Benvenuti nel girone infernale delle conferenze tech, una spirale di eventi dove le aziende fanno a gara a chi riesce a far esplodere più parole come “intelligenza artificiale”, “partner strategico” e “vision”. Microsoft Build oggi, Google I/O domani. Settimana prossima? Probabilmente una nuova edizione di Ignite, ma chi riesce più a stare dietro a queste messe cantate del marketing algoritmico?

La liturgia è sempre la stessa. CEO sorridenti, slide colorate, demo con assistenti virtuali che “fanno cose”, pubblico che annuisce e stampa specializzata che finge entusiasmo mentre cerca di capire se il chip ha un nuovo nome o è solo lo stesso vestito da sabato sera con un firmware aggiornato.

Ma oggi, in mezzo alla giungla di annunci, un segnale vagamente interessante è emerso. Non da Redmond in sé, ma da uno dei suoi ospiti: Elon Musk.

Mentre Satya Nadella lanciava l’ennesima offensiva cloud con Azure, ecco comparire in video Musk, l’uomo che alterna razzi spaziali e tweet sconclusionati con una disinvoltura disarmante. Il messaggio? Grok, il chatbot sviluppato dalla sua xAI, sta iniziando a essere utilizzato per gestire il customer service di SpaceX e Tesla. Ma soprattutto, Musk vuole venderlo ad altre aziende. Vuole competere. Fare soldi. Scalare.

E qui, cari lettori, si accende un faro nel buio della banalità.

Non tanto perché Grok sia tecnicamente superiore (spoiler: non lo è, almeno finora), ma perché Musk gioca un’altra partita. Non ha bisogno di convincere gli analisti, ha già un culto. Gli basta annunciare una cosa per raccogliere miliardi. L’AI diventa così solo l’ultima estensione del suo brand personale, il nuovo giocattolo da rendere virale con una strizzata d’occhio ai suoi fedeli.

Il problema, però, è che il mercato AI sta diventando un gigantesco centro commerciale con gli stessi identici negozi.

Microsoft offre Copilot, integrato ovunque, dal cloud a Excel. OpenAI rilascia un agente AI per il coding che può fare cose complesse senza intervento umano. Tre giorni dopo, Microsoft presenta la stessa cosa. La settimana prima, Google ci stava lavorando. Tutti annunciano agenti. Tutti promettono automazione. Tutti sognano il lavoro senza lavoratori.

Questi AI agents sono la nuova buzzword, ovvero software autonomi capaci di portare a termine compiti su richiesta, senza dover essere babysitterati da un umano. In teoria, ti scrivono codice, ti ordinano la pizza, ti gestiscono la mail, forse ti crescono pure i figli.

Ma la domanda reale è: se tutti costruiscono la stessa intelligenza, dove sta il vantaggio competitivo?

Stanno spendendo decine di miliardi per fare le stesse cose, con le stesse architetture, gli stessi data center e modelli formativi simili. L’unica differenza è il colore della presentazione PowerPoint. È il trionfo della convergenza, o per dirla brutalmente, la commoditizzazione dell’AI. Un’inflazione di promesse algoritmiche.

A proposito di inflazione, nel frattempo Jensen Huang l’instancabile CEO di Nvidia si è trasformato in un’icona itinerante. Lo trovi ovunque: a Computex a Taiwan, in video con Nadella a Build, in Arabia Saudita con Trump (!), a Las Vegas con ServiceNow, e la prossima settimana di nuovo sui mercati per gli earnings. Se Satana dovesse organizzare una conferenza sul Machine Learning Infernale, Jensen sarebbe lì, con la giacca di pelle, pronto a mostrare il nuovo chip da 10 zettabyte.

Questa onnipresenza è più che simbolica. Nvidia è il vero vincitore di tutta questa follia AI. Mentre gli altri si scannano per posizionare il loro assistente, Nvidia vende le pale d’oro per la corsa all’oro. I chip. Le GPU. Le fondamenta fisiche su cui poggia il delirio digitale. Mentre Microsoft, Google, Meta, xAI e compagnia urlano “intelligenza!”, Huang conta i margini.

E in questo marasma, il povero consumatore o peggio, il CTO di un’azienda media guarda tutto questo con la stessa espressione di chi ascolta una televendita di pentole che cucinano da sole.

Certo, la narrativa è potente: l’agente AI risolve problemi, riduce costi, migliora produttività. Ma sotto la superficie c’è un dettaglio poco discusso: la qualità. Questi agenti sono ancora lontani dalla maturità. Sbagliano. Inventano. Delirano con estrema sicurezza. Affidar loro compiti critici è come dare a un apprendista barista le chiavi della centrale nucleare.

Per non parlare del fatto che molti di questi prodotti nascono per vendere la cloud consumption. L’AI non è più solo una tecnologia: è uno schema per farti consumare più CPU, più GPU, più storage. Gli assistenti “intelligenti” sono, in realtà, perfetti cavalli di Troia per aumentare il fatturato ricorrente mensile delle big tech.

E mentre Musk cerca di piazzare Grok come il nuovo Zendesk con testosterone, Google annuncia che forse non annuncerà nulla, perché ha paura che OpenAI lo freghi di nuovo come l’anno scorso. Come dire: benvenuti nell’era della competizione passiva-aggressiva.

La verità è che il settore AI si sta trasformando in una sitcom di episodi ricorrenti, con attori sempre più prevedibili.

E in fondo, la domanda vera è solo una: chi avrà il coraggio di dire che l’imperatore è nudo?

Perché se la risposta all’innovazione è: “Abbiamo fatto la stessa cosa di tutti gli altri, ma l’abbiamo chiamata Copilot Ultra Pro Max”, allora forse il futuro non è così intelligente come ci vogliono far credere.

Intanto, noi ci prepariamo alla prossima conferenza, con una tazza di cinismo e una VPN ben configurata. Non si sa mai che l’AI inizi davvero a funzionare. Ma non oggi.