Parlare oggi di paradigm shift come fa IBM nel suo studioAutomotive
in the AI era How AI is turbocharging business opportunities, nel settore auto è un po’ come usare il termine “disruption” negli anni dieci: logoro, inflazionato, eppure (purtroppo per i cinici) ancora centrato. Ma attenzione: qui non si tratta di una semplice evoluzione tecnologica, un’ennesima release da aggiungere al catalogo. Qui si gioca il futuro strategico dell’intero settore automotive, e l’IA non è un accessorio in plancia, ma il motore centrale del cambiamento. Altro che guida autonoma: stiamo parlando di sopravvivenza aziendale.
L’ultima indagine IBM ha acceso un faro sulla reale percezione dell’intelligenza artificiale nel settore automotive. I top executive di USA, UK, Germania e India parlano chiaro: l’adozione dell’IA non è più una scelta di efficientamento, ma un’urgenza esistenziale. Il futuro dell’automobile non è più nella meccanica, ma nel codice. Le auto non saranno più “macchine”, ma dispositivi digitali su ruote, aggiornabili via OTA, pensate come piattaforme e vendute come servizi. Benvenuti nell’epoca delle software-defined vehicles.
E no, non è uno slogan da slide per i pitch dei fondi VC. È una mutazione ontologica del prodotto stesso. Secondo IBM, entro pochi anni il 79% dei costruttori sarà passato a veicoli definiti da software. Non è un cambio di tecnologia, è un nuovo ecosistema. Il veicolo diventa un endpoint della rete, una fonte continua di dati, un’esperienza personalizzata su quattro ruote. Altro che cavalli vapore: qui il vero carburante è il machine learning.
Ecco dove arriva il colpo di grazia al vecchio modello. Gli OEM, abituati a fare profitti con la produzione, dovranno invece reinventarsi come fornitori di servizi digitali. Entro il 2035, il 51% dei ricavi arriverà da software e servizi, non dalle auto vendute. Manutenzione predittiva, funzionalità sbloccabili via abbonamento, intrattenimento in-car, assistenti vocali, dati telematici: l’auto diventa una piattaforma SaaS. Chi non ci crede, guardi Tesla, che già oggi monetizza il Full Self Driving come un’opzione da 15.000 dollari. Non è un’auto, è un prodotto in beta continua.
La cosa interessante? Questo non è un gioco da nerd. È una strategia di mercato. Il 65% dei dirigenti ha già una roadmap precisa per l’integrazione dell’IA nelle proprie operations. Significa che non è più “innovazione” da laboratorio R&D, ma una voce nei budget dei board. L’intelligenza artificiale entra nel cuore del ciclo produttivo, nella logistica, nell’assemblaggio, nei sistemi di controllo qualità, persino nel design del veicolo. Tradotto: l’IA serve a risparmiare, produrre meglio, e — ovviamente — più in fretta.
C’è poi un elemento che chi lavora davvero in azienda conosce bene: l’adozione di una nuova tecnologia è sempre una questione culturale. E qui succede qualcosa di rarissimo: il top management ci crede. Secondo IBM, il 79% degli executive afferma che l’IA è pienamente supportata dai livelli più alti. Non è una startup interna gestita da qualche CDO esaltato. È una strategic priority.
Ecco perché parlare di “paradigm shift” ha finalmente senso. Perché l’auto non sarà solo elettrica, autonoma o connessa. Sarà un oggetto che cambia natura, mercato, valore percepito. Sarà un software con le ruote. Un iPhone da guidare, se vuoi, o da farti guidare, se preferisci. L’importante sarà cosa ci gira sopra, non sotto il cofano.
L’intelligenza artificiale, in questo scenario, smette di essere lo spauracchio dell’automazione e diventa lo strumento per creare nuovi modelli di business. La vera posta in gioco non è la tecnologia, ma il potere di reinventare la mobilità, la proprietà, l’esperienza dell’auto. E soprattutto, i profitti.
Se sei un produttore che continua a pensare in termini di “pezzi venduti”, fai bene a tremare. Perché l’auto, quella vera, è già in cloud.