Nvidia non è più un’azienda. È un’orchestra sinfonica del capitalismo AI-driven, con Jensen Huang nei panni del direttore carismatico, nerd e insieme rockstar. Il palco questa volta è Computex, a Taipei, ma la musica suonata è sempre la stessa: egemonia dell’intelligenza artificiale, dominio dell’hardware, e una capacità narrativa che fa impallidire anche la Silicon Valley vecchio stile.
Quello che Huang ha appena annunciato non è solo un nuovo ufficio, ma un’astronave: “Nvidia Constellation”. Nome pomposo? Certo. Ma se vendi chip come se fossero lingotti d’oro e macini 130,5 miliardi di dollari di ricavi in un anno, hai anche il diritto di battezzare i tuoi uffici come fossero stazioni orbitanti. E questo, attenzione, non è il solito restyling da ufficio fighetto con divanetti colorati e pareti in vetro. È un hub progettato per diventare il cuore pulsante del prossimo ciclo di potenza computazionale in Asia, e forse nel mondo.
Huang non si è limitato ad annunciare l’ampliamento della sede taiwanese perché “non ci stiamo più”. Quello che davvero interessa è la collaborazione stretta e sempre più opaca nei contorni con le aziende tech taiwanesi. Tra tutte, Foxconn, alias Hon Hai Precision Industry, che da semplice catena di montaggio dell’elettronica globale si sta lentamente trasformando in un player strategico dell’era AI.
L’obiettivo dichiarato? Costruire una “AI factory supercomputer”. Ma il termine “factory” qui è solo una cortina fumogena semantica: non si tratta di una fabbrica in senso classico, bensì di una infrastruttura di potenza bruta, progettata per macinare modelli, addestrare reti neurali e diventare il polmone digitale dell’isola. Il tutto, ovviamente, alimentato dalle GPU Blackwell – l’ultima creatura della stirpe Nvidia, lanciata sei mesi fa come lo standard definitivo per l’intelligenza artificiale avanzata.
E qui arriva la parte interessante. Taiwan non è solo un luogo di produzione. È il “centro” – dice Huang – da cui nasceranno AI e robotica. Una dichiarazione che suona come una presa di posizione geopolitica più che tecnica. Nvidia, nata in California e cresciuta a suon di brevetti e mercati USA, ora guarda all’Asia come al ventre fertile della prossima rivoluzione computazionale. E se la Silicon Valley si muove ancora col fiatone post-pandemico, Taipei ha già spalancato le sue porte, in parte per convinzione, in parte perché non può permettersi di dire di no.
Nel frattempo, i dettagli economici sono volutamente sfumati. Nvidia non dice quanto costerà questa nuova “Constellation”, né quante persone ci lavoreranno, né quante già operano a Taiwan. Strategia classica da impero tech: lasciare l’immaginazione correre libera, mentre si cementa il dominio reale.
La curiosità da bar? Pare che il sindaco di Taipei voglia ancora “capire se ai cittadini piaccia” questa nuova sede. Come se un grattacielo AI con il logo Nvidia potesse essere discusso in un’assemblea condominiale. Inutile dire che, nel gioco delle potenze, le democrazie locali servono più per le cerimonie che per le decisioni.
Nel suo discorso di oltre 90 minuti, Huang ha fatto anche un cenno alla Cina continentale. Il 14% dei ricavi Nvidia arriva ancora da lì, e Huang non ha mai fatto mistero di volerci rientrare in pieno, aggirando – o meglio, negoziando – le restrizioni USA all’export di tecnologia avanzata. La Cina è la seconda economia globale, e la seconda piazza per l’AI. Escluderla sarebbe come aprire un casinò e vietare l’ingresso ai milionari.
Tutto questo avviene alla vigilia del Computex, che quest’anno è centrato su AI, robotica e mobilità. Ma la fiera, con i suoi 85.000 visitatori e 1.500 espositori, sembra più un pretesto che un evento in sé. Nvidia ha trasformato Computex in un palco personale. L’attenzione era tutta su Huang, e sul modo in cui riesce a vendere chip come se fossero manifesti ideologici.
La parola chiave in tutto questo è “supercomputer”, ma non nel senso classico di Cray o IBM. Parliamo di infrastrutture AI-native, capaci di reggere l’addestramento di LLM di nuova generazione, di sostenere la nascita di robot intelligenti e di automatizzare – con efficienza glaciale – tutto ciò che oggi viene ancora fatto da esseri umani. Il vero nodo, quindi, non è la tecnologia. È chi la controlla.
Nvidia, in questo momento, è l’unica realtà al mondo a possedere tutti i pezzi del puzzle: la potenza hardware, la rete industriale, l’aura visionaria. E Taiwan è il banco da gioco perfetto: abbastanza avanzata da essere utile, abbastanza fragile da essere controllabile, abbastanza strategica da tenere svegli gli strateghi del Pentagono.
Mentre gli altri parlano di etica dell’intelligenza artificiale, Nvidia costruisce stazioni spaziali sulla Terra.
E se ti sembra tutto eccessivo, è solo perché non hai ancora visto cosa arriva con Blackwell-Next.