Nel grande luna park dell’innovazione tecnologica, ci sono attrazioni che si ripetono a intervalli regolari come i giri della giostra: intelligenze artificiali che diventano maggiordomi digitali, automobili che si guidano da sole, e… occhiali smart. Sì, quegli stessi occhiali che dieci anni fa ci hanno fatto vergognare dei nerd di Mountain View e oggi promettono di renderci cyborg da passerella. Ora che anche Google è tornata in pista, con Samsung e Gentle Monster a fargli da stylist, la battaglia sugli occhi del mondo è ufficialmente riaperta.
Non si tratta più di gadget da geek in cerca d’identità sociale. Ora si parla di occhiali che sanno dove sei, chi stai guardando, cosa vuoi fare, e magari anche chi stai ignorando su WhatsApp. Gli smart glasses non sono più i Google Glass del 2013, quella reliquia da museo del fallimento, dove la tecnologia era avanti e la società era indietro. Adesso la società ci è arrivata, anzi è già due fermate più in là, con le AI che scrivono poesie, i deepfake che fanno politica e l’attenzione umana che dura meno di una storia su Instagram.
Quindi sì, adesso è il momento. E Google lo sa.
Il debutto di questi nuovi occhiali AI, presentati in pompa magna al Google I/O, segna un passo avanti che Zuckerberg non può ignorare. Mentre Meta si trastulla con Ray-Ban e Luxottica, lanciando modelli che fanno foto e suonano musica come un iPod del 2006 con le lenti, Google mostra qualcosa di diverso. Meno moda, più cervello. Non solo scatti o notifiche: mappa sovrapposta alla realtà, email in tempo reale, messaggi che fluttuano davanti agli occhi, e il tocco magico del Gemini AI. Tutto questo integrato in un frame che non ti fa sembrare un cosplay di RoboCop.
E mentre tutti aspettano Apple – perché, diciamolo, qualsiasi oggetto esista al mondo esiste veramente solo quando lo fa Apple – Google ha deciso di alzare la posta. Senza data di lancio, senza prezzo, senza promesse da televendita. Solo un chiaro messaggio: siamo tornati, e questa volta abbiamo imparato la lezione. Perché nel 2013 gli occhiali smart erano un’idea troppo brutta in un corpo troppo tecnologico. Oggi sono un corpo elegante per un cervello artificiale che vuole diventare naturale.

Ma la vera guerra qui non è tra prodotti. È tra piattaforme.
Zuckerberg lo ha capito prima di tutti: chi controlla la prossima interfaccia, controlla il mondo. E oggi, quell’interfaccia potrebbe essere qualcosa che indossiamo, non che teniamo in tasca. Non è più solo questione di smartphone: è questione di realtà aumentata, di mixed reality, di uno spazio dove l’informazione non si consulta ma si vive, dove la realtà non si guarda ma si commenta in overlay. E se Meta dipende ancora dai sistemi operativi di Apple e Google, con i suoi occhiali spera di costruire un’uscita di emergenza da quell’ecosistema. Peccato che Google l’abbia capito, e ora voglia impedirglielo.
E qui arriva l’ossessione. Quella per la next computing platform. Quella piattaforma che non è un desktop, non è un laptop, non è un telefono. È qualcosa che usi senza sapere di usarla, che si infila tra te e il mondo senza chiederti permesso. Il Santo Graal di ogni azienda tech che sogna di diventare Stato sovrano: un sistema operativo visivo per la percezione umana.
Intanto, come in ogni tragedia greca che si rispetti, mentre i titani si scontrano nei cieli, Elon Musk compare in controluce, con la solita faccia da uno che sa più di quello che dice, e dice più di quello che dovrebbe. Gira in video interviste come se fossero riunioni di condominio, passando da Bloomberg a CNBC in poche ore, parlando di fusioni tra Tesla e xAI come se stesse scegliendo tra sushi o pizza. E intanto, nel sottobosco di Austin, prepara i suoi robotaxi per il debutto. Silenziosamente, ma nemmeno troppo.
Cosa significa tutto questo? Che il 2025 potrebbe davvero essere, come dice Zuckerberg, l’anno in cui si capisce la traiettoria degli occhiali AI. Solo che il tracciato sembra sempre più simile a quello di una Formula 1 impazzita. Tutti vogliono il primo posto, ma nessuno sa ancora dove sia il traguardo. Meta ha la community, Google ha l’ecosistema, Apple ha l’hardware e il culto, e Musk… Musk ha i soldi, l’audacia e un ego che si alimenta a colpi di meme.
Nel mezzo, ci siamo noi. Umani con occhi ancora nostri, ma per quanto? Perché quando questi occhiali saranno veri, reali, disponibili, e non più prototipi da conferenza, ci accorgeremo che non stiamo solo scegliendo un gadget. Stiamo scegliendo un modo di vedere il mondo, letteralmente.
E in quel momento, la privacy sarà un ricordo, l’identità un optional, e il libero arbitrio… una notifica a comparsa.
Oppure, come dice sempre il mio barbiere quando vede uno col visore VR: “È ufficiale, siamo tornati nel futuro. Ma con meno capelli.”