Chi ha ancora il coraggio di nominare Google Glass senza un mezzo sorriso sarcastico, probabilmente ha rimosso anni di fallimenti tecnologici e pitch da conferenza TED destinati all’oblio. Ma eccoci di nuovo: Google ci riprova, stavolta alleandosi con i cinesi di Xreal, ex Nreal, quelli che volevano farci indossare il futuro mentre ancora faticavamo a togliere le etichette dagli occhiali da sole.

Il progetto si chiama Project Aura. Nome etereo, un po’ new age, un po’ sci-fi distopico. Ma attenzione: non è l’ennesima startup con un pitch gonfiato a buzzword. È il tentativo di rilancio ufficiale della divisione AR di Google, con un partner cinese che negli ultimi anni ha piazzato più occhiali spaziali nei negozi di quanto abbia fatto Meta nei suoi sogni bagnati di metaverso.

L’annuncio è arrivato sul palco del Google I/O, con tutto il teatrino tipico delle big tech: video teaser con musiche epiche, promesse vaghe, e l’inevitabile tagline da fantascienza di serie B: “E se l’AI avesse gli occhi?”. No, non è un nuovo thriller di Netflix. È realtà aumentata, finalmente con un sistema operativo dedicato: Android XR.

Sì, proprio così: Android ora ha una versione pensata per l’extended reality. Un po’ come se Google avesse capito (in ritardo di dieci anni) che non basta buttare un’interfaccia mobile in un visore per farlo funzionare. Era ora. Ed è qui che Xreal entra in scena, portandosi dietro un hardware che – almeno sulla carta sembra il compromesso perfetto tra occhiali da sole e dispositivo da cyborg.

Gli occhiali di Project Aura, alimentati da un processore Snapdragon (la scelta più sicura per chi vuole flessibilità senza progettarsi tutto da zero), offrono due modalità: optical see-through, per vedere il mondo con sovrapposizioni digitali, e virtual see-through, dove la realtà viene ricostruita con fotocamere e poi modificata con layer digitali. La differenza? Una ti lascia vedere tua suocera, l’altra te la può far apparire come un avatar animato. Magia dell’AI.

Dettagli tecnici, per ora, col contagocce. Sappiamo solo che l’arrivo sul mercato è previsto tra fine 2025 e inizio 2026. Perché? Perché Google non rilascia mai nulla prima che l’hype abbia raggiunto livelli tossici. E perché Xreal, nonostante il nome futuristico, deve ancora scrollarsi di dosso lo stigma da “azienda hardware cinese che fa le cose troppo in fretta”.

Xu Chi, il fondatore, è l’ennesimo ingegnere espatriato tornato in patria dopo un passaggio a Nvidia e al cimitero degli AR dreams chiamato Magic Leap. La sua visione? Rendere gli occhiali una vera alternativa allo smartphone. Una roba da visionari o da matti, a seconda del trimestre di bilancio.

Intanto, Xreal ha già piazzato oltre 500.000 occhiali nel mondo. E no, non sono quei caschi da palombaro della VR anni 2010. Sono leggeri, relativamente eleganti e soprattutto tethered, cioè collegati a un piccolo dispositivo esterno chiamato Beam Pro, qualcosa a metà tra uno smartphone e una console portatile per spatial computing. La classica soluzione da ingegneri: non possiamo miniaturizzare tutto? Allora mettiamolo in tasca.

Sul fronte finanziario, Xreal è ben messa. Alibaba ci ha messo 60 milioni. C’è anche Nio, i cinesi delle auto elettriche, e pure Gentle Monster, quei pazzi che vendono occhiali da sole a 500 euro l’uno ai fashion victim di Seul. Più altri investitori con nomi da film di spionaggio: HongShan, Shunwei, Yunfeng. Traduzione: soldi, tanti, e tutti da Pechino o dintorni. Altro che Silicon Valley.

Il punto interessante – e dove il tutto puzza di guerra fredda 2.0 sotto mentite spoglie tech – è che Project Aura, pur essendo un figlio misto USA-Cina, è il primo vero candidato a portare AI e AR sugli occhi della massa. Altro che Vision Pro da 3500 dollari. Qui si parla (si mormora) di prezzi sotto i 600 dollari. E con un design che – finalmente – non ti fa sembrare un cosplayer di Star Trek a una fiera di provincia.

Nel frattempo, i competitor non stanno fermi. Meta ha le sue Ray-Ban smart, carine ma limitate. Apple gioca la carta premium con il Vision Pro, ma non è ancora scesa dagli altari per parlare al popolo. E altri nomi, come Orion e Artemis, sembrano più entità mitologiche che aziende concrete.

Tutto ruota attorno a una verità che fa male a dirsi ad alta voce nei corridoi delle big tech: nessuno ha ancora capito davvero cosa vogliamo fare con la realtà aumentata. Navigare? Giocare? Leggere email mentre attraversiamo la strada? L’unica certezza è che se un visore AR non sarà più utile (e più figo) di uno smartphone, rimarrà nella scatola. O peggio, nei magazzini Amazon accanto ai tappeti per fare yoga con l’AI.

C’è una vecchia battuta da bar che dice: “Se Dio avesse voluto che usassimo gli occhiali per vedere i meme, ci avrebbe dato la connessione 5G in testa.” Beh, pare che Google e Xreal abbiano preso la cosa alla lettera.

Ora non resta che aspettare l’Augmented World Expo di giugno, dove probabilmente vedremo Project Aura in azione. O almeno, vedremo un altro video teaser. Perché la nuova regola dell’innovazione è chiara: se non puoi farlo funzionare, almeno fallo sembrare figo su Instagram.