È successo di nuovo. Google, il semidio dell’algoritmo e padrone indiscusso dell’attenzione umana, ha trovato un altro modo per trasformare la nostra sete di risposte in un’occasione pubblicitaria. Con una mossa che sa di geniale cinismo, la Big G ha annunciato che inizierà a testare gli annunci pubblicitari all’interno della modalità AI – quella stessa che prometteva “risposte pure”, sintetiche, oggettive. Spoiler: saranno monetizzate.
No, non si tratta di un abbellimento grafico o di un badge sponsorizzato mimetico in stile “contenuto consigliato”. Qui si parla di Search Generative Experience, o meglio, dell’ennesima mutazione del motore di ricerca in vetrina programmabile. La parola chiave è AI Mode, con un’estensione semantica ben definita: pubblicità in AI Overviews, Performance Max, Search campaigns. E sì, se stai già pagando, la tua pubblicità potrebbe essere infilata direttamente dentro la risposta generata dall’IA. E se non lo stai facendo, beh, accomodati o scompari.
Ma facciamo un passo indietro. Per chi ancora non mastica abbastanza algoritmica: Google ha lanciato AI Mode per rispondere a domande complesse con sintesi create da Gemini 2.5, il modello multimodale che digerisce immagini, testo e contesto in modo simultaneo. Non si limita a elencare link, ma crea una risposta ragionata, simile a quella di un assistente umano che non sbuffa. O almeno così promettono. E adesso? Adesso tra le frasi pensate per illuminarti la via, ci sarà anche spazio per un bel “Scopri la nostra offerta esclusiva”.
Sembra ironico? Non lo è. È marketing comportamentale con steroidi.
Google ha dichiarato candidamente che gli utenti “stanno trovando utili gli annunci all’interno delle AI Overviews perché possono connettersi rapidamente con aziende e prodotti”. Certo. Come se nel bel mezzo di una ricerca su come trattare l’emicrania cronica, comparisse un box che ti invita a comprare il nuovo materasso ortopedico da mille euro. Perché no?
Il punto centrale di questa operazione è l’equazione perfetta tra intento di ricerca, modello linguistico e intelligenza commerciale. Più il tuo prompt è lungo, più l’IA deduce che tu sia davvero interessato. Tradotto: più sei disperato, più vale la pena venderti qualcosa. AI Mode gestisce query fino a tre volte più lunghe del normale, con la capacità di tenere il contesto delle domande successive. Il che significa che ti ascolta. E poi ti propone. E poi ti converte.
Non è pubblicità, è consulenza vestita da risposta.
Questa novità parte dagli Stati Uniti, ovviamente. Laboratorio perfetto, come sempre. Ma Google ha già promesso che l’espansione è imminente: desktop e mobile, lingua inglese per ora, ma aspettatevi un rollout globale nei prossimi mesi. E se sei un inserzionista, basta che tu stia usando Performance Max, Shopping Campaigns o Broad Match – in particolare l’AI Max per Search – e il gioco è fatto. Le tue pubblicità saranno digerite dall’algoritmo e rigurgitate in forma di suggerimento credibile. Magari proprio sopra la risposta che dice: “le 5 migliori creme per la pelle secca consigliate dai dermatologi”.
C’è da chiedersi se esista ancora un confine tra informazione e promozione, o se quel confine sia stato definitivamente cancellato dal machine learning. Perché una volta che l’utente non distingue più tra contenuto neutro e contenuto sponsorizzato, il risultato è un’illusione di oggettività generata al volo e plasmata su misura per farti cliccare.
Ma tranquilli, tutto è sotto controllo. Google ci tiene a precisare che gli annunci saranno “segnalati chiaramente”. Sì, come quando sulle bottiglie di Coca Zero c’è scritto “senza zucchero” e qualcuno ancora pensa sia salutare.
La cosa più affascinante, o agghiacciante a seconda di come la guardi, è la natura autoalimentante di questo sistema. L’AI apprende dai comportamenti, i comportamenti vengono influenzati dagli annunci, gli annunci vengono generati in base ai comportamenti. Un ciclo perfetto, in stile capitalismo quantistico. Siamo dentro una catena di montaggio dove la materia prima è la tua attenzione e il prodotto finale è una conversione pubblicitaria.
A margine, c’è anche un piccolo dettaglio tecnico che merita attenzione: l’utilizzo di Gemini 2.5 come architettura base. Questo significa che non stiamo parlando di una semplice risposta NLP vecchio stile, ma di un engine che può processare e generare ragionamenti complessi su input testuali e visivi. In pratica, l’annuncio pubblicitario inserito nella risposta non sarà un’intrusione goffa, ma un suggerimento semanticamente integrato, quasi indistinguibile dal consiglio utile. Ti chiederai se davvero non sia stato l’IA a suggerirlo per “aiutarti”. E tecnicamente lo sarà.
Curiosità da bar: lo sapevi che uno degli esperimenti interni a Google usava un LLM per testare l’efficacia emotiva degli annunci, selezionando quelli con la “risposta empatica” più forte? Non quelli più pertinenti. Quelli più sentiti. Quando anche i banner pubblicitari avranno una coscienza artificiale, forse ci mancheranno gli spot di Telemarket.
Per ora siamo solo all’inizio. Ma la direzione è chiara: ogni risposta che riceveremo da un motore di ricerca sarà una mediazione tra verità algoritmica e interesse commerciale. Una sintesi che si presenta come oggettiva, ma che ha sempre un prezzo. E no, non è solo in CPC. È in fiducia.
Nel frattempo, cerca pure “come curare l’insonnia” su Google AI. Magari la risposta è utile. Magari ti propone anche un abbonamento mensile a un’app di mindfulness. Con il primo mese gratis, ovviamente.