La Gran Bretagna, patria del pragmatismo anglosassone e dei treni che arrivano in ritardo con puntualità matematica, decide di lanciarsi nell’impresa più ambiziosa del XXI secolo: trasformare la medicina da reattiva a predittiva. Non un upgrade, ma un salto quantico. Lo fa attraverso Foresight, un nome che puzza di marketing più che di scienza, ma dietro cui si nasconde un progetto tanto visionario quanto disturbante: usare un’intelligenza artificiale generativa per prevedere chi si ammalerà, quando e di cosa, per poi intervenire in anticipo con terapie personalizzate. Futuristico? No, inquietante. Perché qui non si parla più di diagnosi precoce, ma di pre-destino clinico.

Nel ventre burocratico e affollato del NHS, uno dei sistemi sanitari pubblici più stressati al mondo, si sta forgiando una creatura che ha il sapore di una distopia travestita da innovazione. Foresight è un’intelligenza artificiale addestrata su una mole di dati che ha dell’assurdo: 57 milioni di pazienti, praticamente l’intera popolazione britannica, scannerizzata digitalmente come se fosse una mandria in attesa del marchio. Visite mediche, ricoveri, farmaci, vaccini, persino i registri dei decessi: tutto confluisce in un mostro algoritmico che ha divorato oltre dieci miliardi di eventi medici tra il 2018 e il 2023.

E no, non è fantascienza. È realtà. Ed è appena iniziata.

La medicina predittiva è il Santo Graal dei sistemi sanitari del futuro: meno costi, più efficienza, vite salvate prima ancora di essere in pericolo. Ma è anche una mina etica, sociale e tecnologica pronta a esplodere. Perché se prevedi chi si ammalerà di tumore tra cinque anni, cosa fai? Lo assicuri diversamente? Gli neghi un mutuo? Lo marchi? Lo curi preventivamente bombardandolo di farmaci “profilattici”? Le domande sono più urgenti delle risposte. E l’IA non ha un’anima, né coscienza, né morale. Ha solo dati e modelli. È brava a trovare pattern, non a gestire dilemmi.

La vera provocazione di Foresight non è tecnologica, ma politica. Chi decide cosa fare con un’informazione che arriva prima della malattia? E soprattutto: siamo sicuri che tutti vogliano sapere? L’illusione della previsione totale affascina solo chi non ha mai guardato in faccia il caos della biologia. La salute non è un’equazione risolvibile con i big data. È un sistema complesso, sporco, incerto. Il tentativo di incasellarla in un codice predittivo è l’estrema espressione della hybris tecnocratica, quella che crede di poter hackerare la vita.

Naturalmente, Foresight è un capolavoro ingegneristico. Nessun altro sistema al mondo ha mai integrato una tale varietà e volume di informazioni cliniche in un unico framework computazionale. La sua forza è la stessa che lo rende pericoloso: riproduce il mondo reale, non una sua simulazione. Non è addestrato su dataset sintetici, ma su milioni di vite vissute, malate, guarite o terminate. E le implicazioni sono devastanti. Perché se l’algoritmo inizia a performare bene – e ci riuscirà, inutile illudersi – vorrà dire che avrà imparato a leggere il destino biologico degli individui con la stessa accuratezza con cui Netflix ti consiglia il prossimo film.

E no, non è la stessa cosa. Perché se Netflix sbaglia, passi una serata noiosa. Se Foresight sbaglia, magari ti imbottiscono di farmaci per una malattia che non avrai mai.

La parola chiave, qui, è una sola: controllo. E non intendo il controllo sulla salute, ma quello esercitato dal sistema sanitario su chi quella salute dovrebbe garantirla. L’algoritmo predittivo è una forma di biopotere: distribuisce attenzioni sanitarie non più in base a sintomi presenti, ma a rischi futuri. È il trionfo della medicina proattiva, ma anche l’inizio di un paradigma in cui il paziente non è più malato, ma potenzialmente malato a tempo indeterminato. Un paradosso che genera ansia, consumo, medicalizzazione permanente.

Ironia vuole che il primo grande esperimento di questo tipo avvenga proprio nel Regno Unito, dove il NHS – celebrato come gioiello del welfare post-bellico – sta affogando sotto il peso delle sue stesse inefficienze. Forse l’idea è che, se non riesci a curare tutti, allora tanto vale iniziare a prevedere chi curare davvero. Un triage algoritmico mascherato da innovazione.

C’è poi il nodo oscuro del consenso. Quei 57 milioni di cittadini britannici hanno davvero accettato che la loro vita clinica diventasse materia prima per l’addestramento di un’IA predittiva? O si sono ritrovati dentro il sistema come si finisce nei cookie dei siti: senza leggere i termini, cliccando “accept all” per disperazione? La privacy medica non è un dettaglio tecnico, è un fondamento democratico. Ma nel mondo di Foresight, la trasparenza è un optional e la sorveglianza è un servizio pubblico.

Nel frattempo, Silicon Valley osserva. E prende appunti. Perché se il modello funziona nel caos controllato del NHS, allora può funzionare ovunque. La medicina predittiva è l’eldorado perfetto per le big tech: un mercato infinito, alimentato dalla paura di ammalarsi. E chi controlla la previsione, controlla anche la prevenzione, i farmaci, le assicurazioni, le scelte. Un monopolio sulla salute che fa impallidire qualsiasi distopia orwelliana.

Diceva Philip K. Dick: “La realtà è ciò che, anche se smetti di crederci, non scompare.” La medicina predittiva è ciò che, anche se non si è ancora realizzata del tutto, è già tra noi. E Foresight è la sua punta di diamante. O la sua lama.

Che ci piaccia o no, il futuro della sanità passa da qui. Ma ricordiamoci che non tutto ciò che possiamo prevedere, dobbiamo per forza conoscerlo. A volte, l’ignoranza è un atto di libertà.