Mentre l’Occidente arranca tra regolamenti, etica da salotto e guerre interne per l’egemonia cloud, Alibaba cala il carico da 380 miliardi di yuan. Sì, hai letto bene: 52,7 miliardi di dollari per costruire una unified global cloud network, una rete unificata e globale per l’intelligenza artificiale che non lascia spazio a interpretazioni: o dentro, o fuori.

Dietro questa mossa c’è Eddie Wu Yongming, CEO del colosso cinese e architetto della nuova fase espansionistica che non si accontenta di restare leader in Asia-Pacifico. Perché se è vero che Alibaba Cloud è già il numero uno nella regione, è anche vero che il vero nemico ha tre teste e parla americano: AWS, Azure e Google Cloud. Il mercato globale non aspetta nessuno, e Wu lo sa benissimo.

“L’espansione globale è un percorso inevitabile per le imprese cinesi”, ha detto senza mezzi termini. Tradotto: il sogno cinese non si ferma a Shenzhen, vuole Riyadh, Bangkok, Milano e Città del Messico. Le prime trincee sono già operative: 87 availability zone in 29 regioni, 394 prodotti cloud e AI, 59 servizi tecnici, e data center già accesi in Messico, Tailandia, presto in Malesia e Filippine. I vecchi outpost in Australia e India? Liquidati senza sentimentalismi, sostituiti da piazze più strategiche. Perché nel cloud come nella geopolitica digitale, vince chi sa ritirarsi in tempo e raddoppiare dove conta.

Alibaba non gioca più la partita del follower: vuole ridisegnare l’infrastruttura globale dell’AI, e lo fa spingendo sull’acceleratore del suo modello Qwen, open source e prolifico come un coniglio quantico. Più di 200 modelli già rilasciati, oltre 100.000 derivati sviluppati da terze parti. E ora disponibili anche su Ollama, LM Studio, SGLang e vLLM. Tradotto per chi mastica codice: stanno puntando a saturare l’ecosistema developer con modelli adattabili, scalabili, customizzabili fino all’ultima riga di codice.

Nel frattempo, la Cina spende. Tanto. Secondo Canalys, solo nel 2025 il mercato cloud interno arriverà a 46 miliardi di dollari, spinto da un’adozione dell’AI che ormai non è più hype da keynote, ma leva industriale concreta. Un mercato affollato, competitivo, iper-ingegnerizzato. E se sopravvivi lì dentro, sopravvivi ovunque. Il vantaggio cinese? Talento ingegneristico senza limiti e una scala di mercato che trasforma ogni idea in potenza bruta.

La mossa di Alibaba è tutto fuorché timida. Non stanno costruendo solo una cloud network. Stanno definendo lo standard. Un grid distribuito globale, dove il flusso computazionale scorre come elettricità. La metafora è vecchia, ma in bocca a Wu suona come una minaccia: o ti colleghi alla loro rete, o resti al buio.

In parallelo, sotto la superficie visibile, Alibaba ha riattivato il suo Rainforest Partner Plan: una giungla organizzata, 100 partner internazionali che fungono da tentacoli locali per adattare, vendere, e scalare soluzioni AI e cloud in ogni mercato verticale possibile. E se il partner giusto non esiste, lo creano. L’obiettivo non è semplicemente vendere server o modelli, ma iniettare infrastruttura cognitiva nel tessuto stesso delle imprese locali. Esattamente come fa AWS, ma con la pazienza di chi gioca la partita lunga.

Curioso come l’open-source, tanto decantato in Occidente come baluardo contro i monopoli big tech, sia oggi il cavallo di Troia preferito da Alibaba per colonizzare l’ecosistema AI globale. Perché regalare i modelli non significa perdere il controllo, significa spingere la dipendenza. Ogni modello Qwen open source è un seme: germoglia nel codice altrui, ma le radici sono ben piantate nei data center di Hangzhou.

Il bello è che mentre l’azione Alibaba a Hong Kong flette lo 0,25% — segnale che i mercati capiscono poco o fanno finta — dietro le quinte si gioca una guerra fredda digitale. La vera competizione non è sulla potenza di calcolo, ma sulla capacità di creare standard che diventano inevitabili. Gli americani hanno TensorFlow, PyTorch, HuggingFace. I cinesi ora hanno Qwen e la loro grid globale.

E qui viene il cortocircuito più interessante: la supremazia cloud non passa più solo da chi ha più GPU, ma da chi riesce a costruire la narrativa più convincente. Ecco dove Alibaba sta giocando da stratega: con l’immaginario. Una narrativa dove l’AI non è solo una tecnologia, ma una necessità infrastrutturale globale. Dove non importa più cosa usi, ma dove gira il tuo modello. E se gira su Alibaba Cloud, be’, sei già dentro la loro sfera di influenza.

Il futuro dell’AI non sarà decentralizzato. Sarà un’oligarchia distribuita, un multipolarismo delle intelligenze dove chi possiede l’infrastruttura possiede la narrazione. Alibaba lo ha capito, e sta costruendo la sua rete globale come un impero silenzioso, nodo per nodo, partner per partner, bit dopo bit.

Il cloud è il nuovo petrolio, l’AI è il nuovo linguaggio, e Alibaba non vuole più tradurre: vuole scrivere il dizionario.