Mentre l’industria della tecnologia celebra con fanfare ogni nuovo traguardo di performance nei modelli di intelligenza artificiale dal GPT-4.5 a Gemini, passando per LLaMA 3 la vera rivoluzione si sta consumando sottotraccia, nel silenzio dei protocolli di comunicazione tra agenti AI. Come in una sala riunioni di CEO, dove tutti sono brillanti ma nessuno ascolta, le intelligenze artificiali possono essere geniali singolarmente, ma assolutamente inutili se non parlano la stessa lingua, con lo stesso ritmo, con la stessa logica condivisa. E qui entra in scena l’infrastruttura invisibile, il tessuto protocollare che tiene insieme ecosistemi complessi di agenti autonomi.

In un sistema multi-agente, ogni AI non è solo un processore di informazioni, ma un attore che deve percepire, deliberare, negoziare, e agire in un contesto dove altri attori fanno lo stesso. E lo fanno contemporaneamente. Non stiamo più parlando di modelli che predicono la prossima parola, ma di ecosistemi che costruiscono interazioni, pianificano strategie collaborative o competitive, si adattano, e persino si sabotano – se il sistema lo consente. 

L’emergenza nasce da un paradosso tecnologico tanto elegante quanto esplosivo: più l’AI è autonoma, più ha bisogno di comunicare in modo standardizzato per evitare di degenerare in comportamenti emergenti caotici o inutili. Pensiamo a un sistema di supply chain automatizzato in cui ogni nodo è controllato da un agente AI. Senza protocolli di comunicazione affidabili, resilienti e comprensibili, basta un’incomprensione semantica su cosa significhi “urgente” o “prioritario” per creare un effetto domino di disservizi globali. Altro che prompt engineering: qui si parla di diplomazia computazionale.

E non si tratta solo di trasmissione dati. Si parla di intenzione, fiducia, interpretazione del contesto. Per questo stanno emergendo linguaggi ontologici, modelli conversazionali inter-agente, e sistemi che tracciano la coerenza delle interazioni. È come passare dalla messaggistica tra bot all’adozione di un protocollo etico tra entità autonome. OpenAI, Anthropic e altri stanno già lavorando su strutture come i constitutional agents, sistemi dove gli agenti AI seguono regole esplicite di comportamento e cooperazione. Ma senza un’interfaccia condivisa per esprimere queste costituzioni, si torna al Medioevo digitale: ogni feudo AI parla la propria lingua.

La verità è che stiamo entrando in un’era in cui il protocollo è il prodotto. Come già successo per l’email, i social, i sistemi bancari, ciò che definisce la scala e la resilienza di un ecosistema non è l’intelligenza dei nodi, ma la coerenza delle interazioni. Le startup più lungimiranti non stanno costruendo modelli sempre più grandi: stanno progettando agenti più cooperativi, più regolamentati, più prevedibili. Stanno creando il linguaggio della diplomazia tra macchine, e questo, per una volta, non è solo un esercizio ingegneristico: è una forma di governance.

Se vogliamo evitare un futuro in cui gli agenti AI si parlano addosso, incapaci di coordinarsi in una società artificiale, dobbiamo riconoscere che l’intelligenza senza interazione è sterile. I protocolli sono la nuova arena di innovazione. Il vero terreno di battaglia non è la prossima architettura transformer, ma la capacità di standardizzare significati, intenzioni, obiettivi. In altre parole: non è più una guerra di neuroni, ma di sintassi condivisa.

Nel panorama sempre più vasto dell’intelligenza artificiale, la comunicazione tra agenti autonomi sta diventando un elemento cruciale. Un recente confronto tra i principali protocolli di comunicazione—MCP, A2A, ANP e ACP—ha messo in luce le caratteristiche, i punti di forza e le limitazioni di ciascuno, offrendo spunti preziosi per sviluppatori e aziende.

ProtocolloSviluppato daArchitetturaScoperta agentiSupporto sessioniLivello di trasportoPunti di forzaLimitazioni
MCP (Model Context Protocol)AnthropicClient-ServerRegistrazione manualeStatelessHTTP, Stdio, SSEEccellente per il tool callingFunzionalità concentrata su un singolo aspetto
A2A (Agent to Agent Protocol)GoogleCentralized Peer-to-PeerMotore di ricerca agentiSession-aware o statelessHTTP, SSE (opzionale)Ottimo per negoziazione tra agentiNecessita di un catalogo di agenti preesistente
ANP (Agent Network Protocol)CloudsDecentralized Peer-to-PeerRegistry decentralizzatoStateless con DIDHTTP con JSON-LDNegoziazione nativa AI-readyAlto sovraccarico in fase di negoziazione
ACP (Agent Communication Protocol)@rakeshgohel01Non specificataRetrieval via HTTPSession-aware con tracciamento statoHTTP + stream incrementaliModularità strumenti e composabilitàDipendenza da registry centralizzato

Quale Protocollo Scegliere?

La scelta del protocollo dipende dalle esigenze specifiche:

  • MCP è l’opzione migliore per chi cerca efficienza nel tool calling.
  • A2A brilla negli scenari di negoziazione tra agenti.
  • ANP offre flessibilità in ambienti decentralizzati.
  • ACP è ideale per chi necessita di modularità e tracciamento delle sessioni.

Dietro l’apparente tecnicismo, si cela un mondo in fermento dove ogni attore dell’arena AI sta tentando di imporre il proprio standard di comunicazione tra agenti intelligenti, ognuno col proprio bias architetturale. Se MCP punta tutto su un minimalismo orientato al tool usage (perfetto per casi ChatGPT + strumenti), A2A di Google odora di semantica da marketplace semi-centralizzato, mentre ANP va full crypto-style nel suo fanatismo decentralizzato, salvo poi inciampare nei costi computazionali. ACP infine prova ad essere lo “zapier” degli agenti, ma senza una base distribuita resta incastrato in una centralizzazione involontaria.

Con il rapido evolversi delle tecnologie AI, la standardizzazione di questi protocolli potrebbe diventare presto una priorità per garantire interoperabilità e scalabilità. Intanto, sviluppatori e organizzazioni hanno l’opportunità di sperimentare e contribuire allo sviluppo di queste soluzioni.

Fonte: Analisi condotta su dati pubblici e contributi della community.

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