Sul fronte orientale dell’Europa, tra gli ulivi morti e le steppe crivellate di mine, la realtà continua a parlare un’altra lingua. La lingua della mobilità corazzata, del logoramento, della saturazione d’artiglieria e, sì, anche della carne. In Ucraina si combatte come si combatteva a Kursk, con l’unica differenza che oggi il drone FPV è la versione democratizzata dell’artiglieria di precisione. Il concetto chiave, però, resta lo stesso: vedere, colpire, distruggere. Con un twist: adesso si può farlo a meno di 500 euro e senza bisogno di superiorità aerea.