In principio fu Elon. L’elettrico, la disruption, i meme su Twitter (pardon, X), e quella supremazia industriale travestita da culto messianico. Ma il Vangelo secondo Tesla è finito sotto il paraurti di BYD, colosso cinese che nel giro di pochi trimestri è passato dal ruolo di comparsa esotica a dominatore del mercato BEV in Europa. Sì, in Europa. Non in Cina. Non in qualche mercato emergente drogato di sussidi. Nella civilissima, normata, tassatissima Unione Europea. E tutto questo nonostante dazi, diffidenza culturale e un pregiudizio che sa ancora troppo di “Made in PRC = copia economica”.

Sembra uno scherzo. Ma è un sorpasso reale. Quasi banale.

Ad aprile, BYD ha venduto più veicoli elettrici puri di Tesla nel Vecchio Continente. 7.231 contro 7.165. Pochi numeri, grande terremoto. Perché, come sottolinea con inglese felpato Felipe Munoz di Jato Dynamics, “the implications are enormous”. In altre parole: l’era di Tesla come unico profeta elettrico potrebbe essere agli sgoccioli. E no, Elon non ha perso la corona per colpa di un tweet maldestro o di qualche causa in Delaware. È successo perché la Cina ha capito una cosa che l’Occidente continua a ignorare: l’auto elettrica non è una religione. È una commodity.

Il paradosso? BYD lo fa proprio mentre i dazi europei cercavano di contenerne l’espansione. Bruxelles impone tariffe fino al 45% sulle BEV cinesi e pensa di aver lanciato una bomba protezionista. Ma Pechino risponde come Sun Tzu: cambia mossa, cambia trazione, cambia gioco. Invece delle full electric, i cinesi iniziano a invadere l’Europa con ibridi plug-in (PHEV), una categoria che Bruxelles non ha blindato. Risultato? +546% di vendite anno su anno nel segmento PHEV. Un’ondata silenziosa e legale, che aggira le barricate come acqua sotto una porta mal chiusa.

Il dominio orientale non è più solo una minaccia, è una presenza consolidata. In soli due anni, BYD è passata da esperimenti in Olanda e Norvegia a stabilire quartier generale e fabbrica in Ungheria. E non una fabbrichetta per fare scena. Parliamo di un hub produttivo pronto per metà 2025, integrato con un centro R&D, e pensato per radicare il marchio nel cuore dell’Europa. Non per caso. Per strategia.

La Cina non gioca alla globalizzazione: la scrive.

Il punto debole della narrativa occidentale è pensare che la superiorità tecnologica sia inscalfibile, e che basti qualche leva doganale per contenere la scalata asiatica. Ma la verità è che BYD, Chery e soci non stanno solo esportando auto. Stanno esportando modelli industriali. Architetture modulari, supply chain integrate verticalmente, una visione platform-based dell’automotive che fa impallidire il modello Fordiano della vecchia Europa. E lo fanno a costi che i costruttori tedeschi, francesi e italiani non possono neanche sognare.

Curiosità da bar: BYD sta per Build Your Dreams. Ma nel 2025, per l’Europa, l’acronimo suona più come Break Your Dogmas.

Cosa sta facendo Tesla nel frattempo? Non molto. Vendite in calo del 49% ad aprile. Gamma stagnante. Innovazioni marginali. Sembra quasi che Musk, dopo aver fatto terra bruciata nella prima ondata elettrica, si stia sedendo sugli allori mentre i concorrenti costruiscono autostrade sotto i suoi piedi. La Model 3 comincia ad avere rughe evidenti. La Model Y non è più “cool”, è solo “diffusa”. Il Cybertruck? Ottimo oggetto da TikTok. Ma non adatto al parcheggio europeo. Il problema non è la tecnologia. È l’arroganza.

L’Europa si trova in mezzo a questo scontro come un arbitro confuso. Incerta se proteggere i propri marchi zombie o favorire davvero la transizione energetica. Per ora si limita a rincorrere. Impone dazi qui, discute “price floors” là, ma intanto la quota di BEV cinesi cresce. Cresce anche quando dovrebbero diminuire. Cresce con modelli più accessibili, più adatti alla classe media europea che non vuole più pagare 50.000 euro per sentirsi eco-chic. Cresce mentre le case tedesche litigano sul software e quelle francesi si autocelebrano per vendere ancora una manciata di Clio elettriche.

La realtà è che il concetto stesso di “marca premium” sta saltando. Per la Gen Z, il badge conta meno dell’esperienza digitale. E su quello, i cinesi stanno vincendo facile. Infotainment fluido, App native, interfacce simili a smartphone: tutto ciò che rende una BYD più simile a un iPhone su ruote che a una vecchia Golf con batteria.

Quindi no, non è solo una questione di numeri. È un cambio di paradigma. L’auto elettrica non è più l’auto del futuro. È il presente di qualcun altro. Un presente fatto di ingegneria cinica, pricing chirurgico e logistica predatoria. Ma anche – bisogna dirlo – di efficienza, capacità di scala e audacia industriale. Tesla ha creato l’onda. Ma è la Cina che sta imparando a surfare meglio.

E l’Europa? Per ora, prende acqua.