Tesla ha appena messo a verbale una delle sue peggiori trimestrali degli ultimi anni, con un crollo del reddito operativo del 66% e un calo complessivo del fatturato del 9% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Un bagno di realtà per chi ancora pensava che Elon Musk potesse surfare indefinitamente sull’onda dell’innovazione green. La discesa è principalmente dovuta a un calo del 20% nelle entrate del comparto automotive, il core business che ha reso Tesla ciò che è. E tutto mentre l’azienda spende a piene mani nell’intelligenza artificiale, un settore tanto promettente quanto ancora lontano dal monetizzare in modo solido.

Non bastava la frenata della produzione: Tesla ha anche consegnato meno veicoli rispetto a qualsiasi trimestre dell’ultimo anno. Un dato che puzza di crisi, ma che secondo la narrazione ufficiale è stato causato da una “pausa tecnica” per aggiornare le linee del Model Y. Una pausa che ricorda quelle dichiarazioni da conferenza stampa in cui si tenta di camuffare un naufragio come un atterraggio controllato.

Eppure, dietro la discesa nei numeri si nasconde qualcosa di più interessante: una torsione politica. Il nuovo Model Y e il Model 3 sono ora prodotti con batterie interamente americane, scelte che li mettono al riparo da alcune delle nuove misure tariffarie introdotte da Donald Trump. Già, quel Trump. Il ritorno del tycoon alla ribalta politica statunitense sembra avere una correlazione sempre più diretta con l’ecosistema Tesla. Secondo quanto ammesso dallo stesso Musk, non pochi clienti hanno voltato le spalle al marchio per la sua crescente affiliazione con il presidente ex-futuro Trump, creando una frattura tra brand e consumatore “progressista” che aveva fatto di Tesla un’icona.

Il fatto che Elon Musk abbia annunciato che ridurrà (ma non terminerà) la sua collaborazione con il “Department of Government Efficiency” per dedicarsi di più a Tesla è, come minimo, sintomatico. Una mossa che suona come una confessione: il tempo passato a tagliare costi nella burocrazia governativa USA ha forse distratto il CEO da quello che era il suo vero playground. Ora, evidentemente, il fuoco sta tornando a bruciare sotto i piedi e la priorità torna ad essere il marchio che lo ha reso imperatore della Silicon Valley.

Tuttavia, nonostante il quadro attuale sembri cupo, Musk ha confermato che il lancio sperimentale del servizio robotaxi ad Austin rimane nei tempi, previsto per giugno. Si partirà con una flotta pilota di 10-20 Model Y, anche se con tipica vaghezza eloniana il numero esatto è ancora in discussione. È chiaro che si tratta più di un annuncio da investitori in cerca di speranza che di un vero salto industriale.

Quanto ai nuovi modelli a basso costo, Tesla giura che la produzione partirà nella prima metà del 2025. Ma solo pochi giorni fa, un’inchiesta di Reuters ha messo in dubbio questo calendario, suggerendo uno slittamento verso fine anno. Insomma, anche qui, la narrativa aziendale e la realtà si osservano da angolazioni opposte, come due estranei costretti a condividere lo stesso tavolo.

Tesla oggi si trova in una fase di transizione piena di incognite, tra mercati ostili, decisioni politiche discutibili e un pubblico sempre più disilluso. E se l’auto elettrica è ancora il futuro, il presente si presenta ben meno lucido di quanto Elon vorrebbe farci credere.

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