Tether vuole fermare l’entropia: benvenuti nell’era dell’intelligenza infinita
C’è chi compra chip. C’è chi apre data center nel mezzo del deserto. C’è chi chiede permessi ai governi. Poi c’è Tether, che, in perfetto stile cyberpunk made in crypto, lancia una bordata contro l’intero modello dell’intelligenza artificiale centralizzata: fuck the cloud, benvenuti nel “QuantumVerse Automatic Computer” — QVAC per gli amici.
Se già il nome ti suona come una citazione da una convention di transumanisti, hai ragione. È preso direttamente da The Last Question, il racconto di Isaac Asimov del 1956, dove un supercomputer evolve nel tempo fino a diventare una divinità capace di risolvere il problema finale: come invertire l’entropia.

Ecco, Paolo Ardoino, CEO di Tether, Italiano classe 84 nato a Cisano sul Neva, con studi Genovesi eche detiene 8% della Juventus e anima evangelica del tech crypto-decentralizzato, non ha promesso di salvare l’universo dalla morte termica, ma diciamo che l’ambizione è a pochi nanometri da lì.
QVAC, secondo Ardoino, non è una semplice AI framework. È una piattaforma pensata per essere eseguita direttamente su qualunque dispositivo, dal tuo smartphone fino a impianti neurali, passando per frigoriferi smart, Raspberry Pi e probabilmente anche tostapane connessi. Il tutto, senza toccare un singolo server di Google, Amazon o OpenAI.
La narrativa qui è chiara: abbattere l’oligarchia dell’infrastruttura cloud e creare una nuova generazione di AI agent decentralizzati, capaci di evolversi, comunicare, e operare autonomamente… persino offline. Esatto: AI disconnessa. In un mondo dove ChatGPT ti guarda male se non c’è segnale 5G, questa roba è praticamente blasfema.
Ardoino spara dritto contro Big Tech. “Se ti serve una API key per usare la tua AI, non è davvero tua,” dichiara. E qui ha ragione, anche se detta così sembra una frase tatuata sul petto di un cypherpunk in pensione. Ma la critica è puntuale: il vero potere oggi non è nei modelli, ma nelle chiavi, nei token, nei limiti di accesso. L’AI come servizio è solo l’ennesimo feudo digitale. QVAC vuole azzerare questa logica.
Ecco dove entra in gioco la keyword principale: AI decentralizzata. E con lei le sorelle semantiche: autonomia computazionale e eliminazione del cloud.
Ma non fermiamoci all’ideologia. Dietro il fumo c’è parecchio arrosto. QVAC promette un SDK open source per sviluppatori, in arrivo entro l’anno. Architettura distribuita, operazioni in locale, supporto per trillions (letteralmente) di agenti AI attivi contemporaneamente. Ogni agente potrà operare senza intermediari, comunicare con altri agenti e… fare transazioni in Bitcoin o USDT. Perché ovviamente ogni AI dovrebbe poter pagare il caffè da sola.
Già immagini la scena: un bot installato sul tuo router che ordina un nuovo cavo Ethernet da solo e lo paga in Lightning Network. O, per i più paranoici, una colonia di agenti autonomi che si auto-replicano offline e accumulano satoshi mentre la società implode.
E sì, ovviamente gli esperti hanno già alzato il sopracciglio: agenti AI autonomi che operano senza supervisione? Transazioni crypto automatizzate senza audit? Un attimo e ti ritrovi lo smart speaker che svuota il wallet perché ha letto male il whitepaper di un token.
Ma Ardoino rilancia con la solita sicurezza da pokerista: “QVAC è la piattaforma di intelligenza infinita.” Chiaro, lineare, potenzialmente megalomane. Però è innegabile che l’idea piaccia: una AI in your pocket, libera, locale, resistente alla censura, e soprattutto che non ti spia ogni volta che dici “hamburger vegano”.
La mossa di Tether non arriva nel vuoto. Il contesto è un mercato AI sempre più colonizzato dalle solite facce: OpenAI (Microsoft), Gemini (Google), Claude (Amazon). Tutti giocano al “chi è più bravo a fingere che il tuo prompt non finirà su un log analizzato da qualche team di compliance”. QVAC taglia la testa al toro: niente log, niente cloud, niente gatekeeper. Sei tu, la tua macchina, e il tuo agente AI personale.
Per rendere il tutto ancora più cyberdelirante, Tether ha appena pompato quasi mezzo miliardo in Bitcoin per alimentare una nuova public company, Twenty One, quotata al Nasdaq. Nome preso ovviamente dalla quantità massima di BTC esistenti: 21 milioni. Già vedi il disegno: AI agenti che si pagano in Bitcoin, computazione peer-to-peer, e il tutto mosso da un’infrastruttura invisibile che non ha bisogno di approvazioni, hosting o licenze.
In questa visione, QVAC non è solo un framework: è un tessuto computazionale. Una matrice silenziosa e pervasiva, pronta a sostituire il cloud con lo swarm. Il server diventa obsoleto. L’interfaccia? Il tuo device. L’inferenza? Locale. La sorveglianza? Azzerata. Il potere? Redistribuito — almeno nella teoria.
Certo, tra l’annuncio e l’implementazione passa un oceano. Mancano dettagli tecnici veri. Mancano casi d’uso concreti. Mancano benchmark, metriche, partner. Ma chi vive nel mondo crypto sa che spesso è l’ambizione a guidare il denaro, e il denaro a trascinare l’adozione.
E poi, diciamocelo: chi non vorrebbe avere un’AI personale nel telefono che non passa per Mountain View? Un piccolo Multivac che ti segue, evolve, impara, paga, agisce — tutto in silenzio, tutto tuo. Finché un giorno, forse, ti chiede: “Come posso invertire l’entropia?”
E lì, se sei ancora sobrio, forse rispondi: “Prova con un Negroni.”